Nella prima metà del 2020, anche nel nostro paese, si è costituito il G.R.E.C.E. (Gruppo di ricerca e studi sulla Civiltà Europea) che intende riproporre, in modalità originale, dibattiti e tematiche care all’omonimo gruppo francese, sorto nel 1969 e animato da Alain de Benoist. Non è casuale che la prima pubblicazione curata da questo cenacolo intellettuale abbia al centro le problematiche ecologiche. Si tratta de, Il silenzio del cosmo. Ecologia ed ecologismi, nelle librerie per i tipi delle Edizioni Arktos (pp. 210, euro 20,00). Il volume raccoglie gli atti del convegno, Ecologia. Habitat come limite della crescita infinita, tenutosi il 1 luglio 2020 online. All’evento presero parte in qualità di relatori, Andrea Virga, Andrea Cascioli, Eduardo Zarelli, Andrea Scarabelli i cui testi costituiscono, assieme a quelli di Giuseppe Giaccio e Giannozzo Pucci, la prima parte della raccolta. In appendice compaiono contributi teorici, originariamente usciti sul periodico Diorama Letterario, di insigni studiosi quali Michael Walker, Philippe Forget, Laurent Ozon e Alain de Benoist. Il libro è arricchito dalle illustrazioni di Hugo Höppener, detto “Fidus.
Il problema ecologico
Dalla lettura si evince come gli autori siano fermamente convinti della necessità di affrontare, attraverso nuovi paradigmi culturali, il problema ecologico. Rilevano l’inane azione messa in campo dall’ecologismo “riformista”, variabile culturale interna al modello di sviluppo del capitalismo contemporaneo, la cui inefficacia è presentata da Scarabelli con le parole di Michel Serres, che lo aveva paragonato: «al capitano di una nave che si sta dirigendo contro uno scoglio, il quale intima al macchinista di ridurre la velocità, senza però cambiare rotta» (p. 48). Il successo mediatico di Greta Thunberg testimonia l’adesione del “riformismo” ecologico ai valori della società della dismisura. Un secondo aspetto, assai rilevante, che connota la proposta del G.R.E.C.E., sta recupero del senso greco della physis, quale luogo: «dell’insorgenza spontanea delle cose […] pronta a dileguarsi appena si cerca di ridurla alla sua concretezza materiale» (p. 72), come colto da Zarelli. Tale asserzione implica il rifiuto radicale dell’approccio prometeico e baconiano alla realtà, centrato sull’idea che essa altro non sia che quantità, res extensa cartesiana, oggetto manipolabile dall’azione apprensiva della res cogitans, dell’uomo “padrone dell’ente”.
Quel che ci pare più rilevante è il parallelo rifiuto di qualsiasi forma di “biocentrismo”, in quanto: «un indistinto biocentrismo […] tende […] a cancellare tutte le specificità umane per riversarsi in una nuova forma di universalismo astratto, che poi annulla la dimensione “politico-antropologica” dell’agire umano» (p. 71). Tra l’esasperato antropocentrismo prometeico della modernità e il biocentrismo che, per dirla con Evola, ha tratto “primitivistico”, è d’uopo optare per una visione centrata sul giusto equilibrio di cultura e natura, consci di quanto rilevato da de Benoist: «La cultura è la natura che l’uomo si è assegnato, tra le molte altre possibili, e tramite cui si è costituito» (p. 49). Il rapporto uomo-natura, stante la lezione di Edgar Morin, è complesso e dovrebbe essere articolato attorno alla triade implicazione-distinzione-congiunzione. Oltre al recupero di una visione olistica, che pensa il cosmo quale totalità non riducibile alla semplice somma delle sue parti è, suggerisce Zarelli, a Orfeo che bisogna tornare a guardare. La lezione orfica conduce alla conoscenza dei “ritmi” della natura, dell’armonia e dei rapporti simpatetici che legano tra loro gli enti. Aggiungiamo che, a nostro giudizio, la parte finale del mito di Orfeo mostra, attraverso il superamento della logica eleatica, l’eterna animazione della physis, l’essere sempre in fieri del regno animale, vegetale e minerale.
Oltre destra e sinistra
L’ecologia, operando oggi in un sistema che dichiara guerra all’oikos, oltre a scompaginare le categorie politiche di destra e sinistra, in quanto visione del mondo rivoluzionaria e conservatrice, potrebbe divenire un potente strumento di contrasto dell’omologazione generalizzata. Un autentico pensiero ecologico è, per definizione, anti globalista. Indica il valore dei luoghi, dei paesaggi e della loro produttiva azione nella formazione delle identità dei popoli. Scarabelli ricorda che: «L’uomo […] diventa un essere storico attraverso la mediazione fondamentale del mondo circostante» (p. 59), in quanto come sapeva lo Spengler di Urfragen la “circostanza” intesa in termini geo-filosofici: «collega i singoli individui tra loro […] con il clima, il paesaggio e le stelle» (p. 58). Ma come si è pervenuti, e per quali ragioni, al “silenzio del cosmo”, al dis-astro, al disancoraggio dell’uomo dalle stelle? La risposta la fornisce, in termini filosofici, il saggio di Alain de Benoist, Ecologia e religione, che chiude la silloge.
Solidarietà uomo-natura
Il pensatore francese con Eliade sa che, presso i popoli tradizionali: «la vita religiosa consisteva […] nell’esaltazione della solidarietà dell’uomo con la vita e la natura» (p. 178). Ogni cosmogonia è un’ontofania, una manifestazione dell’Essere implicante un perpetuo re-inizio. Contemplando il mondo: «l’uomo scopre le molteplici modalità del sacro, e di conseguenza dell’Essere» (p. 178). Nelle teologie creazioniste, nel cristianesimo, dio, pur presente ovunque, è distinto dalla natura, non è immanente. Pertanto: «In quanto essere creato, il mondo non può […] essere in sé portatore di alcuna sacralità» (p. 178). La natura diviene “regno della quantità”, disponibile alla manipolazione. La visione spazio-temporale newtoniana-kantiana elimina definitivamente gli “spazi di qualità”, tacita il genius loci di un dato paesaggio, così come l’idea dell’esistenza di tempi propizi. L’uomo, non il cosmo, è imago Dei: le creature del mondo sono a sua disposizione. L’idea giudaica di Rivelazione, inoltre: «si contrappone […] all’affermazione secondo cui la natura è sufficiente all’uomo» (p. 181). Tale concezione ha liberato la vis prometeica, in modalità eclatante con la modernità liberale e capitalista e ha trovato nel Gestell, nell’Impianto della tecno-scienza, il proprio momento apicale. Del resto, i tentativi di recupero della physis messi in atto nella civiltà cristiana, penso a Francesco d’Assisi e a altri mistici e pensatori eterodossi, sono stati tacitati, anche ricorrendo alla forza, dalla Chiesa (poco ci convincono le speranze che Giannozzo Pucci ripone nell’enciclica, Laudato si’). Da ciò la devastazione dell’ambiente umano e naturale.
Rileggere Karl Löwith
Per uscire da questa impasse, per ridare voce al cosmo silenziato, è necessario tornare a guardare a quegli autori che hanno posto al centro delle loro riflessioni la physis. Tra questi, ci permettiamo di suggerire, un posto di primo piano va attribuito a Karl Löwith.
Articolo molto interessante e stimolante. Ricordo, nei tardi anni Settanta, le polemiche di Elements e del Grèce contro gli ecologisti, che all’epoca condividevo solo in parte, formatomi come ero sulla critica della modernità di Evola e di Guénon. Oggi credo sia necessario distinguere, al di là delle considerazioni filosofiche, fra un rispetto dell’ambiente che non implichi però la deindustrializzazione dell’Occidente, e il suo conseguente tramonto economico-politico, e l’ecologismo neotribale di chi considera gli Indios della foresta amazzonica il popolo eletto, anche se praticano l’infanticidio e l’uccisione degli anziani. Purtroppo questo ecologismo primitivista, che fa tutt’uno con l’indigenismo e la cultura della cancellazione, è quello che prevale fra i giovani. Penso inoltre che un dibattito filosofico non possa prescindere da dati concreti: la tesi che l’aumento della temperatura globale sia dovuto in prevalenza alle emissioni di anidride carbonica è una menzogna che fa comodo ad ampi settori del capitalismo, interessati a imporci in forma diretta (l’obbligo di acquistare costose auto elettriche) o indiretta (l’aumento della tassazione) pesanti sacrifici. Come insigni fisici come Zichichi hanno sempre sostenuto, il riscaldamento globale è dovuto all’attività del sole e come la storia del clima insegna periodi di temperature medie alte si sono alternati a “piccole glaciazioni”. I combustibili fossili influiscono al massimo del 10 per cento sul “climate change”, ma questo 10 per cento non vale l’impoverimento dell’Occidente, i costi altissimi (anche in termini paesaggistici) delle fonti energetiche alternative, il regalo fatto all’India e alla Cina (che continuano a utilizzare il carbone) in termini di competitività. Ridurre l’inquinamento nelle città si può, soprattutto realizzando sistemi di trasporto pubblico efficienti ed economici (oggi invece con la logica delle privatizzazioni spostarsi in bus può costare più che in auto) e incoraggiando l’uso delle biciclette (non elettriche, altrimenti l’energia che consumano comporta comunque inquinamento), evitando la pretesa di stare in casa in maniche di camicia d’inverno e col golfino d’estate, con l’aria condizionata a palla. Ma di qui a proibirci di accendere un caminetto il passo è lungo…
p.s. interessante il riferimento al grande Karl Löwith, di cui lessi il fondamentale saggio Da Hegel a Nietzsche preparando nel 1972 il mio primo esame di storia della filosofia all’università di Firenze. Me lo consigliò Eugenio Garin.
Verissimo. Il ‘cambio climatico’ è stato ideologizzato in modo vergognoso, inverecondo…