“La maledizione degli uomini è che essi dimenticano”. Gli appassionati del grande cinema del regista John Boorman (1933) coglieranno al volo la citazione con cui lo scrivente omaggia la saggezza velata nel capolovaro Excalibur del 1981; il rimprovero con cui Merlino richiama all’ordine e al controllo Artù e i suoi cavalieri dopo le vittoriose campagne militari suona come un monito per le generazioni di tutti i tempi. Una frase profonda e vera.
Venti di guerra soffiano nell’est Europa; l’attacco all’Ucraina coinvolge le discussioni di tutti e suscita rabbia e sdegno nell’opinione pubblica di gran parte dei paesi europei. E le propagande dei diversi fronti recitano il classico teatrino volto a rivelare una parte di verità e a celarne l’altra. E i media offrono appoggio incondizionato al classico spettacolo dell’informazione condizionata volta a santificare uno schieramento e a demonizzare l’altro; ecco il bene aggredito dal male incarnato che si difende a spada tratta nella danza di una lotta impari contro un oppressore, “l’orso russo”, che per bramosia viene ad attaccare i confini di un libero popolo.
Come spesso accade la storia è molto più complessa di ciò che si rappresenta. La storia, maestra di vita che latrice di memoria, la quale insegna ma l’uomo non ascolta. E dimentica.
La storia dei rapporti ucraino-russi è secolare, anzi, millenaria. Val la pena di riscoprirla, seppur rapidamente; compito arduo da riassumere in poche righe ma che può trovare un inizio lungo le sponde del Dniepr, un fiume che se avesse voce avrebbe molte storie da narrare. In primis dal significato stesso del nome “Ucraina” traducibile in “terra sul confine” in russo e semplicemente “terra/paese” in ucraino.
I nostri manuali di storia narrano di lande popolate da popoli di diverse etnie, principalmente slavi, finni e lituani, organizzati in strutture tribali che popolavano le terre in questione durante l’alto Medioevo. I nostri testi scolastici ci parlano della nascente società medievale, con un’Europa occidentale in via di organizzazione feudale attorno ai poli della Chiesa di Roma e del trono imperiale rispolverato al tempo franchi carolingi Carlo Magno (742 – 814) al principio del IX secolo, il quale andava contrapponendosi all’Impero romano d’oriente o bizantino in uno scenario mediterraneo che aveva visto l’affermazione dell’Islam. Appena si trova il tempo per accennare le origini di ciò che un giorno avrebbe costituito nei secoli l’universo storico-culturale russi e l’insieme delle complesse relazioni ad esso legate e queste radici vanno ritrovate nella grande esperienza storica che fu la Rus’di Kiev.
Le origini di questa straordinaria esperienza storica che poco spazio trova nei nostri manuali di scuola ha interpretazioni discusse; la più accreditata vede la nascita di una civiltà derivata dall’incontro delle popolazioni autoctone slavo-orientali con i variaghi, popolazioni scandinave note sulle sponde occidentali europee come vichinghi le quali, attraversando il Baltico e percorrendo i grandi fiumi dell’estrema Europa dell’est avevano finito con lo stanziarsi su quelle terre, dapprincipio sulle sponde del lago Ladoga a nord, tra Ingria e Carelia, e successivamente lungo le rive del Volga, della Moscova e del Dniepr. Le Cronache degli Anni Passati, la più antica testimonianza scritta sulla storia di quest’epopea, attribuita monaco ucraino Nestor di Pečerska (1056 ca – 1114 ca), ci racconta come la civiltà dei ‘Rus si sviluppasse lungo il Dniepr e l’antica e importante arteria commerciale che si sviluppava dal Mar Baltico spingendosi sino al Mar Nero e all’Impero bizantino il quale, attraverso duri conflitti ma soprattutto scambi commerciali, influenzava costantemente l’area in chiave culturale; e alla crescita economica e culturale corrispondeva lo stabilizzarsi della struttura sociale e politica dell’entità che, dalla leggendaria fondazione del Khaganato del capostipite Rijurik (798 ca – 879) signore di Novgorod, vide il proprio sviluppo attorno alla capitale Kiev, la città che oggi vive lo stato di assedio.
Sarebbe interessante approfondire questa storia, raccontando delle vicende legate ai grandi sovrani discendenti da Rijurik, che diedero vista alla dinastia dei rijurikidi, da Oleg (? – 912) a Igor (877 – 945) passando per Svjatoslav (930 ca – 972) sino al più grande sovrano, Jaroslav (978 – 1054), e alla seguente caduta dovuta alle lotte intestine e alle invasioni tataro-mongole del XIII secolo che posero fine a questa straordinaria – e trascurata – pagina di storia dell’Europa orientale, ma non è questo il contesto né l’obbiettivo dello scrivente, che mira ad esporre come si è giunti alla tensione dei tempi contemporanei. Tuttavia non si chiuderà questa parte del racconto senza esporre un fatto fondamentale, ovvero la decisiva conversione di quei popoli al Cristianesimo, avvenuta al tempo di re Vladimir (958 – 1015) nel 988 d.C.; una conversione che non fu importante solo come atto di fede in sé ma bensì avrebbe rappresentato nei secoli un fattore politico non indifferente poiché a partire da quella data la cultura e l’essenza dei popoli dell’est Europa, al pari di quelli dei Balcani, si legherà intimamente alla Chiesa di rito ortodosso; in particolare la fedeltà andava prima al Patriarcato di Costantinopoli e alla metropolita Chiesa di Kiev e successivamente al futuro Patriarcato di Mosca (1589) in un contesto che, sebbene non si fosse ancora realizzata la divisione con la Chiesa di Roma, poneva i futuri russi in un campo che presto li avrebbe contrapposti al cattolicesimo a partire dal Grande Scisma del 1054. Una divisione che nella storia dell’est Europa avrà il suo peso come vedremo.
Dalle ceneri del ‘Rus sorsero diverse piccole unità statali organizzatesi in piccole repubbliche locali o ducati indipendenti e in lotta fra loro; è a questa fase che si usa far risalire le origini delle differenziazioni etniche e – in parte – culturali nelle in tre distinte comunità che ancora oggi caratterizzano l’oriente europeo: quella russa ad est del Dniepr, quella bielorussa a nord del fiume e quella ucraina a ponente; confini ovviamente non chiari e soggetti ai mutamenti dei secoli a seguire.
Ridotta al vassallaggio per circa due secoli nei confronti dei khanati tatari, la futura Russia aveva visto il sorgere di diverse entità statuali; tra questi spiccavano il Principato di Novgorod, in grado di fermare nel 1242 l’avanzata dei cavalieri teutonici sul lago Peipus sotto la guida del grande Aleksandr Nevskij (1220 – 1263) durante le crociate del nord, e il Principato di Vladimir-Suzdal il quale avrebbe avuto la forza di riunire tutti gli Stati autonomi nel Granducato di Mosca (1283) sotto Daniele di Russia (1261 – 1303) e liberarsi dell’influenza tatara (1380) elevandosi a Regno (1547) sotto Ivan IV “il terribile” (1530 – 1584), l’ultimo esponenti della dinastia dei rjurikidi. Questi assunse il titolo “Zar” delle Russie, ovvero di “Cesare” quale erede del morente Impero bizantino (29 maggio 1453) e generando il mito della “Terza Roma” che si identificava nella capitale Mosca.
Ma non tutti gli antichi territori dei ‘Rus furono riunificati sotto la “Moscovia”, anzi. L’Europa occidentale non era rimasta immobile in questi secoli; come ben sappiamo dai libri di testo si era assistito all’ascesa dell’Sacro Romano Impero e dello Stato Pontificio, alla lotta delle investiture tra le due parti e al sorgere delle potenti monarchie di Francia e Inghilterra nonché alla grande epopea umana, militare e sociale rappresentata dalle Crociate. Crociate che non riguardarono solo la cosiddetta “Terra Santa” gerosolomitana ma anche le pianure dell’Est europeo; sotto l’insegna della croce nera teutonica e di quella dei cavalieri Porta Spada, Chiesa cattolica e Impero diffondevano il “Verbo di Cristo” presso i popoli non ancora cristianizzati delle coste baltiche, favorendo e rafforzando parallelamente l’organizzazione del commercio attraverso la lega delle città anseatiche.
Ma non erano gli unici attori ad agire. Una potente entità statuale, originata dall’etnia slava dei polani, era sorta da tempo in quell’area, il cattolicissimo Regno di Polonia che, unitosi dinasticamente col neo-convertito Granducato di Lituania – Unione di Krewo, 1385 – aveva dato inizio all’avvincente storia di una delle grandi potenze europee dell’est, che avrebbe dominato la scena di quelle zone contrastando e arrestando prima l’espansione teutonica, il cui Stato vassallo del Papa sarebbe finito con l’essere inglobato, ma anche contrastando la nascente potenza zarista, che freneticamente cercava di tornare a lambire le sponde del Mar Baltico come ai tempi dei ‘Rus. Una potente presenza che aveva progressivamente inglobato nei propri domini proprie le antiche terre ad Occidente del Dniepr, inclusa l’antica città di Kiev ma anche gran parte dell’ortodossa Bielorussia.
E con l’espansione polacco-lituana avanzava anche la religione cattolica, i cui rapporti con la consorella Chiesa ortodossa erano allora ai minimi storici dopo la tragedia rappresentata dalla Quarta Crociata (1202-1204), comportante la prima caduta dell’Impero bizantino. E questo contrasto non va sottovalutato, perché fu generatore di un fortissimo astio fra l’elemento cattolico e quello ortodosso in quelle terre.
Ora lo scrivente tende a precisare un concetto. Quando si sottolinea una fase di tensione fra due etnie non s’intende imporre la convinzione dell’esistenza di un astio collettivo; certamente i rapporti fra le varie componenti avranno vissuto fasi di distensione e pacifica convivenza; quello che si precisa è l’esistenza di possibili “nervi scoperti” in grado di modificare improvvisamente i rapporti fra due parti.
Venne il tempo della guerra. Regno di Russia e Unione Polacco-Lituana si sfidarono contendendosi – con svedesi e danesi – le coste baltiche che da Danzica giungevano all’Ingria; un ciclo di conflitti che a partire dalle guerre lituano-moscovite (1492-1537), passando dalla tremenda Guerra di Livonia (1558-1683) e giungendo alla decisiva Guerra russo-polacca (1605-1618) aveva visto la Polonia-Lituania, divenuta nel frattempo Confederazione (1569), giungere all’apice della propria espansione, sfondando la linea del Dniepr e occupando le zone orientali ucraine e bielorusse, sognando di cingere addirittura la corona zarista; in questa fase storica, quella che noi consideriamo oggi lo Stato ucraino rientrava interamente – con la dovuta eccezione della Crimea, khanato tataro – sotto le insegne confederate polacco – lituane.
Se è vero che la Polonia-Lituania, fra gli Stati aderenti alla confessione cattolica in piena età della Controriforma, si dimostrava fra i più tolleranti verso le confessioni minoritarie quali protestanti e ortodossi, è altrettanto vero che la nobiltà agraria polacca favorisse le chiese di rito orientale che riconoscevano nel Papa la propria guida – aderenti all’Unione di Brest (1595-1596) – generando una forma discriminatoria verso l’elemento rurale, che ostinatamente guardava alla sede patriarcale di Mosca e non a quella di Roma. Questo valeva principalmente per le zone prossime al confine con la Moscovia, poiché l’area più occidentale andava assimilandosi maggiormente ai vicini lituani rispetto ai bielorussi o ai “ruteni” a destra del Dniepr.
Quest’ultima mal sopportava l’ingerenza della nobiltà cattolica polacco-lituana, che a sua volta discriminava un’altra componente sociale fondamentale: i cosacchi zaporoghi.
Le tensioni covate esplosero nella grande rivolta cosacca guidata da Bohdan Chmel’nyc’kyj (1596 – 1657) nel 1648 che presto coinvolse prima i ruteni/ucraini orientali e poi direttamente il Regno russo retto ora dalla dinastia dei Romanov (1613 – 1917), dando inizio ad un decisivo conflitto russo-polacco (1654-1667) che si sarebbe conclusa con una disfatta per la Confederazione polacco-lituana e in una serie di allucinanti stragi ai danni di cattolici, non importa se polacchi, ruteni o lituani, perpetrate dai ribelli. Improvvisamente le sorti si erano capovolte; la Polonia-Lituania perdeva in un colpo non solo i territori dell’odierna Ucraina ad est del Dniepr – quelli che oggi definiamo Donbass – con l’importante centro di Smolensk a favore del Regno russo che, inoltre, strappava la stessa Kiev – Trattato di Andrusovo, 1667. Ancora oggi la storiografia polacca definisce “diluvio” la catastrofica sconfitta militare che costò in un ventennio la perdita di Kiev e dei territori orientali; per gli odierni nazionalisti ucraini rappresenta l’inizio della progressiva cattività sotto il giogo russo.
Per la Russia fu l’inizio dell’apogeo che, grazie alla grande vittoria sugli svedesi nella Grande Guerra del Nord (1700-1721), permise a Pietro I Romanov “Il Grande” (1672 – 1725) di dare vita all’Impero russo (1721), in un processo che vide una decisa russificazione – l’ucraino venne proibito – dei territori progressivamente annessi sotto il dominio zarista, tra i quali si aggiungeva la Crimea (1783). Per la Polonia-Lituania – inclusa l’Ucraina occidentale – fu l’inizio del declino che l’avrebbe portata a sparire con le celeberrime “spartizioni” avvenute tra il 1772 e il 1795 a favore della Casa d’Austria, del Regno di Prussia e, naturalmente, dell’Impero russo.
La fine della Polonia – Lituania divideva ulteriormente il territorio preso in questione. Dopo le spartizioni anche il grosso della restante parte dell’odierna Ucraina veniva annessa alla Russia – che strappava pure la Lituania e la Bielorussia – con l’unica eccezione dovuta della Galizia, annessa ai domini degli Asburgo d’Austria. A differenza dei territori dell’attuale Donbass, culturalmente russi da sempre, i territori ucraini annessi dalle spartizioni polacche non si fusero mai completamente con la componente russa, per quanto condividessero la medesima fede ortodossa.
Nel frattempo, era seguita un’epoca intensa e cruciale, caratterizzata dalla Rivoluzione francese (1789), dalle guerre napoleoniche (1792-1815) e dall’età del romanticismo e dei movimenti nazionalisti, che nell’est Europa s’incarnarono principalmente nel mito della “resurrezione della nazione polacca”, più volte ribellatasi al governo zarista, ma che certamente alcuni influssi dovette trasmettersi nei territori ucraini. Venne poi l’epocale svolta legata alla Grande Guerra (1914-1918) e alla successiva Rivoluzione bolscevica (1917) sfociante nella Guerra civile russa (1917-1922). In un decennio si registrò il crollo dell’Impero russo e l’ascesa dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. E quello che un tempo costituiva la ‘Rus di Kiev ora si divideva in tre entità statuali federate: la dominante Russia, la fedele Bielorussia e l’Ucraina, etnicamente composita e a maggioranza ucraino-rutena ad occidente e russa a oriente del Dniepr. Un’Ucraina che avrebbe sofferto le politiche collettivizzanti degli anni Venti e Trenta del Novecento che causarono la morte di milioni di persone per fame: fu il cosiddetto “Genocidio Ucraino”.
Ma la Grande Guerra aveva prodotto anche altri esiti, con la rinascita delle repubbliche baltiche e, soprattutto, della Polonia che annetteva ancora una volta parte dei territori storici ucraini. Territori che coltivarono un’ostilità mal velata verso il gigante sovietico, sottovalutando però un altro gigante, la Germania nazista, che allo scoppio del secondo conflitto mondiale nel Settembre del 1939 li prese alle spalle alleandosi sorprendentemente con la Russia comunista. Un’alleanza effimera e temporanea, che si tradusse rapidamente in guerra dichiarata (1941) e nell’immane tragedia che tutti noi abbiamo studiato; una tragedia che vide ben 30.000 ucraini schierarsi come volontari nelle Waffen SS confidando nella vittoria e nella creazione di uno Stato ucraino indipendente, andando però a scontrarsi non solo con i russi ma anche con gli stessi fratelli ucraini che combattevano contro l’invasore tedesco. La sconfitta della Germania e il crollo del Reich produsse un esito interessante; con la pace e le annessioni sovietiche ai danni della Polonia – che vide rivoluzionare i suoi storici confini fra cessioni, compensazioni e migrazioni di massa – le genti ucraine si trovarono per la prima volta sotto un’unica entità statale entro i confini di uno Stato – capitale Charkov e non Kiev– che però presentava anche la storica componente etnica russa sita lungo le terre site a destra del fiume.
Come spesso si verificò negli stati sotto regime socialista – vedasi in questo la Jugoslavia titoista -, in alcune zone dove per secoli si erano registrate tensioni etniche, culturali e spirituali all’improvviso si registrò una tranquilla convivenza. Così avvenne nell’Ucraina post-staliniana, dove le zone orientali a maggioranza russa tranquillamente coesistevano con quelle occidentali a maggioranza rutena/ucraina. Favorita dal governo del connazionale Nikita Chruščëv (1894 – 1971), che avvantaggiò la Repubblica inglobando nel territorio la Crimea (1954), tolta alla Russia col pretesto di festeggiare “i tre secoli di amicizia russo-ucraina richiamandosi al Trattato di Perejaslav (1654), quando i cosacchi di Chmel’nyc’kyj accettarono la protezione zarista. In questa fase storica l’Ucraina registrò un notevole potenziamento proprio delle terre oggi contese del Donbass, ricche di giacimenti carboniferi, nonché del commercio marittimo grazie al porto di Odessa e alla strategica Crimea; in pratica, sul piano economico, le aree più sviluppate si rivelarono quelle a maggioranza russa. Visse anche lo sviluppo delle centrali nucleari, che registrarono l’immane incidente di Čhernobyl’ (1986)
E venne il 1991, col collasso progressivo dell’Unione Sovietica e la nascita dell’indipendente Repubblica ucraina. Per la prima volta gli ucraini potevano riunirsi in uno Stato libero. Uno Stato però a due componenti etniche: quella ucraina e quella russa, che non ci stancheremo di sottolineare essere collocata sulla riva destra del Dniepr, ovvero nel Donbass. Uno Stato a maggioranza ortodossa ma con una forte presenza cattolico-uniate a occidente – oltre ad altre minoranze. Una Repubblica che è stata in grado di convivere e svilupparsi pacificamente per quasi un ventennio, senza il minimo segno di tensione, rimanendo in un’ottica di politica estera filo-russa come per il resto delle ex Repubbliche sovietiche. Questo prima del decennio 2004 caratterizzato dai celebri eventi della Rivoluzione Arancione (2004), della seguente “Crisi del Gas” relativa ai rapporti economici coi russi (2007) sino al tumulto di Piazza Maidan (2013) e alla Rivoluzione del 2014 che ha portato all’abbattimento del presidente filorusso Viktor Janukovič (n. 1950) in favore di una nuova Ucraina che improvvisamente si scopriva filoeuropea e, cosa nuovissima, filo-atlantista. AL punto da richiedere l’ingresso nella storica nemica della Russia contemporanea, la N.a.t.o.
Appare evidente a tutti coloro che hanno studiato la storia dei rapporti russo-americani quanto l’attuale Ucraina, la terra del Dniepr, “confine” secondo i russi e “terra” secondo gli ucraini, sia finita vittima di un gioco geopolitico più grande di lei; da un lato le bramosie di Usa, Nato e della discutibile Ue verso un’influenza su una terra strategica militarmente e, soprattutto, economicamente; dall’altro quello della Russia, che vede minacciati i propri confini naturali da un’eventuale presenza “atlantista” nonché compromessa la propria influenza sul controllo delle aree russofone ricche di giacimenti carboniferi del Donbass. Un gioco che presto ha portato ad un aperto conflitto interno fra gli ucraini nazionalisti e i russo-ucraini oltre il Dniepr, autoproclamatosi indipendenti come Repubblica di Doneck e quella di Lugansk in uno scenario dove il governo di Kiev avrebbe attuato una politica discriminatoria crescente nei confronti dell’elemento russo, che ha reagito impugnando le armi. E la Russia ha reagito; dapprima occupando la Crimea (2014) – che di ucraino non ha mai avuto nulla – e iniziando trattative volte alla tutela dei rapporti economici sulle risorse carbonifere e di quelli sociali dei russi del Donbass sfociate negli effimeri protocolli di Minsk (2015) sino all’intervento diretto. Ucraina neutrale e Donbass indipendente: ecco la richiesta.
E nel frattempo il Dniepr continua a scorrere, denso di storia e rapporti conflittuali, che tutti noi speriamo concludersi il prima possibile e nella migliore soluzione per tutti: russi, ucraini o europei che essi siano. E che le generazioni future possano ricordare le vicende storiche delle proprie terre natie, affinché gli errori del passato non si ripresentino nel futuro.
La Russia di Putin finora ha fatto di tutto per approfondire “gli errori del passato”.
Però, riconosciamo che la Blizkrieg al Valium è stata una grande invenzione strategica di Vladimir, degna di un von Clausewitz
Che adesso, invece di affidarsi alle preci del suo Patriarca, elemosina …armi alla Cina!!!!!
Ancora con la lagna sulla Nato cattivona che minaccia la Russia!
Premesso che la Crimea non era nemmeno russa, dato che era abitata per lo più da Tatari deportati da Stalin, e premesso che anche nel Donbass c’è chi vuole restare in Ucraina, dato che la Russia non si è rivelata quel paradiso della cuccagna che sembrava;
qui l’unico che minaccia è Putin. La Nato non ha mai voluto espandersi in Ucraina; è una alleanza difensiva, non offensiva; i Paesi ex sovietici dell’Europa orientale hanno fatto la fila per entrarvi proprio perché temevano Mosca (e mi pare che gli eventi attuali confermino i loro timori); la Russia non si è mai opposta al loro ingresso nella Nato, la quale anzi aveva messo in piedi una partnership con la Russia stessa, poi venuta meno quando Putin si è preso la Crimea, dopo che qualche anno prima aveva attaccato la Georgia.
La Nato non ha minacciato mai la Russia, verissimo.
Putin è un “criminale di guerra”. Lo ha detto il presidente Usa Joe Biden. Si mette male, come ogni volta che gli americani si sentono i paladini del Bene e gli altri sono ‘criminali’. Putin lo sarà pure, ma come si fa poi a ‘ricucire’ per trattare?
La NATO non ha mai voluto espandersi in Ucraina, la NATO non ha mai minacciato la Russia. Ma scherzate o cosa ? E le mega esercitazioni nel Baltico ? Ma concentriamoci sull’Ucraina. Nel 2021 ne sono state fatte ben tre nella terra di Gogol e Bulgakov. La prima, denominata Brezza Marina, alla quale hanno partecipato NATO & friends (ben 32 paesi); la seconda, dal nome suggestivo “Tre Spade” e l’ultima, spettacolare, denominata Tridente Rapido. Come avrebbe dovuto interpretare, la Russia, questo sfoggio di potenza ? Come atti di pura vanità militare ? Ah no, è vero, che sciocco, era in virtù della natura difensiva dell’alleanza, come dire, guarda quanto siamo forti Vladimir, togliti dalla testa le velleità neo-imperialiste e lasciaci prendere possesso completo del Mar Nero. Tralasciamo qui, per non dilungarsi troppo, le vicende delle discriminazioni e dei massacri a cui è stata sottoposta la popolazione russa e russofona. Non è propaganda putiniana, lo confermava anche l’OSCE. Vi recupero il report, se volete.
Quanto alla stretegia militare, di guerra lampo non ha mai parlato nessuno in Russia. Ci sono troppi Von Clausewitz alla carbonara, mi sembra.
Infine, se non fosse chiaro, che piaccia o meno, il mondo viaggia spedito verso la multipolarità, a meno che i vostri amichetti yankees non decidano di far valere le loro ragioni come hanno fatto con Hiroshima e Nagasaki. Questa volta però si farebbero male anche loro, e tanto.