Non sono mai stato iscritto alla Ugl né tanto meno alla Cisnal, ma per un certo periodo ho ricevuto il giornale di quel sindacato, credo perché un’amica impegnata nelle sue file aveva dato il mio indirizzo. Il foglio non era fatto male, tuttavia fui colpito da uno strano dettaglio. In ogni numero non mancava mai un articolo su un incontro, un dibattito, un convegno cui avesse partecipato una certa Renata Polverini, con tanto di fotografia dell’interessata. Mi meravigliai di questo trattamento privilegiato, che mi parve così sfacciato da poter risultare controproducente; con fiuto giornalistico immaginai che dietro di esso si celasse qualche manovra interna al sindacato, e vedevo giusto.
Erano i primi anni duemila e, anche a forza di “soffietti”, la Polverini preparava la sua resistibile ascesa alla Ugl, in cui era entrata senza partire come lavoratrice iscritta al sindacato, ma come impiegata dello stesso. Sua madre, sì, era stata delegata sindacale e le aveva aperto la strada per entrare all’allora Cisnal dopo il diploma di ragioneria. L’ascesa alla segreteria dell’Ugl fu il preludio di altre scalate, alla presidenza della Regione Lazio, da cui si sarebbe dimessa per uno scandalo che la coinvolgeva però solo indirettamente, e poi al Parlamento nelle liste di Forza Italia. Partito da cui si è dimessa, nella scorsa legislatura, salvo poi farci ritorno, ma senza entrare in lista nelle prossime elezioni politiche. In realtà, l’onorevole Polverini aveva ottenuto una candidatura, ma in un collegio incerto, che ha sdegnosamente rifiutato ritenendo offensiva per sé una candidatura di testimonianza. Personalmente, penso che le candidature di testimonianza, o di bandiera che dir si voglia, siano le più nobili, e anch’io le ho accettate una volta; e soprattutto credo che chi esce e rientra da un gruppo non possa comunque pretendere un collegio sicuro, visto che, a meno che non ci si chiami Enrico Mattei, i partiti non amino essere considerati dei taxi; ma questo è un altro discorso.
A colpirmi è invece un altro aspetto di questa candidatura mancata. Nel manifestare il suo disappunto, la Polverini ha espresso il rammarico per non potere nella prossima legislatura seguire l’iter della legge sullo Jus Scholae, che conferisce il privilegio della cittadinanza italiana anche a chi ha scaldato i banchi per qualche anno, tanto che forse sarebbe più esatto battezzarla, alla romana, “jus solae”. Questo particolare mi conferma in un’opinione maturata su alcuni figli di militanti missini, che si sono impegnati a loro volta in gioventù a destra per empatia col gruppo familiare, e magari anche per senso di opportunità, ma la cui visione del mondo era in realtà molto diversa da quella dei genitori. Niente di male: in ciascuno di noi senso di appartenenza e spirito di compromesso possono convivere.
Dal canto mio – pur non essendo mai stato, lo ripeto, iscritto all’Ugl – non posso fare a meno di pensare alla differenza fra Renata Polverini e Gianni Roberti, che fu segretario generale della Cisnal dal 1964 al 1977. Combattente della seconda guerra mondiale e prigioniero non cooperatore nel campo punitivo di Hereford nel Texas, fu avvocato, professore di diritto del lavoro all’università di Napoli, oltre che deputato del Msi dalla prima legislatura al 1979. Come molti esponenti della destra con un passato fascista (penso a un De Marzio o a una Gatteschi), aderì alla scissione di Democrazia Nazionale, che esprimeva in tempi e modi sbagliati esigenze reali. Dopo il fallimento del nuovo partito, alle politiche del 1979, ebbe la dignità di ritirarsi a vita privata: vita privata e molto lunga, visto che è morto nel 2010 a centouno anni.
Auguro la stessa longevità, non politica ma anagrafica, a Renata Polverini.