Nato a Bologna il 5 marzo 1922, Pier Paolo Pasolini – com’è noto – fu assassinato in una zona periferica di Ostia nella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975. Sicché, se quest’anno ricorre il centesimo anniversario della sua nascita, sette anni fa veniva commemorato il quarantesimo anniversario della sua morte. In quell’occasione, ossia, nel corso del 2015, sono stati pubblicati vari libri. Indubbiamente, uno dei più interessanti, edito dalla Rizzoli, e che mi ha suggerito il tema di questo articolo, è stato Pasolini, un uomo scomodo di Oriana Fallaci, libro che si avvale di una Introduzione di Alessandro Cannavò, responsabile delle pagine “Eventi culturali” del «Corriere della Sera».
Come ben sappiamo, giornalista di fama mondiale, Oriana Fallaci ebbe modo d’intervistare praticamente tutte le grandi personalità politiche delle ultime decadi, divenendo anche una delle scrittrici più rispettate e lette del mondo. Tradotta in oltre venti lingue, i suoi dodici libri hanno venduto, a tutt’oggi, più di venti milioni di copie. In particolare, ricordo La rabbia e l’orgoglio, la cui prima edizione è del 2001, un autentico best-seller che nella sola Italia ha venduto finora oltre un milione e mezzo di copie. Un libro il cui tono è quello del pamphlet, scritto con grande coraggio sotto la spinta emotiva dell’apocalisse dell’11 Settembre 2001 a New York – città dove la Fallaci visse gran parte della sua vita –, con accuse durissime e invettive furiose contro il mondo contemporaneo e, soprattutto, il terrorismo, l’estremismo e il fanatismo religioso originati dall’Islam.
Ritornando al libro Pasolini, un uomo scomodo, in esso si ritrova riunito tutto quel che Oriana Fallaci (lo ricordo, morta a Firenze il 15 settembre 2006 all’età di settantasette anni) scrisse a proposito del grande poeta e cineasta italiano da quando lo conobbe, nel 1963, mentre questi stava lavorando al documentario Comizi d’amore e in cui lei compariva per una breve intervista. Sono, per l’esattezza, cinque lunghi articoli pubblicati in origine su «L’Europeo» [cfr. FALLACI, 2015].
Tre di essi riguardano la controinchiesta che Oriana condusse sulla morte di Pier Paolo (Ucciso da due motociclisti; È stato un massacro; Il testimone misterioso) [cfr. IDEM: 51-54, 69-102]. Difatti, in questi articoli la giornalista e scrittrice toscana smonta la tesi ufficiale dell’unico colpevole (l’allora minorenne Pino Pelosi) e indica – in base a un testimone oculare – la pista del delitto di gruppo. A seguito di tali articoli la Fallaci subì un processo, nel corso del quale si rifiutò di rivelare le sue fonti, la qualcosa le sarebbe costata una condanna a quattro mesi, sperimentando, oltretutto e per la prima volta, la scarsa solidarietà dei suoi colleghi giornalisti, in particolare da parte di coloro che appartenevano alla sua stessa area ideologica di sinistra.
Un altro articolo, anch’esso posteriore alla morte del poeta e cineasta, è una lettera aperta (Lettera a Pier Paolo) pubblicata, per la prima volta, nell’edizione del 14 novembre 1975 dell’«Europeo», ossia, dodici giorni dopo il barbaro assassinio [cfr. IDEM: 55-68]. Si tratta, fondamentalmente, di un omaggio a Pasolini. Anche se la lettera si apre con un incipit feroce in forma di risposta all’impietoso parere che Pier Paolo aveva inviato a Oriana in merito al libro, da lei pubblicato in quello stesso anno, Lettera a un bambino mai nato. Ricordo come questo libro sia stato il primo grande successo a livello mondiale della scrittrice toscana, e nel quale lei immagina di parlare con la creatura portata nel suo ventre, chiedendosi se sarebbe stato giusto o no metterla al mondo. Un argomento sul quale Pasolini si espresse in forma violenta e cruda:
«Ho ricevuto il tuo ultimo libro. Ti odio per averlo scritto. Non sono andato oltre la seconda pagina. Non voglio leggerlo, mai. Non voglio sapere cosa v’è dentro la pancia di una donna. Mi disgusta la maternità» [IDEM: 55].
Parole forti e di netto rifiuto. Una rabbia che sembra «dettata da un timore ancestrale, dalla ribellione dell’inconscio» [CANNAVÒ, 2015: 10]. Parole che in modo chiaro e profondo feriscono qualsiasi donna, non solo la stessa Oriana Fallaci. Da qui la lettera di risposta, per certi versi impietosa, da lei scritta e pubblicata, nella quale prende nettamente le distanze dal testo pasoliniano e dall’idea che ne è alla base. Questo rappresenta solo uno dei tanti conflitti occorsi durante gli oltre dieci anni di amicizia fra i due scrittori e intellettuali. L’ultimo conflitto e forse il più violento. Nonostante ciò, anche considerando che la Fallaci si sentiva attratta – tanto come giornalista quanto come donna – da un uomo che mostrava «un misto di candore e perversione, di timidezza e di crudezza» [IDEM: 11], cercò di trovare, postumamente, una giustificazione a tale reazione. Così, ritenne che quelle parole di Pasolini fossero in realtà rivolte a se stesso e alla morte che sempre cercava,
«per mettere fine – nelle parole della stessa Fallaci – alla rabbia d’essere venuto al mondo grazie a una pancia gonfia, due gambe divaricate, un cordone ombelicale che si snoda nel sangue.» [FALLACI: 56].
L’unico modo per placare quella rabbia – continua la giornalista e scrittrice toscana nel suo articolo a mo’ di missiva –
«sarebbe stato prenderti fra le braccia: amarti come solo una donna sa amare un uomo. Ma tu non hai mai permesso a una donna di prenderti fra le braccia, amarti. Quel nostro ventre da cui sei uscito ti ha sempre riempito di orrore. Fuorché tua madre che veneravi come una Madonna messa incinta dallo Spirito Santo […], noi donne ti incutevamo fisicamente un disgusto. Se ci accettavi, era per pietà. Se ci perdonavi, era per volontà. E in ogni caso non dimenticavi mai la leggenda che dà a noi la colpa d’aver colto la mela, scoperto il peccato. Odiavi troppo il peccato, il sesso che per te era peccato. Amavi troppo la purezza, la castità che per te era salvezza. E meno purezza trovavi più ti vendicavi cercando la sporcizia, la sofferenza, la volgarità: come una punizione.» [IDEM: 56-57].
Oriana sa benissimo che queste sue parole sono dirette e dure:
«Sono cattiva a dirti questo? Sono crudele anch’io? Forse, ma sei stato tu ad insegnarmi che bisogna essere sinceri a costo di sembrare cattivi, onesti a costo di risultare crudeli, e sempre coraggiosi dicendo ciò in cui si crede: anche se è scomodo, scandaloso, pericoloso. Tu scrivendo insultavi, ferivi fino a spaccare il cuore. Ed io non ti insulto dicendo che non è stato quel diciasettenne ad ucciderti: sei stato tu a suicidarti servendoti di lui. Io non ti ferisco dicendo che ho sempre saputo che invocavi la morte come altri invocano Dio, che agognavi il tuo assassinio come altri agognano il Paradiso. Eri così religioso, tu che ti presentavi come ateo. Avevi un tale bisogno di assoluto, tu che ci ossessionavi con la parola umanità. Solo finendo con la testa spaccata e il corpo straziato potevi spengere la tua angoscia e appagare la tua sete di libertà. E non è vero che detestavi la violenza. Col cervello la condannavi, ma con l’anima la invocavi: quale unico mezzo per compiacere e castigare il demonio che bruciava in te. Non è vero che maledicevi il dolore. Ti serviva, invece, come un bisturi per estrarre l’angelo che era in te.» [IDEM: 57-58].
Tali affermazioni che a volte sembrano quasi ammantare Pasolini di una luce angelicale sono, a mio avviso, sacrosante, in quanto rispecchiano assai bene e con assoluta verità quella che era la sua dimensione tragica.
Occorre dire, a onor del vero, che la Fallaci non aveva in simpatia gli omosessuali e Pasolini era – com’è a tutti noto – omosessuale. A suo tempo, una “condizione-scandalo” a seguito della quale dovette subire numerosi processi – più di trenta –, oltre a essere stato, nel 1949, sospeso dall’insegnamento ed espulso dal PCI. Oriana Fallaci era infastidita da «certi atteggiamenti e ritualità tipici di un mondo che l’America avrebbe poi globalizzato e denominato con il termine gay» [CANNAVÒ, 2015: 14]. Tuttavia, non v’era niente di “allegro” (come sappiamo, è questo il significato letterale del termine gay in italiano) nel mondo, nella vita di Pasolini. Al contrario, c’erano dei rischi, come dimostra la sua morte violenta, oltre a situazioni ricorrenti di profonda desolazione.
Nell’Introduzione al libro di Oriana Fallaci, Alessandro Cannavò suggerisce che forse Pasolini
«oggi sarebbe stato contrario ai matrimoni fra gente dello stesso sesso e all’adozione dei bambini o al loro concepimento in provetta, insomma a quell’imborghesimento e omologazione di una natura diversa, di una condizione contro le regole rassicuranti della società.» [IDEM: 15].
Inoltre, non si può dimenticare la sua ferma posizione antiabortista, assunta pubblicamente allorquando scrisse un articolo, nel 1975, in cui si diceva traumatizzato al pensiero della legalizzazione dell’aborto poiché ritenuta – parole sue – «una legalizzazione dell’omicidio» (1).
Tornando al libro, il quinto articolo fu originariamente scritto da Oriana Fallaci quando Pasolini era ancora in vita. Datato 13 ottobre 1966, s’intitola: Un marxista a New York. Ovviamente, il marxista era lo stesso Pasolini, trattandosi di un magnifico articolo scritto allorquando i due s’incontrarono, nel 1966, negli Stati Uniti [FALLACI, 2015: 37-49]. Il grande poeta e cineasta italiano fu d’immediato sedotto dalla Coca-Cola e da New York:
«Vorrei avere – dice Pier Paolo, confessandosi a Oriana – diciott’anni per vivere tutta una vita quaggiù. […] È una città magica, travolgente, bellissima. Una di quelle città fortunate che hanno la grazia. Come certi poeti che ogniqualvolta scrivono un verso fanno una bella poesia. Mi dispiace non essere venuto qui molto prima, venti o trent’anni fa, per restarci. […] Ma non è solo la sua bellezza fisica che conta. È la sua gioventù. È una città di giovani, la città meno crepuscolare che abbia mai visto. E quanto sono eleganti, i giovani, qui.» [IDEM: 39-40].
Considerazioni, queste, che suscitano d’immediato grande stupore in Oriana Fallaci. Per poi Pasolini aggiungere:
«Hanno un gusto favoloso: guarda come sono vestiti. Nel modo più sincero, più anticonformista possibile. Non gliene importa nulla delle regole piccolo-borghesi o popolari. Quei maglioni vistosi, quei giubbotti da poco prezzo, quei colori incredibili. […] Ti vien voglia di imitarli e magari li imiti perché dove puoi vestirti così? A Roma? A Milano? A Parigi? Io là ho sempre paura che la gente si volti, mi guardi. Qui non ho alcun complesso, posso andarmene vestito come voglio, senza che nessuno si volti e mi guardi.» [IDEM: 40].
Ma quando Oriana Fallaci sottolinea che tutti i comunisti europei che sbarcano negli Stati Uniti, pieni di ostilità, pregiudizi e talvolta anche di disprezzo, presto perdono la testa e «cadon colpiti dalla Rivelazione, la Grazia», ecco che Pasolini, scuotendo «le spalle, sdegnoso», risponde:
«Io sono un marxista indipendente, non ho mai chiesto l’iscrizione al partito, e dell’America sono innamorato fin da ragazzo. Perché, non lo so bene. La letteratura americana, tanto per fare un esempio, non mi è mai piaciuta. […] Il cinema, forse. Tutta la mia gioventù è stata affascinata dai film americani, cioè da un’America che ho ritrovato: è un’America giovane, disperata, idealista. V’è in loro un gran pragmatismo e allo stesso tempo un tale idealismo. Non sono mai cinici, scettici, come lo siamo noi. Non sono mai qualunquisti, realisti: vivono sempre nel sogno e devono idealizzare ogni cosa. Anche i ricchi, anche quelli che hanno nelle mani il potere. Il vero momento rivoluzionario di tutta la Terra non è in Cina, non è in Russia: è in America. Mi spiego? Vai a Mosca, vai a Praga, vai a Budapest, e avverti che la rivoluzione è fallita: il socialismo ha messo al potere una classe di dirigenti e l’operaio non è padrone del proprio destino. Vai in Francia, in Italia, e ti accorgi che il comunista europeo è un uomo vuoto. Vieni in America e scopri la sinistra più bella che un marxista, oggi, possa scoprire. Ho conosciuto i giovani dello Sncc, sai gli studenti che vanno al Sud a organizzare i negri (2). Fanno venire in mente i primi cristiani, v’è in loro la stessa assolutezza per cui Cristo diceva al giovane ricco: “Per venire con me devi abbandonar tutto, chi ama il padre e la madre odia me”. Non sono comunisti né anticomunisti, sono mistici della democrazia: la loro rivoluzione consiste nel portare la democrazia alle estreme e quasi folli conseguenze.» [IDEM: 41-43].
Potrei continuare a citare le parole di Pasolini contenute in questo splendido articolo scritto da Oriana Fallaci, ma credo che siano sufficienti le affermazioni riportate per capire quanto egli fosse un intellettuale scomodo, fuori dagli schemi, disobbediente a qualsiasi regola.
Il suo vissuto è stato molto tormentato, sviluppandosi lungo un percorso ideologico piuttosto eterodosso. Scopre il marxismo, ma in un senso abbastanza critico, pubblicando nel 1957 Le ceneri di Gramsci, probabilmente la sua opera poetica più rappresentativa, in cui canta la dialettica fra ragione rivoluzionaria e passione regressiva. Il suo percorso è segnato anche da numerose incursioni in direzione di una religione più tradizionale, con i suoi riti e i suoi valori collettivi, in cui traspare la presenza di un complesso di colpa dovuto alle sue trasgressioni. Il tutto sorretto da un forte anticonformismo, ponendosi come voce diversa, sempre alla ricerca di una sua propria verità, in politica come in arte, nelle relazioni umane come nelle forme quotidiane del linguaggio. Caratteristiche, queste, rintracciabili anche nelle sue opere cinematografiche, così come in molti suoi racconti e romanzi, in particolare quelli contrassegnati da una sorta di impronta picaresca, ambientati nell’universo del sottoproletariato romano.
È importante sottolineare il modo in cui si sono intrecciate le sorti di Oriana Fallaci e di Pier Paolo Pasolini. Due scrittori e intellettuali nati e formatisi nella sinistra, ma che negli anni sono diventati riferimenti culturali delle destre di tutto il mondo. Oriana per la sua battaglia in difesa dell’Occidente contro l’Islam fanatico e violento; Pier Paolo per la sua fedeltà alla terra e il suo amore per la tradizione. Di certo, segnali evidenti di quanto siano obsolete o limitate le categorie di “destra” e “sinistra”. Ma anche segnali di quanto fossero visionari i due, essendo stati entrambi ripudiati dalla sinistra di regime e venendo riscoperti solo dopo la loro morte. Però – attenzione! – riscoperti “a pezzi e a bocconi”, poiché l’integralità e la totalità delle loro idee risultavano troppo “dure” da digerire.
Considerando la sua importanza nel percorso di vita dello scrittore e cineasta italiano, vorrei citare un evento di rilevanza storica che precede di quasi un decennio la sua tragica scomparsa. Mi riferisco all’incontro di Pasolini con Ezra Pound, avvenuto nel corso di un’intervista concessa alla RAI da quest’ultimo, condotta dallo stesso Pasolini nell’ottobre del 1967, ma trasmessa solo nel 1968. Un’intervista realizzata dopo che Pasolini, anni prima, aveva mostrato la sua indisponibilità a riconoscere la grandezza del poeta americano, considerandolo «semplicemente» un fascista e un razzista [cfr. SICILIANO, 2015: 469]. Parlo di un evento, un incontro di rilevanza storica, non solo per il mondo della letteratura e della poesia in particolare, ma anche per la vita di due intellettuali irregolari e anticonvenzionali, che avevano in comune la predilezione di mettersi in gioco in prima persona, con assoluto coraggio e senza risparmiarsi di fronte alle conseguenze che ne sarebbero derivate. Da una parte, Ezra Pound, già vecchio e stanco, pieno di rughe, ma estremamente lucido, indifferente al peso delle vicissitudini sofferte, quali le accuse di tradimento contro la sua Patria, per aver appoggiato lo stato fascista, e l’esperienza di essere stato rinchiuso in un manicomio criminale a Washington; dall’altra parte, il Pasolini scrittore e regista che continuava a essere frainteso dalla maggior parte dei critici e benpensanti italiani, incapaci di percepire la sensibilità, il coraggio e la lucidità della sua ricerca espressiva e stilistica di narratore. Le domande dell’intervistatore e le risposte dell’intervistato si rispecchiavano a vicenda, mostrando i due «la stessa disperazione, la stessa apocalisse»; entrambi lontani da ogni tipo di connotazione ideologica e politica, entrambi vivi come geni ed «esorbitanti poeti» fuori da qualsivoglia norma, disobbedienti ai canoni della letteratura convenzionale, nella certezza che la Storia in qualche modo proseguisse in direzione dei suoi stessi strani e unici cammini [cfr. IDEM: 470]. In questo incontro si assiste all’approssimarsi a un filo riallacciato nella scia dei versi di Pound che Pasolini ridisegna, appropriandosi degli stessi in una nuova lettura di rara e toccante intensità.
Nel pomeriggio del 1° novembre 1975, ossia, poche ore prima che fosse assassinato, Pier Paolo Pasolini rilasciò un’intervista a Furio Colombo, suo amico di vecchia data. Il titolo di tale intervista, pubblicata su «La Stampa-Tuttolibri» la settimana a seguire il brutale assassinio, più precisamente l’8 novembre, fu scelto dallo stesso Pasolini: Perché siamo tutti in pericolo. Un titolo che rivela quasi una premonizione o un annuncio della sua morte violenta. In questa interessante intervista, assolutamente accusatoria e antisistema, Pasolini dimostra di essere stato, allo stesso tempo, un rivoluzionario e un meta-reazionario, scagliandosi contro tutto e tutti: istituzioni, poteri imperanti e persone, in una parola, prende posizione contro «la situazione» vissuta in Italia in quegli anni. Un Paese completamente omologato che lo scrittore e cineasta sempre rifiutò. Inoltre, come ribadisce lui stesso:
«Il rifiuto è sempre stato un gesto essenziale. I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali. I pochi che hanno fatto la storia sono quelli che hanno detto di no, mica i cortigiani e gli assistenti dei cardinali. Il rifiuto per funzionare deve essere grande, non piccolo, totale […]» [COLOMBO, 2020: 31].
Pasolini era uno che, guardandosi intorno, si accorge d’immediato che la situazione è tragica:
«Qual è la tragedia? – si chiede sempre Pasolini, rispondendo a Furio Colombo – La tragedia è che non ci sono più esseri umani […]» [IDEM: 32].
A seguito delle accuse e degli attacchi antisistema “generici” espressi da Pasolini, ecco che l’intervistatore finisce per questionare – direi fatidicamente e inevitabilmente! – sul
«non distinguere politicamente e ideologicamente, di aver perso il segno della differenza profonda che deve pur esserci fra fascisti e non fascisti, per esempio fra i giovani.» [IDEM: 35].
Al che Pasolini risponde a Furio Colombo con la massima franchezza:
«Hai mai visto quelle marionette che fanno tanto ridere i bambini perché hanno il loro corpo voltato da una parte e la testa dalla parte opposta? […] Ecco, io vedo così la bella truppa di intellettuali, sociologi, esperti e giornalisti delle intenzioni più nobili, le cose succedono qui e la testa guarda di là. Non dico che non c’è il fascismo. Dico: smettete di parlarmi del mare mentre siamo in montagna. Questo è un paesaggio diverso. Qui c’è la voglia di uccidere. E questa voglia ci lega come fratelli sinistri di un fallimento sinistro di un intero sistema sociale.» [IDEM: 35-36].
Per poi affermare, quanto alla questione dell’«educazione», che l’Italia stava sperimentando la «tragedia» di
«una educazione comune, obbligatoria e sbagliata che ci spinge tutti dentro l’arena dell’avere tutto a tutti i costi. In questa arena siamo spinti come una strana e cupa armata in cui qualcuno ha i cannoni e qualcuno ha le spranghe. Allora una prima divisione, classica, è “stare con i deboli”. Ma io dico che, in un certo senso, tutti sono i deboli, perché tutti sono vittime. E tutti sono i colpevoli, perché tutti sono pronti al gioco del massacro. Pur di avere. L’educazione ricevuta è stata: avere, possedere, distruggere.» [IDEM: 37].
Nel terminare questo articolo, è d’obbligo sottolineare come Pier Paolo Pasolini sia stato molto di più di quello che ognuno di noi può cogliere in lui di positivo o di negativo.
Di certo, la sua testimonianza è di grande importanza, sia per le presunte contraddizioni e i paradossi, sia per le proposte apocalittiche, che fanno di lui un artista unico, capace di elaborare una personale retorica della provocazione, strumento stilistico votato a demistificare ideologie e comportamenti, gli stessi che ancora oggigiorno affliggono la nostra civiltà.
Note
(1) «Io sono per gli otto referendum del partito radicale, e sarei disposto a una campagna anche immediata in loro favore. […] Sono però traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio». Così inizia l’articolo di Pasolini, scritto e pubblicato sul «Corriere della Sera», con il titolo Sono contro l’aborto, esattamente il 19 gennaio 1975. Ossia, all’epoca in cui il Partito Radicale aveva iniziato a raccogliere le firme per il referendum sulla legalizzazione dell’aborto, svoltosi nel maggio 1981 e con il quale, a stragrande maggioranza, quasi il 70%, sarebbe stata approvata la famosa “legge 194”, già in vigore dal 1978 [cfr. PASOLINI, 2015: 98].
(2) L’acronimo americano SNCC designa un’organizzazione per i diritti civili, non violenta, formata appunto da studenti e molto attiva negli Stati Uniti, in particolare durante gli anni Sessanta.
Bibliografia di riferimento
– CANNAVÒ, Alessandro, 2015. Introduzione. Oriana e Pier Paolo, amici impossibili, in: FALLACI, Oriana, 2015. Pasolini, un uomo scomodo, cit.: 5-17.
– COLOMBO, Furio, 2020. Siamo tutti in pericolo. L’ultima intervista di Pasolini. Con interventi inediti su quei giorni e su ciò che sappiamo dopo. Compagnia editoriale Aliberti, Reggio Emilia: 25-45.
– FALLACI, Oriana, 2015. Pasolini, un uomo scomodo. Introduzione di Alessandro Cannavò. Rizzoli, Milano.
– PASOLINI, Pier Paolo, 2015. 19 gennaio 1975. Il coito, l’aborto, la falsa tolleranza del potere, il conformismo dei progressisti, in: IDEM, Scritti corsari. Prefazione di Alfonso Berardinelli. Garzanti, Milano: 98-104.
– SICILIANO, Enzo, 2015. Vita di Pasolini. Mondadori Libri, Milano.
[Questo articolo – qui rivisto e attualizzato – è stato per la prima volta pubblicato in portoghese, con il titolo Pier Paolo Pasolini (1922-1975), um homem incômodo, nella rivista cartacea «Nova Águia – Revista de Cultura para o Século XXI» (Sintra – Portogallo), N. 19 – 1° Semestre 2017: 146-151].
Bell’articolo, rigoroso (non solo per le note a piè di pagina, che possno non significare nulla, ma per il rigore della documentazione). Non mi piace il giochino del “cosa avrebbe detto Pasolini oggi di…”, mi limito a constatare che nel suo andare controcorrente a metà degli anni Settanta smontò molti luoghi comuni dell’antifascismo. Sulla Fallaci, ho sempre sostenuto che fosse una Malaparte in gonnella, solo senza gli opportunismi che offuscano la memoria dello scrittore pratese. Li accomunava, fra l’altro, il senso dell’identità, che indusse l’una alle sue ultime prese di posizione contro l’Eurabia, l’altro a denunciare nel suo ultimo libro, uscito postumo, “Mamma Marcia”, il declino dell’Europa in seguito alle mode esistenzialiste e all’avvento di quella che lui chiamava “la razza marxista”.
Sulla morte di Pasolini, però, credo poco alle teorie complottiste, volte a nobilitarla: morì come il grande Winckelmann, in un “incidente del mestiere”. Comunque, se si cerca un mandante dell’eventuale assassinio, per la logica del cui prodest andrebbe cercato a sinistra, non a destra, viste le sue ultime prese di posizione.
Basta Pasolini!!!!