“Sappiamo tutti che gli ucraini sono pronti a morire per le loro aspirazioni europee. Vogliamo che vivano con noi per il sogno europeo”.
Con questo alato, e forse un po’ macabro, cinguettio su Twitter, Ursula von der Leyen ha confermato che la Commissione Europea raccomanderà al Consiglio del 23 e 24 giugno prossimi la concessione all’Ucraina dello status di Paese candidato all’ingresso nell’UE. Dopo che Macron e Scholz – folgorati sulla via (ferrata) di Kiev – hanno ormai abbandonato le proprie perplessità in proposito, il Consiglio Europeo dovrebbe quasi certamente agire nel senso richiesto.
L’ingresso nell’Unione Europea e – alla stessa stregua – l’ammissione alla NATO rappresentano in realtà obiettivi costituzionali dello Stato ucraino fin dal 7 febbraio 2019, giorno in cui, su impulso dell’allora Presidente Petro Poroshenko, il Parlamento di Kiev approvò un apposito pacchetto di emendamenti alla Costituzione, che riportiamo di seguito:
– al preambolo vennero aggiunte le seguenti parole: “e riaffermando l’identità europea del popolo ucraino e l’irreversibilità del percorso europeo ed euroatlantico dell’Ucraina”;
– l’art. 85 n.5, riguardante i poteri del Parlamento, venne riformulato come segue: “Determinazione dei principi di politica interna ed estera, attuazione del corso strategico dello Stato verso la piena adesione dell’Ucraina all’Unione Europea e all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico”;
– all’art.102 sul Presidente della Repubblica venne aggiunto un terzo paragrafo così formulato: “Il Presidente dell’Ucraina è il garante dell’attuazione del percorso strategico dello Stato verso la piena adesione dell’Ucraina all’Unione Europea e all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico”;
– l’art.116 sulle competenze del Gabinetto dei Ministri venne così integrato: “assicura l’attuazione del percorso strategico dello Stato verso la piena adesione dell’Ucraina all’Unione Europea e all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico”.
Tali emendamenti, approvati poco prima del termine del mandato di Poroshenko, facevano parte della strategia elettorale filo-occidentale del Presidente uscente nei confronti del rivale Volodymyr Zelensky, che non aveva mai indicato in campagna elettorale una chiara impostazione di politica estera. Strategia miseramente fallita di fronte allo strapotere mediatico del non ancora ex comico, la cui vera campagna consisteva nella nota serie televisiva semi-demenziale “Servitore del popolo” e che avrebbe poi salutato la propria elezione con questa genericissima frase: “Posso dire a tutti i Paesi dello spazio post-sovietico, come cittadino ucraino: guardateci, tutto è possibile”.
Ma la “costituzionalizzazione” dell’integrazione euro-atlantica si è rivelata per Zelensky un regalo avvelenato. Oltre a suscitare le ire del Cremlino, gli emendamenti approvati non possono non avere una profonda influenza sia sugli organi di governo ucraini, la cui azione viene indirizzata entro limiti difficilmente modificabili; sia sullo stesso Parlamento, cui viene impedito di adottare qualsiasi legge che, anche incidentalmente, contrasti le dichiarate aspirazioni euro-atlantiche del Paese.
In sostanza, qualsiasi inversione del cammino dell’Ucraina verso l’integrazione euro-atlantica dovrebbe senza dubbio implicare l’avvio di una nuova procedura di modifica costituzionale.
L’adesione all’Unione Europea non sembra compromettere quell’obiettivo della “neutralità” di Kiev più volte enunciato in occasione dei round negoziali ormai da tempo interrotti: e, infatti, anche recentemente Mosca ha fatto sapere di non opporsi a tale eventuale sviluppo. E’ semmai l’Europa, a ben vedere, a doversi preoccupare dell’evidente inadeguatezza dei parametri economici e sociali ucraini, dello sperpero negli anni scorsi degli ingenti finanziamenti ricevuti dalle istituzioni finanziarie internazionali, della corruzione da sempre diffusa nel Paese, dello strapotere degli oligarchi, dello scioglimento di molti partiti d’opposizione, della chiusura di varie reti televisive, dei rapporti ambigui intrattenuti dal Governo di Kiev con ambienti ultranazionalisti, nonché del traffico illegale di armi, cresciuto a dismisura in Ucraina a partire dal 2014 (e oggi a rischio di ulteriore aumento, data l’ampiezza delle attuali forniture militari provenienti dai Paesi occidentali).
Se dunque Emmanuel Macron, in quanto presidente uscente del Consiglio Europeo dovrà, obtorto collo, legare il suo nome alla concessione all’Ucraina dello status di candidato, lo farà per “realpolitik”: conscio che tale sviluppo, se non entusiasmerà Putin, non aumenterà più di tanto i motivi del contendere con Mosca, né allontanerà le possibilità di una composizione del conflitto. Possiamo quindi, in proposito, tirare un certo sospiro di sollievo, anche perché l’effettiva adesione dell’Ucraina all’Unione resta ben di là da venire.
Ma molto diversa sarebbe la situazione qualora fosse la NATO, su spinta dei suoi membri più oltranzisti, a facilitare il cammino di Kiev verso una piena adesione all’Organizzazione. Come si è visto, infatti, l’Ucraina è vincolata dalla sua Costituzione a portare avanti il suo cammino verso il Patto Atlantico, che considera strategico allo stesso titolo di quello verso l’Europa comunitaria. Ma agli occhi di Mosca un allargamento della NATO all’Ucraina costituirebbe una minaccia esistenziale. In questo senso, Kiev potrebbe essere presto costretta a scegliere tra il pieno rispetto della sua Costituzione e l’integrità territoriale dello Stato: infatti, in sede di trattative, ben difficilmente la Federazione Russa potrebbe accettare l’adesione al Patto Atlantico di un’Ucraina delle attuali dimensioni e forza militare. E questa volta né Macron, né Scholz, né tanto meno Draghi sarebbero in grado di trovare una soluzione non sgradita a Vladimir Putin, senza l’avallo del patrocinatore statunitense.
L’Ucraina (quanto ne rimarrà) nell’UE è un boccone avvelenato per l’Europa, non certo per la Russia. L’oca giuliva Ursula continua a suonare una sinfonia autolesionista, miope, perdente su tutti i fronti.
Qui stiamo sprofondando in un clima psicologico che ricorda i prodromi della WWII. Decine di milioni di morti per che cosa? Per fermare Hitler? E per permettere a Stalin (assai più criminale ed assassino del cancelliere tedesco) di aumentare il suo già smisurato potere? Basta menzogne, irresponsabilità, propaganda falsa ecc. I cittadini d’Europa dimostrino contro questa guerra alle porte, con l’Ucraina che fa da alibi. Adesso il problema di Kaliningrad. Come previsto. Ma come si è potuto far entrare i Paesi Baltici nella Nato ed UE senza tener conto della Russia? Che piaccia o no è lì, con la sua tradizione militaresca ed imperiale. Che il comunismo sconfitto ha accresciuto.
‘… ben difficilmente la Federazione Russa potrebbe accettare l’adesione al Patto Atlantico di un’Ucraina delle attuali dimensioni e forza militare’. Non sono d’accordo. Putin (o successore) mai accetterà l’incorporazione nella NATO dell’Ucraina, anche se ridotta di territorio. La smilitarizzazione e neutralità ucraine (condizioni essenziali per la sua eventuale sussistenza) sarebbero poi del tutto incompatibili con la condizione di membro NATO. Piaccia o no a Washington.
Aspettiamo l’autunno, forse qualche doccia fredda darà la sveglia a tanti.