Silvano Maria Tomasi, nunzio apostolico-osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, boccia senza sconti qualsiasi opzione militare per la Siria. Rilancia la via diplomatica e l’allarme per la moltiplicazione di presenze militari straniere e per la degenerazione del conflitto, di cui farebbero le spese le minoranze. In particolare quella cristiana che sta come un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro.
È ancora possibile un’azione diplomatica efficace per risolvere il caso siriano o dobbiamo rassegnarci alla logica delle armi?
Una soluzione militare non è realistica, sono convinto che la via della ragione possa prevalere. Anche se una parte vincesse, sarà necessario un periodo di riconciliazione e di ricostruzione politica, economica e sociale. La guerra civile non porterà alcuna soluzione, è un’assurdità e serve interessi estranei alla popolazione. Sta distruggendo non solo le infrastrutture ma anche l’economia e soprattutto le persone e il tessuto sociale, il futuro del Paese ne sarà condizionato per decenni. Chi vuole la guerra non ama la Siria. Rimane la possibilità di riprendere la conferenza diplomatica di Ginevra con la partecipazione dei Paesi della regione implicati nel conflitto, fermando l’invio di armi a tutti i combattenti e con l’obiettivo di formare un governo di transizione che includa tutti gli interessi e le comunità.
Quale ruolo può svolgere l’Onu che finora è stato un attore debole della vicenda?
La comunità internazionale, le Nazioni Unite in particolare, può avere una funzione di di facilitazione e pacificazione. I Paesi della regione e le grandi potenze devono smetterla di versare benzina sul fuoco e aiutare i belligeranti a dialogare e a trovare una soluzione condivisa. Inoltre hanno l’obbligo morale di provvedere un aiuto umanitario adeguato per le vittime. I numeri fanno rabbrividire: due milioni di rifugiati, centomila persone uccise, 3,6 milioni di sfollati interni, la violenza contro le donne usata come strumento di guerra.
La Siria è un Paese sempre più diviso, non solo pro e contro Assad, ma anche nel fronte degli oppositori al regime. E tra costoro aumenta l’influenza dei gruppi più estremisti. Ammesso e non concesso che Assad prima o poi cadrà, chi governerà la Siria il giorno dopo? Ci sono pericoli reali che si arrivi a uno stato confessionale islamico a forti tinte radicali?
I pericoli, per nulla ipotetici, sono il rischio di un allargamento regionale della guerra, l’esacerbarsi delle relazioni tra le potenze coinvolte e l’inasprimento del conflitto tra sciiti e sunniti che tenderebbe ad estendersi al di là dei confini. L’attuale presenza di migliaia di mercenari (si parla di almeno 6mila combattenti stranieri da più di 40 Paesi, ispirati da un islamismo radicale) non promette certo un cammino verso la pacificazione. Questa situazione allontana ancora di più la ricostruzione di una società dove ogni cittadino abbia gli stessi diritti, indipendentemente dalla comunità di appartenenza. Fin d’ora si dovrebbe insistere sul concetto di cittadinanza come premessa per una vera soluzione politica e per un futuro di convivialità.
I cristiani, che rappresentano il 10 per cento della popolazione, appaiono sempre più come vasi di coccio tra vasi di ferro. Le violenze di cui sono oggetto (rapimenti, attacchi alle chiese, minacce) sono una vendetta contro il “fiancheggiamento” di molti di loro al regime, oppure si può dire che sono esposti alla violenza come tutti i siriani?
La situazione dei cristiani in una società pluralista ma dominata da spaccature religiose e confessionali è molto delicata. L’esempio dell’Iraq fa paura e incrina la loro fiducia in un avvenire sicuro. La posizione politica dei cristiani nei confronti di Assad non è uniforme. La loro situazione non può essere avulsa dall’insieme del conflitto e in particolare dalla situazione di tutte le minoranze siriane. I cristiani possono giocare un ruolo di ponte tra le comunità e svolgere un compito umanitario al servizio di tutte le realtà nazionali. Altrimenti non rispondono alla loro “ragion d’essere” nel Medio Oriente, che purtroppo diviene sempre più frammentato e dove i diversi gruppi religiosi ed etnici vivono nel conflitto e nell’isolamento
Come si sta muovendo la Santa Sede?
La voce di papa Francesco si è fatta sentire chiaramente: la strada della guerra non porta ad alcuna soluzione. I rappresentanti pontifici alle Nazioni Unite hanno ribadito senza ambiguità che ci vuole la volontà politica di dialogare includendo tutte le componenti della società siriana e di fermare ogni invio di armi. La Santa Sede incoraggia e coordina un ampio fronte di attività umanitarie per assistere rifugiati e sfollati dentro e fuori della Siria con il coinvolgimento quotidiano di organizzazioni cattoliche, parrocchie locali, comunità religiose.
*da Avvenire