Napoleone, ancora Napoleone. Una figura che preoccupa e turba i sogni nonostante siano passati più di 200 anni dalla morte. Tant’è che a qualcuno non è mancata la tentazione di cancellare il suo nome dalla storia. Tutto questo in nome di quell’isteria che intende espungere quelle pagine spiacevoli per l’uomo d’oggi. Un po’ come se bastasse questo per raddrizzare il corso degli eventi e condurlo in chissà quale direzione. Che ingenuità. Ma con Bonaparte, e la sua carica di modernità, in un modo o nell’altro bisogna pur fare i conti. Al netto delle ambiguità, della spregiudicatezza, della vittorie e delle sconfitte (quella sul fronte russo oggi più che mai avrebbe qualcosa da dirci).
Salvatore Santangelo e il visionario Piero Visani (andato via, purtroppo, quando ci sarebbe stato ancora tantissimo bisogno di lui) non hanno preso la via di fuga e hanno spulciato i 50 snodi fondamentali della vicenda del generale nato ad Ajaccio. E lo hanno fatto con un pamphlet dal passo velocissimo, ma pesante: Il volo di aquila. L’epopea di Napoleone in 50 istantanee (Castelvecchi). Queste pagine sono il tentativo di restituire un’atmosfera carica di passione, di ambizione e smisurato coraggio fisico. «Il Romanticismo – si legge nell’introduzione – avrebbe cercato i suoi eroi nel Medioevo, in realtà ne avrebbe visti nascere di esemplari al tramonto dell’Epoca dei Lumi».
Napoleone fu anche più di un Cesare. Entrando a Jena, Hegel ebbe l’impressione di scorgere «l’anima del mondo» seduta a cavallo. Una figura troppo grande per non ispirare i tanti autocrati del Novecento. E forse sta lì la grandezza e il limite del personaggio. Luciano Canfora lo ha definito con disarmante lucidità un dittatore democratico, riassumendo così la duplicità del suo profilo storico-politico.
«Si tratta di una definizione appropriata, ma che merita una chiosa: paradossalmente tutti i dittatori sono democratici nel senso che il loro potere ha come base e principale sostegno il demos, il (volubile) consenso popolare. Questo è l’elemento che distingue il dittatore dal tiranno che si appoggia unicamente sulla forza e sulla repressione».
Questo approfondimento può servire oggi per tentare di comprendere cosa succede a Est. Forse. Perché le figure carismatiche in qualche modo si somigliano tutte. Ma è su Bonaparte che dobbiamo restare, perché è la sua eredita, per quanto controversa, ha interessarci da vicino: «Napoleone fu un Cesare in ogni suo gesto sia come condottiero sia come legislatore sia come restauratore di antichi soggetti; si pensi al Regno d’Italia che prima di lui era soltanto un’ambizione letteraria vagheggiata da poeti e letterati e che con lui – come vedremo – diventa l’embrione di uno Stato con un proprio vessillo e un esercito in nuce».
Questo per quanto riguarda la vicenda italiana. Sul versante europeo, invece, quello stesso percorso è tutto da costruire. Con urgenza, peraltro. «Il bonapartismo – si legge ancora – fu anche un motore che seppe spingere la rivoluzione nella direzione di un’unità europea sotto un unico grande potere e della trasmissione di certi valori che attengono alla nazionalizzazione delle masse e che intendevano affrancarle dalla sclerotizzata pressione dell’Ancien Régime».
@fernandomadonia
@barbadilloit
Io direi che la nazionalizzazione delle masse, stimolata dal Romanticismo tedesco, nacque proprio in opposizione a Napoleone. Napoleone, talento amministrativo a parte, e genio militare, è un sovrano, parvenu non legittimo, da Ancién Régime, incoronatore di fratelli e sorelle, distributore di titoli nobiliari. Uno che disprezza identità ed aspirazioni dei popoli. Un dittatore (lasciamo stare il democratico). Uno sconfitto. Un mito esagerato.