Amina è scomparsa di nuovo. Sì, ma dal gruppo Femen. La giovane tunisina divenuta un simbolo della rivolta ‘modernista’ in patria annuncia di voler lasciare l’organizzazione e, anzi, alza il tiro: «Chi ve li dà i soldi?».
L’intervista alla ragazza è apparsa, in francese, sull’edizione on-line dell’Huffington Post Maghreb (che di certo non può essere tacciato di connivenze sovraniste o musulmane…) ed ha avuto parole di fuoco contro le Femen: «Non voglio che il mio nome sia associato ad un’organizzazione islamofoba – tuona Amina – e poi ho chiesto troppe volte ad Inna (la Shevchenko, l’ucraina leader della sedicenti amazzoni) da dove prende i soldi e lei non mi ha mai dato risposte chiare. E se siamo finanziate da Israele? A queste condizioni preferisco andar via».
Molto è dipeso pure dagli eccessi delle stesse manifestanti Femen, anche se, in quel caso, era un’azione a suo sostegno. Il pressing alto sul tema della religione si è trasformato in un contropiede le cui conseguenze, per la formazione della Shevchenko, saranno gravissime: «Non ho apprezzato per nulla il fatto che le ragazze abbiamo urlato ‘Amina Akbar, Femen akbar’ davanti all’ambasciata tunisina in Francia e né il fatto che sia stato bruciato, davanti alla moschea di Parigi, il drappo sacro del Tawhid. E’ stato un fatto che ha turbato la sensibilità di molti musulmani, anche di miei stessi conoscenti. Occorre rispettare la sensibilità religiosa di ognuno».
Amina, però, non si riveste: «Abbiamo pubblicato altre foto a seno nudo coperto solo dalla ‘A’ cerchiata anarchica – spiega la tunisina – ma non vogliamo avere nulla a che fare con le Femen. L’anarchia non è certo quello che qualcuno crede e vuol far credere che sia…»
Presa in contropiede, Inna Shevchenko, ha replicato in maniera furibonda: «Ci sono tantissime militanti che abbandonano dopo il primo arresto. Non è certo lei la prima ad aver lasciato dopo le pressioni subite. Amina fa solo il gioco degli islamisti. Qualificando come controproducenti le azioni di Femen non fa altro che tradire le migliaia di donne che nel mondo si sono spogliate per sostenere la campagna mondiale finalizzata alla sua stessa liberazione». Non c’è, però, almeno sull’Huffington Post Maghreb, nessun cenno di risposta alle accuse della tunisina relative al finanziamento dell’organizzazione da parte della Marianna ucraina da qualche tempo rifugiata in Francia. Un mezzo autogol?