Molti osservatori, un po’ in tutti i media dell’Occidente, si chiedono, con falsa ingenuità, in nome di quale diritto la Russia dovrebbe impedire a una nazione indipendente e sovrana come l’Ucraina di scegliere di entrare nella Nato. Fingendo di non capire che il sistema di sicurezza della Russia verrebbe destabilizzato dall’avanzata di un’alleanza ostile in territori con essa confinanti.
Vediamo dunque come si comportò la superpotenza globale statunitense in occasioni simili. Il caso di scuola è ovviamente quello della crisi dei missili a Cuba nell’ottobre del 1962. Quando gli Usa si accorsero che i sovietici stavano installando delle testate nucleari nell’isola caraibica, prossima ai loro confini, non rimasero certo a guardare, accettando il fatto compiuto. Eppure, Cuba, come oggi l’Ucraina, era uno Stato sovrano, non appartenente all’area di influenza Usa. John Kennedy mise in pedi un gabinetto di guerra per studiare una soluzione che impedisse al “nemico” di piazzarsi nelle vicinanze di casa propria. Furono messe sul tavolo varie proposte che andavano dal bombardamento delle installazioni sovietiche all’invasione dell’isola. Il presidente statunitense, alla fine, scelse una via meno drastica, decretando il blocco navale di Cuba, per impedire che le navi sovietiche che trasportavano altri missili potessero approdare nei suoi porti. Dal momento che, secondo il diritto internazionale, un blocco di quel genere viene considerato un atto di guerra, Washington eufemisticamente lo definì una quarantena. Ma gli Usa si preparavano comunque al peggio, dispiegando in Florida un contingente militare pronto a tentare, dopo quella della Baia dei porci di due anni prima, un’altra invasione dell’isola. Lo stesso Kennedy, in un discorso dai toni drammatici, affermò che gli Stati Uniti avrebbero fatto di tutto per evitare una guerra nucleare, ma se la Russia non avesse rinunciato ai suoi progetti sarebbe stato comunque pronto ad affrontarla per difendere la sicurezza del suo Paese. Sappiamo come poi la crisi si risolse con una trattativa in cui Kruscev accettò di ritirare i missili in cambio del ritiro degli ordigni nucleari Usa dalla Turchia e della promessa statunitense di non invadere Cuba.
La dissoluzione del Patto di Varsavia
Se guardiamo alla reazione di Washington in quella occasione che, addirittura, arrivò a evocare lo spettro della guerra nucleare, la scelta di Putin di mobilitare ingenti forze del suo esercito ai confini dell’Ucraina, come forma di pressione per evitare una sua adesione alla Nato, ci appare assai più moderata. Lo capiamo meglio se osserviamo la storia dell’espansione nell’Est Europa dell’Alleanza Atlantica, avvenuta dopo il crollo dell’Urss, che ha coinvolto tutti gli Stati che, precedentemente, appartenendo al Patto di Varsavia, gravitavano nell’orbita di Mosca, arrivando persino a coinvolgere Paesi, come quelli baltici, che avevano fatto parte dell’Urss. Ora, la Russia è pressata, ai suoi confini occidentali, da un’alleanza militare nata espressamente per contrastarla sul piano bellico.
Tutto ciò è potuto accadere per la grave crisi, sociale, economica e di sovranità, della Russia nel periodo eltsiniano. Oggi la Russia si è ristabilizzata e certi soprusi Putin non li permette più. Sarebbe ora che le cancellerie occidentali ne prendessero atto se, come dicono, desiderano veramente la pace e la distensione, al posto di affermare che l’adesione alla Nato di Ucraina e Georgia non è per l’oggi, ma è solo rimandata al futuro. Nessun russo potrebbe mai accettare che l’Ucraina, i cui legami culturali e storici con la Russia sono così forti da rendere difficile, per taluni aspetti, individuare la differenza tra le due identità, possa ospitare i soldati e gli armamenti di un’entità militare ostile. Slittando nella fantapolitica, si provi a immaginare la reazione di Washington se, un giorno, il Messico e il Canada decidessero di accogliere, ai confini con gli States, delle basi militari russe. Basta osservare la reazione scandalizzata dei media occidentali alla provocazione, avanzata dal negoziatore per la crisi ucraina Sergej Ryabkov, di schierare truppe russe a Cuba e in Venezuela se la Nato continuasse a perseguire una strategia espansionista.
Promesse tradite
Le promesse dell’Occidente a Mosca sul futuro della Nato erano state diverse durante le trattative per la riunificazione della Germania nel 1990 e nell’anno seguente. Il segretario di Stato Usa dell’epoca, James Baker, in quell’occasione, garantì a Gorbaciov che “non un pollice verso Est” sarebbe stato conquistato dalla Nato se il capo sovietico avesse acconsentito alla riunificazione tedesca. Anche da alcuni documenti segreti ora declassificati, sappiamo che la stesso impegno fu esplicitamente dichiarato, in più occasioni, dallo stesso presidente George H.W. Bush, da Genscher, Kohl, Mitterand, Thatcher e da altri leader occidentali. Nel clima di dialogo disteso che si era creato, Gorbaciov, con un’ingenuità non aliena al suo stile di governo, si fidò e non chiese un formale trattato a garanzia delle assicurazioni ricevute.
Gli Usa rinnegarono poi le loro rassicuranti parole e, in modo del tutto arbitrario, arrivarono a schierare la Nato ai confini della Russia, infischiandosene delle esigenze di sicurezza di Mosca. Alle anime belle che oggi accusano Putin di coltivare mire espansive e di agire al di fuori delle regole della legalità internazionale, si dovrebbe chiedere se l’Occidente si prese allora cura di quelle regole e se l’allargamento dell’Alleanza Atlantica sia stata preceduto da una qualche trattativa con Mosca. Niente di tutto questo. Quell’espansione militare si poteva fare e fu fatta, solo sulla base della ragione del più forte e dell’arroganza di una visione unilaterale delle relazioni internazionali.
Cosa vogliono Usa e Russia
Nei media occidentali, more solito, le ragioni e le richieste della Russia sono sottaciute. Non si parla quasi del piano che Putin ha proposto agli Stati Uniti per risolvere la crisi attuale, il quale prevede che ciascuna parte “non intraprenda azioni che incidono sulla sicurezza dell’altra parte”; che non sia possibile “utilizzare i territori di altri Stati allo scopo di preparare o effettuare un attacco militare contro l’altra parte”; che “gli Stati Uniti non stabiliranno basi militari nel territorio degli Stati dell’ex Urss che non sono membri della Nato” ed eviteranno l’adesione di Stati dell’ex Urss alla Nato. Insieme ad altre garanzie di natura militare, come quella di non far volare bombardieri con o senza armi nucleari al di fuori del proprio spazio aereo e di non far navigare navi da guerra oltre le proprie acque territoriali, in aree da cui possano attaccare l’altra parte, si chiede di “non schierare armi nucleari al di fuori dei propri territori nazionali, e di riportare nei loro territori le armi già schierate al di fuori”.
Washington ha già fatto sapere che considera queste richieste irricevibili, ma si tratta davvero di pretese assurde? E’ ovvio che gli Usa non rinuncino a cuor leggero al maltolto che, con l’inganno, hanno ottenuto nell’Europa centrorientale e, soprattutto, non accettino di riportarsi a casa le armi atomiche che hanno installato in alcuni Paesi dell’Occidente, tra cui l’Italia. Quello di Putin è però un vero e proprio piano di riforma complessiva del sistema di scurezza europeo, che meriterebbe di essere preso in considerazione come base di una trattativa per avviare un vero processo di distensione fra tra Mosca e l’Occidente. Del resto, nella prima parte della sua esperienza presidenziale, Putin si dimostrò favorevole a creare le condizioni per una pacifica convivenza in Europa con gli Usa e la Nato, arrivando anche, nell’incontro di Pratica di Mare del 2002, a firmare un impegno di collaborazione tra il suo Paese e l’Alleanza Atlantica. Che cosa ne ha ricevuto in cambio? Sanzioni sempre più dure, accuse di ogni genere e un’ostilità persino superiore ai tempi in cui Mosca era la capitale di un grande impero comunista.
Certo il presidente russo non è un agnellino e, se lo ritiene, è disponibilissimo ad usare la forza come si è visto con l’aiuto militare ai secessionisti in Georgia e nel Donbass e l’occupazione della Crimea . In entrambi i casi, però, si trattava di mosse di reazione, quando Tiblisi era sul punto di aderire alla Nato e dopo che un presidente filorusso fu cacciato a Kiev dalla combinazione di una sommossa di piazza intrecciata con una manovra golpista, entrambe ampiamente foraggiate dalle solite ONG occidentali “indipendenti” che, in un modo o nell’altro, risultano poi sempre riconducili ai Servizi statunitensi.
Informazione a senso unico
E’ interessante notare il ruolo sempre più preponderante che la comunicazione svolge nelle situazioni di crisi e come preparazione dell’opinione pubblica a una possibile guerra. In modo che non si può che definire totalitario, i media occidentali si sono schierati pedissequamente sulle posizioni di Washington, non prendendo nemmeno in considerazione, se non in sparuti casi, le ragioni di Mosca. E’ buffo notare che mentre il diretto interessato, il presidente ucraino, continua a sostenere che l’invasione del suo Paese non è alle porte, Biden, seguito in coro da tutti i media statunitensi, proclama che la Russia si sta apprestando a far varcare il confine alle sue truppe.
Con la più classica delle fake news, Bloomberg, un po’ di giorni fa, aveva addirittura annunziato che la Russia aveva incominciato l’invasione: un bell’esempio di wishful thinking. L’unilateralità della stampa occidentale si riscontra anche dalle omissioni nel dare conto degli avvenimenti. Ne citiamo solo un paio a titolo di esempio. Si sa che circa centomila soldati russi sono schierati ai confini dell’Ucraina, ma non si dice che, non lontano, a ridosso dei territori delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, sono posizionati 150.000 militari ucraini, armati e addestrati da consiglieri Usa e Nato. Queste truppe dispongono di armi pesanti, in palese violazione di quegli accordi di Minsk finalizzati a porre fine alla guerra nel Donbass che, in ogni caso, il governo ucraino ha dichiarato di non ritenere più validi. A proposito poi del principio di non ingerenza, qualcuno ha potuto leggere sulla stampa mainstream che gli Stati Uniti, dal 1991 al 2014, hanno fornito a Kiev aiuti militari per 4 miliardi di dollari, ai quali se ne sono poi aggiunti altri 2,5 miliardi, oltre a un miliardo proveniente dal Fondo fiduciario Nato al quale partecipa anche l’Italia?
L’Europa non tocca palla
Per finire, non si può non dedicare una breve riflessione all’Europa che, come al solito, non tocca palla, nonostante l’affannoso attivismo di Macron, in una crisi che si svolge alle sue porte e che, teoricamente, potrebbe scatenare una guerra che coinvolgerebbe anche il suo territorio. Per esemplificare come stanno le cose, basta pensare alle dichiarazioni di Biden il quale proclama di continuo che, se la Russia invadesse l’Ucraina, il gasdotto North Stream 2 sarebbe cancellato per sempre. Il presidente Usa cassa così una infrastruttura energetica essenziale, che ha come terminale non l’Illinois o l’Arizona ma la Germania. Reazione del governo tedesco? Tutti muti e allineati come fedeli servitori che amano la propria sottomissione. E la chiamano alleanza tra pari…
Allo stesso modo pure la Turchia non sarebbe mai dovuta entrare nella NATO… Putin non è mai credibile, in quanto ossessionato dall’idea di ricostituire l’URSS e credendosi una reincarnazione di Stalin. Certo che l’Europa non conta. Dove sono le sue armi? La Crisi di Cuba la vinse Mosca, non scordiamocelo mai, e Putin è convinto, non a torto, di vincere anche questa contesa con un minimo di perdite russe…
Militarmente l’Ucraina conta poco o nulla e questo Putin lo sa benissimo…
I Paesi limitrofi non minacciano assolutamente la Russia, mentre la Russia è una minaccia incombente e costante per molti di essi!
Sembra di leggere Fortebraccio, la voce dell’Unità e delle ‘Botteghe Oscure’…. Ma a destra chi mai diavolo volete convincere?
forza Putin !