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In quest’epoca di acque basse, connotata dall’eterodirezione dei mezzi di comunicazione di massa, dal progressivo allontanamento delle masse dalla vita politica, condizione determinata ad hoc dal nuovo regime della governance, leggere libri che si occupano di Georges Sorel e del suo pensiero, può produrre uno scompenso: da un lato la potenza della teoria soreliana, mai doma, rinviante alla lotta, dall’altra, la mesta constatazione di un’ attualità storico-politica caratterizzata da passività e acquiescenza dei più allo stato delle cose. E’ quanto abbiamo provato dopo aver chiuso l’ultima pagina del bel volume di Pierre Andreu, Sorel. Il nostro Maestro, nelle librerie per OAKS editrice, con introduzione di Gennaro Malgieri e con prefazione di Daniel Halévy (per ordini: info@oakseditrice.it, pp. 295, euro 25,00). Si tratta di una biografia intellettuale del padre del sindacalismo rivoluzionario, assai attenta ad analizzare ogni aspetto della formazione dell’ingegnere di Cherbourg (1847) e, soprattutto, mirata a discutere i diversi plessi dell’articolato pensiero soreliano.
Andreu presenta, con pertinenza storica e argomentativa (il volume è corredato da numerosi documenti), tanto la critica soreliana della società borghese quanto quella della scolastica marxista. Non trascura, tra l’altro, i grandi incontri intellettuali del pensatore con Bergson, James, Peguy, non dimenticando di discutere le sue tesi in tema di religione. Ne emerge, pertanto, un quadro a tutto tondo di una delle più straordinarie figure intellettuali del tardo Ottocento e dei primi decenni del secolo scorso. Peraltro, Andreu e Sorel hanno condiviso un medesimo destino intellettuale, avendo entrambi conosciuto un tempus loquendi, segnato da fama e notorietà, e un tempus tacendi, vissuto da “esuli in patria”. Andreu, infatti, è autore di numerose monografie: fu vicino, lo ricorda Malgieri, al filosofo Mounier e a Paul Marion, ministro a Vichy. Sul finire degli anni Trenta si definì fascista. Dopo la guerra fu fatto prigioniero ma, una volta liberato, occupò incarichi di rilievo nel mondo della carta stampata e nell’agone politico. Fu perfino vicino a Mitterand, divenuto ormai fervente pacifista ed ecologista. Chiuse i suoi giorni nel 1987. Sulle opere, in particolare su quelle giovanili, continua a pesare il giudizio negativo della critica gauchiste. Per tale ragione Andreu: «E’ uno dei grandi dimenticati della cultura politica del Novecento» (p. 1).
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Il libro che presentiamo, connotato da rara capacità di descrizione psicologica del personaggio indagato, quanto da una lettura chiarificatrice delle idee da questi sostenute, fa evincere il talento narrativo dell’autore, chiaro nell’esposizione e coinvolgente nel narrato. Sorel, per Andreu, è, preliminarmente, un raffinato e potente interprete del declino europeo. La sua esegesi della storia continentale muove dal sorgere della società borghese a ridosso degli eventi della Grande Rivoluzione e giunge a delineare una critica del marxismo che assumerà toni ben diversi da quella propria dei “revisionisti”. Egli, nel biennio 1897-1898, prese coscienza dell’inanità dei tentativi di inserimento parlamentare delle forze socialiste e incontrò l’idea che lo accompagnò fino alla fine dei suoi giorni. Il sindacalismo rappresentava, a suo dire, l’avvenire del socialismo, la sua “uscita di sicurezza” dalle pastoie del democratismo parlamentare. Chiosa Malgieri: «Sono gli operai che devono, magari con la violenza, appropriarsi del loro destino che coincide con quello della nazione» (p. III).
Il sindacalismo rivoluzionario di matrice soreliana mirava, infatti, a conciliare, non a contrapporre, gli interessi di classe con quelli della comunità nazionale. Fu Croce ad introdurre in Italia le opere di Sorel e a rendere possibile la pubblicazione delle Riflessioni sulla violenza (1906). Da cosa fu colpito il filosofo liberale ? Sicuramente dalla esegesi soreliana del marxismo, letto quale esempio di “filosofia morale”: «un’opera grave, temibile, eroica […] una causa che si identifica con la rigenerazione del mondo» (p. IV). Il lavoro di fabbrica assumeva ai suoi occhi la valenza di una vera e propria pedagogia morale, che avrebbe dovuto, attraverso la prassi sindacalista-rivoluzionaria, rendere autonome le masse e pronte al riscatto socio-politico. Quindi: «fu la suggestione di una teorica della storia moderna ad avvicinare Croce a Sorel» (p. V). La nuova visione avrebbe dovuto liberare il nucleo vitale del marxismo dagli appetiti democratico-borghesi. Allo scopo, il francese riteneva necessario che le masse lavoratrici rigettassero le “riforme”, da taluni ritenute allettanti, in quanto capaci di infiacchire la loro attività sociale. L’eco soreliano risuonò ancora in Italia per diverso tempo. E’ del 1931 il saggio di Mario Missiroli, sindacalista rivoluzionario della prima ora, L’ultimo Sorel, che testimonia la larghissima influenza esercitata in Italia, e non solo sui nomi noti di Mussolini, Labriola, Olivetti, De Ambris.
Su Sorel stava però, gradualmente, calando il silenzio. Il suo percorso teorico e politico, presentato e discusso nelle pagine di Andreu, resta esemplare, centrato com’è sul risveglio della vocazione ideale degli uomini, sulla ri-animazione di quel Sé, che ci induce, anagogicamente, a porci al servizio della comunità cui apparteniamo. A proposito, è bene ricordare un articolo del Nostro, significativamente intitolato, Il risveglio dell’anima francese, comparso sulla prima pagina dell’Action française il 14 aprile del 1910, assieme a scritti di Maurras e di Pèguy. In esso, il nemico dell’anima del popolo era individuato nello spirito mercantile della borghesia, contro il quale era necessario svegliare le coscienze. Sorel visse in coerenza alle sue idee: sobriamente, appartato dal clamore, in quanto: «Risvegliare le vocazioni può sembrare un compito trascurabile ai politicanti di professione, ai banchieri e ai saltimbanchi. Sorel non lo credeva» (p. IX). Parole quanto mai attuali!
Nella prefazione Halévy ricorda il suo primo incontro con Sorel nella bottega di Péguy. Così lo descrive: «Quando […] parlava, anche Péguy, di solito poco attento alle chiacchiere […] alzava la testa» (p. 1). Sorel, che attraversò uno dei periodi più concitati della storia europea, mostrando fedeltà assoluta a se stesso, morì in solitudine. Halévy, che assistette alle esequie, ricorda: «Mai la morte mi era parsa più vicina al suo nome, mai mi era sembrata più veramente la morte» (p. 6). Eppure, chi resta fedele a se stesso, nonostante le apparenze, anche nella morte non è solo!
Magari avesse prevalso lo spirito mercantile della borghesia nel 1914, non la guerra dei pensatori, dei poeti, dei letterati gonfi di retorica patriottarda…
Meno male che la tecnologia digitale ha posto fine alla retorica dell’ ‘operaismo’ di tutte le teorizzazioni ottocentesche e post, agli orrori della ‘dittatura del proletariato’, alle panzane del ‘materialismo storico e scientifico’ (ma se erano tutte chiacchiere teoriche!), ai leninismi e stalinismi infami, quando si passava dalla letteratura alla prassi, alle pastoie sindacal-rivoluzionarie, alle ribollite proudhoniane, sorieliane, peroniste ecc., ai sogni, magari generosi, di rigenerazione e palingenesi nazionale o universale che finivano sempre in inutili massacri…