
L’ultima fatica di Giovanni Damiano, Il pensiero dell’origine in Giorgio Locchi, nelle librerie per Altaforte Edizioni (pp. 145, euro 15,00), va assolutamente letto: ha il merito di risvegliare l’interesse per il filosofo romano, le cui tesi potrebbero consentire all’area non-conforme di evitare le impasse teoriche liberal-conservatrici o la fuga in miti consolatori. Il testo è arricchito da un saggio di Stefano Vaj e dalla postfazione di Pierluigi Locchi, figlio del pensatore.
Il libro analizza l’iter speculativo locchiano, mettendone in luce gli snodi essenziali. A tal fine, l’autore distingue la propria esegesi dal cliché che ha legato, sic et simpliciter, il teorico della storia aperta all’esperienza della Nouvelle Droite. La filosofia dell’origine di Locchi è altra rispetto agli universalismi eterizzanti e rassicuranti dei tradizionalisti, quanto: «dalla dinamica autofondativa della modernità» (p. 8). Locchi è stato, in essenza, un filosofo della libertà. Sulla libertà, principio infondato, ha costruito la propria visione della temporalità, come si evince dalla pagine di, Wagner, Nietzsche e il mito sovrumanista (Roma, 1982) e in quelle di, Sul senso della storia (Padova, 2016). Tale concezione mira a: «preservare “quel potenziale di eccedenza e di sorpresa che caratterizza ogni storia”» (p. 9), al fine di sottrarre il percorso umano ai determinismi progressisti e/o reazionari.
Locchi si fa latore dell’autodeterminazione storico-politica degli uomini, fondandola sull’esistenza di possibilità alternative vigenti nel tempo. A differenza degli Illuministi, che pensarono teleologicamente la storicità incardinandola, ipso facto, nell’idea di progresso, interpreti di quel processo di immanentizzazione del “fine” della storia ebraico-cristiano, Locchi si sottrae ad ogni escatologia che tenda ad individuare nel “fine” della storia, la “fine” della storia: «Da qui, in nome della libertà, il rifiuto […] della filosofia della storia in quanto tale» (p. 19). La storia non è scritta ab initio, è sempre esposta sul possibile, sull’imprevedibile.
Il presente è, nella visione moderna, determinato dal futuro: Heidegger parlò di temporalità unidimensionale e inautentica. Al contrario, Locchi, attraverso il duo Wagner-Nietzsche, si fa testimone del tempo autentico e tridimensionale. La storia non è flusso irreversibile, ma in essa sono rilevabili tempi diversi. Quindi: «passato, attualità, futuro sono sempre contemporaneamente presenti» (p. 25). Per questo: «“ogni momento può e deve essere considerato contemporaneamente come inizio, centro e fine”» (p. 25). In ogni attimo, non solo l’avvenire ma lo stesso passato, vengono decisi. L’origine: «può sempre iniziare da capo (il nuovo inizio), a partire da un centro (da un presente) di volta in volta differente, in vista di un fine (un futuro) che è solo un futuro possibile tra gli altri» (p. 27).
La stessa idea di Tradizione come tradere viene messa in discussione. La vera tradizione sorgerà dalla catastrofe del continuum, divenendo quint’essenza del nuovo inizio. Tale tradizione sarà voluta, scelta, non subita. La concezione tridimensionale della temporalità riemerse nella musica tonale di Wagner, ma il centro dell’universo valoriale locchiano va individuato in Nietzsche. Un Nietzsche, si badi, letto attraverso lenti bӓumleriane, sotto il segno della “libertà del divenire”: mondo e storia sono scossi dall’azione inesausta della libertà. Una libertà produttiva del conflitto, esposta all’esito tragico. L’eterno ritorno non è ridotto a pura “meccanica”, ma diviene immagine della storia aperta.
Anche il riferimento al mito è consustanziale al pensiero di Locchi. Nonostante ciò, egli si sottrae al rapporto modello-copia che al mito è attribuito da Eliade. In quanto: «la riattualizzazione del mito, con connessa rigenerazione del tempo, non è affatto un nuovo inizio, bensì l’esatta ripetizione del modello» (p. 71). Il nuovo inizio richiede il coraggio della sfida, aprire un mondo nuovo. Il mito e l’origine sono da Locchi collocati nella storia, esposti alla possibile catastrofe. Una origine per la quale gli uomini devono spendersi anche in questo tempo della fine “senza sperare, né disperare”, come avveniva nel mondo classico.
‘La riattualizzazione del mito’? Ma come si fa a riattualizzare un mito? Di per sé irrazionale? Quando finisce è per sempre, come ogni fede, rimane materiale per eruditi, non per futuri credenti…
Di certo interesse l’idea locchiana della compresenza dei tempi nel tempo deciso. Del resto egli apre una porta già aperta sia nei primi 4 cpp. del Genesi ove il dio creatore consegna ad Adamo,Eva e Caino il loro (non il suo destino) sia nella teologia circospettiva di Tommaso d’Aquino ove la rivelazione è consegnata alla labilità recettiva dei destinatari. E’ probabile che Locchi abbia esteso indebitamente alla tradizione biblica quella della antica gnosi ove l’atto di scelta non ha alcun referente cui rivolgersi…