La Modernità, fin dai suoi esordi, non ha celato il proprio mito fondativo: l’idea di progresso. Nell’ultimo periodo, nonostante i tentativi messi in atto, a sostegno di tale mito, dai grandi mezzi di comunicazione di massa, qualcuno comincia a dubitarne seriamente. Lo conferma la recente pubblicazione in lingua italiana del volume di Cristopher Ryan, noto pubblicista e scrittore statunitense, Civilizzati fino alla morte. Il prezzo del progresso, comparso nel catalogo di Odoya editore. Di fronte ai drammi ecologici del nostro pianeta, ai disastri ambientali indotti dal cambiamento climatico, al dramma sanitario-politico della pandemia globale, cui abbiamo assistito negli ultimi due anni e, in ultimo, all’esplodere della guerra russo-ucraina le cui conseguenze potrebbero rivelarsi tragiche per le sorti dell’umanità, le pagine di questo libro risultano, non solo di stringente attualità, ma chiarificatrici rispetto al nostro futuro.
Si tratta di un volume che mette in discussione il senso comune contemporaneo e le sue false certezze: «Malgrado i prodigi del nostro tempo […] ci troviamo in un’epoca di profondi sconvolgimenti» (p. 13). Un ipotetico viaggiatore del tempo, proveniente dal più lontano passato, di fronte all’innovazione tecnologica della nostra epoca, all’inizio, sostiene Ryan, rimarrebbe sicuramente abbagliato, affascinato. Una volta: «attenuatosi lo stupore per gli smartphone, i viaggi in aereo e le automobili […] che cosa direbbe della sostanza e del significato delle nostre vite?» (p. 13). Constaterebbe che, nonostante i rilevanti “progressi” materiali, ci siamo lasciati alle spalle un patrimonio di valori dei quali non abbiamo più alcuna consapevolezza. Del resto, che le popolazioni “primitive” non mostrassero alcun interesse nei confronti della “civilizzazione” moderna, ne ebbe contezza Benjamin Franklin. Questi riferì che i “pellerossa” da lui incontrati non avevano mai: «avuto la benché minima inclinazione a scambiare il loro modo di vivere con il nostro» (p. 13). Per non dire degli indios che Darwin portò con sé in Inghilterra, per farli “istruire” da docenti che gli inculcassero i valori della civiltà occidentale e che, una volta tornati in Sud America, fuggirono dalle sue “cure” per vivere con il proprio popolo, felici della vita da raccoglitori-cacciatori.
Carl Jung ha notato come la stessa idea di progresso costringa gli uomini ad allontanarsi dal passato, a dimenticalo: tale necessità ci ha proiettati nel futuro e nelle sue chimeriche promesse di un’età dell’oro sempre di là da venire. Le promesse del continuo miglioramento della nostra sorte sono state mantenute? Ryan risponde negativamente. Ricorda che, nel 1928, l’economista Keynes pensava che di lì a un secolo le sorti dell’umanità si sarebbero evolute a tal punto, che gli uomini avrebbero dovuto risolvere un solo problema: occupare il tempo libero, visto che le tecnologia ci avrebbe liberati dalle incombenze lavorative e dal bisogno economico. E’ accaduto esattamente il contrario. A fronte di un numero limitatissimo di “ricchissimi”, il capitalismo “cognitivo” ha prodotto masse di diseredati. Il 44% degli statunitensi che guadagnano tra i 40.000 e i 100.000 dollari l’anno, non possono contare su 400 dollari in caso di pressante necessità. Tra il 1990 e il 2014 il PIL è aumentato negli Usa del 271%, nello stesso periodo le persone che vivevano con meno di 5 dollari al giorno sono cresciute del 10% e quelle che soffrivano la fame del 9%.
L’autore precisa: «Non contesto l’effettiva realtà del progresso in alcuni ambiti, ma nutro i miei dubbi sulle modalità in cui può essere concettualizzato e misurato» (p. 17). L’idea di progresso assoluto è pertanto una chimera o, al più, una speranza che rispetto ai disastri del presente svolge funzione ansiolitica. Per questo, l’importanza del libro in questione va rintracciata nel suo mettere in discussione “la narrativa del progresso perpetuo” che a partire da certa cultura rinascimentale, attraverso Hobbes, è giunta sino a noi. Tale falsa narrazione dello stato delle cose, nel corso dei secoli: «ha giustificato schiavitù e […] colonialismo» (p. 26), pur essendo fondata su un’asserzione apodittica di tal fatta: «in passato, tutto era decisamente peggio» (p. 27). Insomma, il nostro autore, con una strumentazione culturale diversificata e metodo d’analisi pluridisciplinare, smantella radicalmente il dogma moderno, proprio come, nel corso del tempo, hanno fatto gli autori tradizionalisti. Il libro, nella sua prima parte, analizza le: «informazioni più salienti sul reale stile di vita dei nostri antenati» (p. 28), anche preistorici, tentando di liberare la nostra visione delle epoche storiche più lontane dal pregiudizio progressista. Mostra, inoltre, nei capitoli seguenti, come la “narrativa del progresso perpetuo” abbia determinato traumi e sofferenze di grande rilevanza. Nella conclusione del volume viene ipotizzata una nuova narrazione possibile relativa alla nostra origine. Ryan, si intrattiene, alla luce di queste tesi decisamente altre rispetto all’intellettualmente corretto, su un possibile avvenire dal tratto nuovo-antico.
Oltre che attuale e sferzante nei confronti della cultura dominante, è un testo dal tratto profetico.
*Civilizzati fino alla morte. Il prezzo del progresso, di Cristopher Ryan, Odoya editore (pp. 286, euro 20)