Il tema della tragica fine di Enrico Mattei spesso, nella ricostruzione che molti oramai hanno fatto della sua complessa personalità e della sua travagliata biografia, ha conquistato uno spazio ed un’importanza probabilmente sproporzionati rispetto al complesso dei temi e delle questioni legate al personaggio e alla sua opera. Si sa i “misteri”, i tanti interrogativi rimasti irrisolti nella recente storia d’Italia così come le vicende circondate comunque da un alone di congiura, nel nostro Paese, esercitano da sempre un fascino irresistibile anche nel più disincantato dei ricercatori e dei biografi. Daniele Pozzi, allievo di Giulio Sapelli, nella sua pregevole e documentata ricostruzione delle vicende dell’Agip, dell’Eni e di Mattei, ha affermato: ‒ «Chi ha ucciso Mattei?». Forse sarebbe più utile chiedere più spesso «Chi era Mattei?» ‒ Descrivere chi sia stato Mattei implica necessariamente la ricostruzione di ciò che egli fece e di come edificò questo importante “complesso imprenditoriale” che è stato ed è ancora l’Eni, mirando alla sovranità energetica del nostro Paese.
Tuttavia sarebbe lacunoso ed omissivo non dedicare alcuno spazio al “mistero” della sua tragica morte. Per quel che concerne la tesi dell’attentato, diverse sono le “piste” che il mondo giornalistico, più che quello degli storici, ha indicato. Ognuna di queste piste segue un ragionamento deduttivo e, in vari casi, anche di un certo rigore logico. Nessuna di esse però fornisce elementi fattuali che dimostrino chi, tra i tanti nemici del Principale – così lo chiamavano i suoi più vicini sottoposti ‒, abbia potuto progettare e far eseguire un attentato ai suoi danni per “toglierlo di mezzo” definitivamente dall’agone in cui si giocavano, dibattevano e decidevano gli indirizzi e gli orientamenti politici sull’uso di quella che è stata definita da Leonardo Maugeri «l’arma del petrolio».
Pur senza poter storicamente accertare chi potessero essere stati gli autori del presunto attentato al Capo dell’Eni, tre elementi sembrano portare alla deduzione che si sia trattato di un attentato: le carenze del servizio d’ordine prestato a Mattei durante il viaggio a Gagliano, le tante insufficienze della prima inchiesta nell’immediato seguito della tragedia, le risultanze della più recente inchiesta della Procura della Repubblica di Pavia.
Secondo Giorgio Galli, dopo le varie minacce dell’Oas, il servizio di sicurezza che doveva proteggere Mattei era stato intensificato. Ogni volta che l’aereo atterrava a Milano o a Roma, una squadra di agenti in borghese curava attentamente la sicurezza del trasferimento dall’aeroporto alla città. Invece nel pomeriggio di quel 27 ottobre che precedette la partenza dall’aeroporto di Catania tre persone sconosciute, una con la divisa da ufficiale dei carabinieri e le altre due in tuta bianca da meccanico, avevano potuto, senza filtro, accostare l’apparecchio ed armeggiare nei suoi pressi.
L’allora Ministro della Difesa Giulio Andreotti nominò una commissione di inchiesta per conoscere le cause di quello che sin da subito fu definito “un incidente”. Ne facevano parte 11 componenti, 8 militari e 3 civili ed era presieduta dal generale dell’aeronautica militare Ercole Salvi. Non vi era in questa commissione un perito balistico, la cui presenza era indispensabile per acclarare e certificare che non vi fosse stata un’esplosione in volo. L’inchiesta durò quattro mesi e si concluse con un’archiviazione. Le conclusioni, raccolte in 46 pagine, sostenevano la tesi dell’incidente di volo determinato da una serie di concomitanti concause. «L’incidente» recitava la relazione «è da attribuire alla perdita di controllo in spirale destra. Non è stato possibile accertare le cause che hanno determinato tale perdita di controllo. […] L’aereo è precipitato integro, poi a contatto con il suolo è esploso.»
Come mai, per escludere con certezza scientifica l’ipotesi dell’esplosione in volo non si è effettuata una perizia balistica? Sarebbe stata la cosa più ovvia, oltre che indispensabile, dal momento che l’inchiesta era stata mossa dall’ipotesi e dal rincorrersi di pettegolezzi e presunte “fughe di notizie” circa un attentato o un sabotaggio.
Nel 1995 la procura di Pavia riaprì l’inchiesta perché un pentito di mafia, Gaetano Iannì, aveva “orecchiato” una conversazione tra esponenti della mafia siciliana che attribuivano la morte di Mattei ad un attentato voluto dagli “americani” ed eseguito dalla mafia. Queste dichiarazioni sembravano dar sostanza alla “pista” dell’attentato ordito dalla Cia. Le conclusioni di questa nuova indagine, portata avanti dal magistrato Vincenzo Calia, acclaravano, a seguito di una perizia balistica non del tutto tardiva, che vi era stata un’esplosione in volo perché erano state rinvenute tracce di esplosivo sui resti dell’aereo. Nella perizia era stato coinvolto il Politecnico di Torino.
La stazione Cia di Roma, il 28 ottobre del 1962, compilò un dossier sulla morte di Mattei che, a distanza di anni, almeno sino alla pubblicazione della biografia La Pecora Nera che Italo Pietra scrisse sul presidente dell’Eni nel 1987, risultava segretata perché – questa la giustificazione ufficiale – conteneva «informazioni concernenti la sicurezza di Stato».
Riprendendo l’interrogativo di Pozzi: ‹‹Chi era Enrico Mattei?››. Enzo Bettiza, giornalista liberale, con un passato comunista, che fu fondatore e vicedirettore de “Il Giornale” di Indro Montanelli, lo definì con tono spregiativo: ‹‹Un cattofascista sinistreggiante e terzomondista, neutralistico, antiprotestante e antianglosassone››. Tale giudizio, depurato della sua carica dispregiativa, forse meglio di tanti altri giudizi sintetizza chi veramente sia stato Enrico Mattei. La sua formazione cattolica ebbe inizio tra le mura domestiche per proseguire poi negli anni in cui venne a contatto con Marcello Boldrini e gli altri intellettuali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. La sua fede non fu caratterizzata solo da un atteggiamento devozionistico e teorico, fu sostanziata da opere, quali quella della ricostruzione delle chiese nel Milanese nel primo dopoguerra, oppure come le opere di carità personale a favore di istituti religiosi e di beneficenza, oppure il così detto welfare aziendale dell’Eni largamente ispirato alla dottrina sociale della Chiesa.
Anche la sua educazione ai valori patriottici, unitari e risorgimentali iniziò tra le mura domestiche allorché la nonna gli leggeva le pagine del libro “cuore” di Edmondo De Amicis. Suo padre era il maresciallo dei carabinieri che aveva catturato il brigante Musolino. Durante lo stesso ventennio fascista, è dimostrato, come nella sua città, Matelica, egli non fosse stato un semplice e magari formale aderente al PNF, ne fu iscritto e giovane militante. Tracce di questa formazione patriottica, nazionale, popolare e perfino sociale, si rinvengono nei suoi discorsi ma anche nel suo mirare a preservare e rafforzare la sovranità italiana in tema di energia.
Giorgio Galli si è occupato di analizzare le radici culturali e politiche di ciò che egli definiva “il populismo nazionale” di Mattei. Egli riteneva che in età giovanile Mattei si sia fatto prendere, come tanti altri, da una sorta di entusiasmo per il regime mussoliniano e che in età adulta abbia potuto maturare un’impostazione culturale “nazional-populista” che tanto doveva alla sua formazione di quegli anni. Tuttavia, secondo il politologo milanese, Mattei non ebbe ‹‹alcuna parte attiva nel regime›› sicché di lui era possibile dire ciò che Alberto Asor Rosa diceva di alcuni intellettuali degli anni Trenta come Vasco Pratolini, Elio Vittorini e Romano Bilenchi: ‹‹L’analisi del fascismo di questi scrittori non può servire soltanto ad affermare che già allora essi erano antifascisti in pectore; ma deve servire anche a dimostrare che il loro antifascismo di poi non fu senza rapporti col loro fascismo di prima. Alcune costanti si mantengono››. Su queste tesi converge tutto sommato anche la posizione di Nico Perrone espressa in diversi saggi scritti sul Principale.
“Sinistreggianti” furono le sue frequenti ed influenti incursioni nel procelloso mare della politica italiana legandosi alla “sinistra Dc” della corrente “La Base” anche con laute elargizioni di danaro e contributi. Lavorò per l’apertura a sinistra del quadro politico italiano e l’ingresso del Partito socialista nell’area di governo, sicuro che il legame con il Pci del partito di Nenni fosse stato nettamente reciso e tranciato; cosa della quale si dichiarò garante presso l’amministrazione Kennedy. In questa specie di “certificazione” fu favorito dal suo retroterra di anticomunista convinto e determinato come ebbe a dimostrare spaccando l’Anpi e fondando l’associazione dei “partigiani bianchi” dei “Volontari per la Libertà” nonché con l’impegno politico ed elettorale del 18 aprile del 1948 affianco ad Alcide De Gasperi. L’obiettivo principale dell’impegno di Mattei era quello di badare all’indipendenza energetica dell’Italia, rispetto a cui tutto il resta passava in secondo piano e non poteva che essere funzionale e subordinato. Riteneva perciò che questa meta non si potesse perseguire e raggiungere con governi “aperti a destra”, vuoi per i legami del Msi con il passato regime che lo rendeva impopolare e la cui azione allora non poteva che essere destinata all’insuccesso o perlomeno a basse percentuali di consenso, vuoi per l’impostazione ortodossamente “atlantista” della destra liberale, monarchica, democristiana e, in buona parte, anche missina.
Tutte le vicende che videro il Capo dell’Eni impegnato nella ricerca di petrolio e gas nei paesi del Mediterraneo e del Terzo Mondo, così come la lungimirante apertura della Scuola di Studi Superiori sugli Idrocarburi di Metanopoli agli studenti provenienti da quei paesi dimostrano abbondantemente la propensione “terzomondista” delle sue politiche. Al riguardo in un discorso conclusivo dei corsi accademici in questa scuola egli asseriva: ‹‹Siamo quindi al fianco dei Paesi che lottano per la indipendenza economica e mettiamo oggi a loro disposizione questo vasto complesso di conoscenze, di attrezzature e soprattutto di buona volontà per aiutarli in questa impresa che è strettamente legata all’indipendenza politica. La nostra azione nasce da una profonda convinzione e noi ci sentiamo affettuosamente vicini, da buoni amici, ai Paesi che hanno recentemente riacquistato la loro indipendenza. La logica delle cose ci porta a stare insieme con gli africani, come loro alleati. Nel Kenia, nel Ghana, in Marocco, dovunque ci siamo presentati in questi anni, abbiamo sempre trovato i gruppi petroliferi occidentali coalizzati contro di noi››.
Nel contesto della lotta alle majors da parte di Mattei non vi fu un atteggiamento uniforme e pedissequamente omogeneo nei confronti di tutti quei soggetti aziendali indicati dallo stesso Mattei con la definizione di “Sette Sorelle”, altrettanto può dirsi rispetto alle potenze straniere che erano dietro di esse. Non vi è dubbio che le compagnie britanniche ed olandesi avessero un comportamento molto più chiuso e intollerante nei confronti delle politiche matteiane, anche perché queste le colpivano più duramente e destabilizzavano maggiormente gli equilibri in cui esse prosperavano. Più cautela e prudenza, e questo approccio era reciproco, si riscontrava nei confronti della Standard o della Esso e di alcuni settori del mondo politico americano.
Per esempio fu più stridente il contrasto con l’ambasciatrice americana Clare Booth Luce negli anni della presidenza del protestante Eisenhower che non sotto l’amministrazione del cattolico Kennedy, durante la quale si avviò il “disgelo” anche con la Esso mentre l’ambasciatore kennediano Reinhardt si adoperò con determinazione per favorire ed accompagnare il processo di “disgelo” tra Mattei ed Usa. Il Foreign Office (il Ministero degli Esteri britannico) nonostante le rassicurazioni dell’ambasciatore britannico a Roma Clarke, non si rassegnò mai ad addivenire ad un serio negoziato con Mattei e coniò il termine “matteismo”, con connotazioni fortemente negative, per censurare le politiche del Capo dell’Eni. Tutto ciò riscontra ampiamente la definizione di Bettiza di un Mattei “antianglosassone ed antiprotestante”.
Rispondere all’interrogativo di chi sia stato Enrico Mattei implica necessariamente dire cosa egli abbia fatto. Sarà cosa utile allora, sinteticamente, delineare l’attivo riscontrabile nel bilancio dell’opera matteiana. Gaetano Sateriale, sindaco di Ferrara nel 2007, introducendo un convegno sulla sua figura, affermò: ‹‹Mattei si è inventato qualcosa che in Italia non abbiamo, cioè la politica energetica››. Ciò che sta accadendo in questo frangente storico sul tema dell’approvvigionamento energetico, situazione la cui gravità è stata acuita e al tempo stesso evidenziata dalla crisi ucraina, dimostra che già quello di essersi “inventato” una politica energetica è un grande merito che rivela lo spessore del personaggio.
Ha salvato, ricostruito e lanciato sul mercato internazionale del petrolio un’azienda che è andata sempre più arricchendo il proprio know how ed implementando una tecnostruttura divenuta un’eccellenza dell’imprenditoria pubblica mondiale. Allestì un complesso aziendale fatto di migliaia di tecnici e di manager, di migliaia di operai specializzati nei vari settori, di mezzi sofisticati e tra i più moderni, di tecnologie avanzate per l’epoca e che altri paesi ed altre aziende private, come la stessa Esso, chiedevano all’Eni, di decine e decine di relazioni con i paesi produttori e le loro aziende ancora oggi essenziali per l’attività dell’Eni e per l’Italia stessa. Ha fatto notizia che le autorità algerine per venire a contatto con le autorità italiane e offrire la loro disponibilità a fornirci più gas, in questo periodo di sanzioni contro la Russia di Putin, abbiano dovuto rivolgersi alla nipote del Principale, Rosy Mattei.
Per avere un’idea di cosa sia divenuta l’Eni fondata da Mattei e di quale sia stata la sua essenziale funzione sino all’anno 1995, allorché iniziò il processo di privatizzazione che le fece smettere di essere un’azienda pubblica e la fece divenire un’azienda a tutti gli effetti privata e quotata in borsa, basti sapere, come dice Nico Perrone, che: ‹‹ All’inizio della privatizzazione (ottobre 1995), fra le società petrolifere l’Eni si trovava nella terza posizione mondiale per rapporto fra utili e fatturato, nella quarta per utili consolidati, nella sesta per la produzione di gas. A quella stessa data garantiva il 51 per cento del fabbisogno energetico italiano.››
Leonardo Maugeri, nel cui saggio, L’Arma del Petrolio, è possibile rinvenire le critiche più acute ed argomentate al presidente dell’Eni, riconosce in ciò il merito indiscutibile della sua opera: ‹‹Certo nel carattere radicale dell’azione di Mattei trovarono spazio una costruzione e una prospettiva che si stagliano sul grigio panorama delle relazioni internazionali dell’Italia. Qualunque fossero i fini, e nonostante una buona carica di improvvisazione e di avventurismo, Mattei seppe dar vita a un impero economico che ancor oggi costituisce uno dei primi gruppi italiani e mondiali, ma soprattutto, egli seppe proiettare un’immagine dell’Italia verso i paesi in via di sviluppo che avrebbe favorito nel tempo le relazioni italiane con molti di quei paesi.››
Su questa tesi convergeva, da Destra, anche l’opinione di Giano Accame, giornalista e saggista, esperto di temi economici e finanziari il quale, nel suo saggio Una storia della Repubblica, affermò: ‹‹Costruì quasi dal nulla qualcosa che è rimasto: una moderna, potente multinazionale italiana, con un patrimonio tecnologico molto elevato e capacità di penetrazione a livello mondiale››.
Un personaggio che non mi è mai piaciuto.
La personalità di Mattei presenta molte sfaccettature e un bilancio della sua opera è complesso; la morte in circostanze oscure gli ha conferito un’aura di santità che ne ha fatto dimenticare le colpe. Visto secondo i canoni della morale, Mattei fu un grande corruttore. Usò i fondi di un’azienda pubblica per finanziare partiti e per sostenere la sua politica parallela ma in certi casi divergente da quella ufficiale dell’Italia fondò un quotidiano, “Il Giorno”, che assicurava faraonici privilegi alla dirigenza. Sostenne il governo Tambroni abbassando fra l’altro( caso più unico che raro) il prezzo della benzina nei distributori Eni e finanziò pure il Msi; difatti per molti anni i disegnatori satirici di sinistra raffigurarono il cane a sei zampe dell’Agip con una fiamma tricolore che gli usciva dalla bocca. Sostenne anche Giorgio La Pira e i Colloqui del Mediterraneo che organizzava come sindaco di Firenze: gli servivano per avere contatti con i paesi dell’Africa settentrionale ricchi di idrocarburi con cui voleva stipulare accordi. Dopo la caduta di Tambroni, che all’origine era un democristiano di sinistra come lui, appoggiò naturalmente il centrosinistra.
Senza dubbio, l’Eni, finché rimase pubblica, costituiva un valido supporto alla politica energetica italiana, in grado di calmierare i prezzi. E lo stesso, pur con tutti i suoi difetti, si potrebbe dire per la vecchia Enel, sacrificata a una privatizzazione assurda e pasticciona, che non ha favorito la concorrenza ma ci fa solo disturbare quotidianamente con telefonate truffaldine dai vari call center.