Una cosa è la pubblicità, un’altra cosa è l’informazione. Lo dico per il bene dei giovani aspiranti giornalisti, ma anche per chiarire le idee a qualche mio coetaneo che, evidentemente, deve averle un tantino annebbiate. Scopo dell’informazione è raccontare alla gente la realtà e, talvolta, commentarla: la pubblicità racconta, invece, bubbole ben costruite, allo scopo di indirizzare le scelte del pubblico verso questa o quella direzione. Non c’è alcun giudizio di merito in questa distinzione: semplicemente, si tratta di attività assai diverse con finalità assai diverse. Certo, a volte può capitare di trattare in maniera particolarmente benevola il libro di un collega, il quadro di un amico, la proposta politica di un consociato: nel giornalismo si chiama “marchetta” ed è tollerata dal regolamento.
Altro è mescolare le carte: fingersi giornalisti e fare i pubblicitari. Soprattutto perché la pubblicità, inevitabilmente, parte dal presupposto di manipolare il consenso per ottenere uno scopo (che può anche essere nobilissimo, intendiamoci): il che dovrebbe essere l’esatto opposto della deontologia dell’informazione. Invece, il prevalere sempre più assoluto del “particulare” sul bene comune, la sempre più sviluppata tendenza a giocare sporco, stanno progressivamente mescolando queste due attività, trasformando, di fatto, i giornalisti in strumenti del plagio. Faccio un esempio del tutto neutrale politicamente, tanto per far capire che non è questione di colori, ma di sostanza: i bollettini meteorologici. Apparentemente, non esiste forma d’informazione più oggettiva e di servizio di un bollettino meteo: oggi piove, domani sarà sereno, eccetera eccetera. Ma provate a pensare alle implicazioni di una notizia legata al tempo, in un’epoca in cui ci si rivolge alla televisione anche per imparare ad educare i bambini o per ascoltare messa: partenze, vacanze, e gite fuori porta sono del tutto subordinate alle indicazioni televisive. Così, se il meteorologo di turno ci dice che tra una settimana nevicherà abbondantemente sull’arco alpino, possiamo prenotare fiduciosi l’hotel per andare a sciare: se, invece, ci spiega che a ferragosto pioverà di brutto, ce ne staremo a casa a sfidare l’afa. Bella responsabilità e, soprattutto, bei soldi che stanno dietro un sì o un no dell’omino delle previsioni: per gli alberghi, l’indotto, trasporti e i benzinai sono milioni di euro che vanno e vengono. Ecco, dunque, che, se il 13 di agosto viene acqua a catinelle, con singolare uniformità i giornali e le televisioni ci diranno che il tempo, infallibilmente migliorerà; e, se il 22 dicembre le Dolomiti sembrano una Sassonia sterile, la gente verrà rassicurata sul fatto che, da nord sta arrivando la perturbazione Maria Filippa, che garantirà metri di neve farinosa per le vacanze natalizie.
A volte va proprio così, ma altre volte il clima non asseconda l’economia: però, con il meteo, almeno un po’ di soldi si sono salvati. Poco importa se qualche fesso ha speso un capitale per stare in albergo a guardare gli abeti desolatamente nudi. Ecco, se cercate un segnale dei tempi, per poter lamentare l’inattendibilità dell’informazione, non è necessario scomodare la politica: bastano le previsioni del tempo. D’altronde, sia nell’una che nelle altre, le figure chiave, spesso, sono colonnelli…