Jacques Perrin, scomparso il 21 aprile, è ricordato nel mondo per i suoi documentari naturalistici (Il popolo migratore, ecc.) da lui prodotti e talora anche diretti, che hanno avuto spettatori a decine di milioni. Per fare un paragone, simili incassi li hanno fatto solo i documentari di Gualtiero Jacopetti tra anni ’60 e ’70.
In Italia Perrin è associato, dai pochi che si sono accorti che esistesse, a Nuovo cinema Paradiso. Nella versione integrale di Giuseppe Tornatore, questo film enfatico era un polpettone e il pubblico giustamente lo respinse. Il produttore Franco Cristaldi lo sfrondò parecchio riproponendolo ben più breve. Così il film di Tornatore/Cristaldi ebbe, a quel punto giustamente, perfino l’Oscar per il film non in lingua inglese. Il problema è che il protagonista di Nuovo cinema Paradiso è Philippe Noiret, non Perrin…
Per evocare credibilmente il Perrin “italiano”, giovanissimo, occorre risalire ai primi anni ’60 della Ragazza con la valigia di Valerio Zurlini e a quello di poco successivo delle Rose rosse per Angelica di Steno, con Perrin accanto a Raffaella Pelloni, alias Raffaella Carrà. Ma di questi titoli italiani scrive accanto Franco Grattarola.
Di un attore, regista e produttore come Perrin è il complesso del suo lavoro che va dunque evocato. In Francia è stato ben più noto che in Italia, a differenza dei quasi coetanei Delon, Belmondo, Trintignant. C’è una continuità nell’uomo e nell’artista: l’essere stato sempre una persona di sinistra, ma essersi fatto un nome come personaggio di destra.
Ciò è avvenuto in particolare come alter ego di Pierre Schoendoerffer, regista francese di origina alsaziana, nei titoli principali della sua filmografia: due classici come La 317ème Séction (premio per la sceneggiatura al Festival di Cannes nel 1966, uscito in Italia come 317.mo battaglione d’assalto); e Le Crabe-tambour (1977, in Italia L’uomo del fiume). Notevoli, ma non capolavori sono, L’Honneur d’un capitaine (1982, inedito in Italia) e, infine, La-haut (Lassù, 2003, dove Perrin si vede solo ventenne, nei frammenti di La 317ème Séction).
Militare della Marine Nationale, cioè della Marina Militare, come operatore cinematografico in prima linea in Indocina, Schoendoerffer partecipa alla battaglia di Dien-Bien Phu nel 1954 e cade prigioniero dei Vietminh. Torna in Francia ridotto a uno scheletro. Non ha solo filmato la guerra, le è sopravvissuto combattendo.
Parrebbe una storia tipicamente francese. Ma la vicenda di Schoendoerffer evoca quella di un regista italiano, il padre del neorealismo, Francesco De Robertis, anche lui ufficiale di Marina e, come il personaggio di Perrin nell’Uomo del fiume, coinvolto in un’insurrezione: per De Robertis quella della Repubblica Sociale nel 1943-1945; per il personaggio di Perrin quella dei “generali di Algeri” nell’aprile 1961.
Vent’anni dopo i fatti d’Algeria, nell’Uomo del fiume un ufficiale di Marina (Jean Rochefort), che non ha aderito al golpe di Algeri, comanda un cacciatorpediniere. Incrocia il peschereccio d’alto mare dell’amico di un tempo, ormai radiato dai ranghi. I due si vedono solo coi binocoli, separati nel tempo dalla politica e nello spazio dalle onde attorno alle isole atlantiche di St. Pierre et Miquelon…
Nel 1968 Schoendoerffer ha vinto l’Oscar col documentario La pattuglia Anderson sulla guerra americana nel Vietnam. Quando in Italia lo trasmette il secondo canale Rai, la stampa lo passa sotto silenzio, come opera filoamericana firmata di un colonialista francese. Io, che ho già visto 317.mo Battaglione d’assalto, invece m‘incanto. Passano anni e anni. L’11 ottobre 2003 Schoendoerffer mi riceve a Parigi. E mi racconta la sua vita per un’intervista rimasta inedita. Mi racconta che nel 1965 Perrin gli si era presentato paffuto, offrendosi per il personaggio principale di 317.mo battaglione d’assalto, che però doveva essere magro. Mi racconta anche che Perrin torna da lui un mese dopo, deperito come auspicato, senza che nemmeno che il ruolo gli sia stato promesso. Schoendorffer ne è colpito e lo assume. Mi spiega perché: “Volevo attori disposti a sacrificarsi proprio come si fa in guerra”.
Nelll’ottobre 2003 Schoendoerffer è un giovanile settantenne, che ha appena pubblicato il romanzo L’aile du papillon. Me lo dedica, mentre nel salotto, a Parigi, XVI arrondissement, il gatto di casa vaga osservandomi. Mi osserva anche Madame Schoendoerffer, figlia di un ambasciatore della “France Libre” di De Gaulle: per lei un italiano è un (ex) nemico.
Con un percorso a cerchi concentrici il gatto di casa mi si avvicina. Ricordo che Nell’Uomo del fiume, mentre risale nel 1953 il Mekong su una vedetta, l’ufficiale interpretato da Perrin ha un altro gatto, ora tra le braccia, ora a tracolla…
Noto che Il gatto di casa ha intanto sciolto benevolmente la riserva su di me: si arrampica sulla poltrona, poi sul mio braccio, infine mi si mette a tracolla e s’addormenta. E’ una sciarpa vivente. Madame Schoendoerffer ora sa ciò che voleva sapere e infine mi sorride.
In Cinema Paradiso, Perrin non aveva certo la faccia di un siciliano adulto…