Zelensky contro Le Pen alla vigilia del voto. Basterebbero titolo ed attacco per commentare l’incursione, immotivata, del leader ucraino nella corsa all’Eliseo. E invece no, perché la faccenda un approfondimento lo merita. Come interessante è comprendere quante e quali declinazioni geopolitiche abbia l’ “Operazione Speciale” di Mosca.
L’attacco alla candidata di Rassemblement Nazional Marine Le Pen è arrivato a pochissimi giorni dal ballottaggio, momento della politica francese attesissimo anche oltralpe. Quasi dimenticando le conseguenze della crisi ucraina sul futuro dei cittadini europei, infatti, per alcuni esponenti politici di area gauche l’eventuale vittoria di Marine Le Pen appare un incubo quasi peggiore di quello dai tank con la “Z” bianca.
E non è tanto per dire. Un mese fa il segretario Pd Enrico Letta ammetteva, senza peli sulla lingua, che nel caso in cui Le Pen dovesse vincere Putin potrà fermare i carri armati. Un’affermazione forte, da taluni considerata forse esagerata ma che, in verità, ben spiega gli effetti collaterali dell’attacco russo sulla politica dell’Ue.
L’ultimo decennio è stato per l’Unione Europea uno dei periodi peggiori della sua storia. Il malcontento popolare per la gestione della crisi economica del 2008, con politiche di austerity fortemente condannate in ogni angolo dell’Unione; la freddezza con la quale i vertici di Bruxelles hanno trattato la debole repubblica ellenica; l’indifferenza di Francia e Germania quando l’Italia si trovava ( e si trova) ad affrontare enormi flussi di migranti, per poi isolarla nelle prime, drammatiche fasi della Pandemia Covid-19. E, ancora, neo membri che rivendicano il diritto di tutelare gli interessi nazionali a scapito dei regolamenti europei… Realtà che hanno messo in risalto limiti e contraddizioni dell’ “Europa dei Popoli” e polarizzato il consenso verso quelle sigle e quei partiti politici euroscettici.
La Brexit ha mostrato che dall’UE si può uscire senza ridursi per forza alla fame. La crescita e le vittorie elettorali dei partiti sovranisti in Italia sono suonate come un campanello d’allarme per le forze filo-europeiste. La riconferma di Orban ha fatto comprendere la paura che i singoli stati hanno per le conseguenze delle sanzioni:
“La posizione dell’Ungheria è che non possiamo permettere che il prezzo della guerra sia pagato dalle famiglie ungheresi. Questo è il motivo per cui continueremo a opporci” (Viktor Orban, marzo 2022).
Ue debole
Infine, Marine Le Pen ancora una volta al ballottaggio, ha dimostrato quanto le linee guida di Bruxelles in materia economica, sociale, di gestione dei flussi migratori e nella politica internazionale siano state fallimentari. E questo perché? Perché lontane dalla quotidianità di 446 milioni di abitanti dei ventisette paesi membri.
Contrariamente a quanto sostenuto dai leader europei, infatti, alla vigilia dell’attacco Putin ha trovato un’Europa tutt’altro che compatta ed unita. A monte, il sostegno a Kiev è incondizionato (come conferma anche l’infelice battuta del climatizzatore). Ma a valle, dove c’è la gente che lavora e che assiste, con crescente apprensione, all’impennata dei prezzi dell’energia e di alcune materie prime, la posizione generale appare meno netta. E più incline alla moderazione: facendo riferimento a due sondaggi (6 e 20 aprile ’22) di Fernando Pagnoncelli, il 49% degli intervistati sarebbe disposto a continuare con le forniture russe, ricorrendo alle “armi” del dialogo (primo sondaggio). Il 75% degli intervistati si dichiara inoltre preoccupato per la guerra… (secondo sondaggio)
Preoccupazioni che vanno ben oltre i conti della “casalinga di Voghera” se, oggi, la Bundesbank ha calcolato in 180 miliardi di euro le eventuali perdite tedesche a fronte della rinuncia al gas di Putin. Incubi di cui i leader europeisti sono al corrente come, d’altronde, ne è al corrente Volodymyr Zelensky che pigia sull’acceleratore delle sanzioni per ottenere maggiori vantaggi nella guerra e, magari, a fine conflitto, per porsi di fronte ad una Europa indebolita e quindi più disponibile ad accettare le richieste ucraine.
Sia Mosca sia Kiev sanno bene quanto l’Unione sia suscettibile alla politica estera statunitense, specie in materia di difesa. E conoscono anche l’influenza che i democratici USA esercitano fuori dai confini degli States: in un decennio gli interventi militari in sostegno delle “primavere arabe” con conseguente destabilizzazione di intere aree dalla Libia alla Siria, il veloce e fallimentare ritiro dall’Afghanistan, le sanzioni imposte nel 2014 alla Russia dopo l’annessione della Crimea mai hanno visto l’Unione Europea assumere posizioni, se non critiche, almeno scettiche.
Gli effetti delle sanzioni sui popoli europei
L’Europa ha obbedito. Come, d’altronde, obbedisce ora continuando a parlare di sanzioni senza tenere conto delle drammatiche conseguenze che esse potrebbero provocare. Ottenuto il pieno appoggio degli Stati Uniti, Zelensky ha maggiore potere e peso per far pressioni sull’Unione Europea affinché aiuti, ancora di più, l’Ucraina nella lotta a Putin. Spregiudicato e lungi dal comprendere i sacrifici enormi che dovremmo affrontare nei prossimi mesi (dopo per giunta due anni di pandemia), il leader ucraino punta il dito contro coloro i quali sono stati in passato sostenitori della Russia, arrogandosi il diritto di poter influenzare l’opinione pubblica occidentale e, perché no?, l’orientamento al voto dei francesi il 24 aprile.
Un atteggiamento sconsiderato ed irrispettoso che, tuttavia, fa comodo ai leader europei da Macron a Draghi. Se la colpa di Marine Le Pen, di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni è l’aver in passato espresso intenzione di dialogare con Putin, allora colpevole è l’intera Europa. Tutti hanno dialogato con il Cremlino, perché quando un paese è il tuo principale fornitore di energia sei tenuto a mantenere salde le relazioni diplomatiche. In fondo anche Cina ed Arabia Saudita non si riflettono al 100% la nostra idea di democrazia, eppure mai si è parlato di troncare i rapporti con Riyadh e con Pechino!
Spostare l’attenzione dell’opinione pubblica sui “sovranisti” filo-russi è una tattica subdola che va a vantaggio di alcuni, allontanando i ricordi degli elettori su strette di mano, accordi e cene di gala con il leader della Federazione e di Zelensky, al quale ovviamente interessa la vittoria di chi continuerà a garantire flussi di denaro ed armi al suo paese. A scapito nostro e del nostro futuro…
In Francia è finita come si pensava, punto più, punto meno. Zemmour ha fatto danni e la destra, al solito, non ci ha guadagnato nulla, il contrario…
Non bastava Sleepy Joe, adesso anche il “Grillo ucraino” si mette a far danni all’Europa…