La produzione degli oggetti acquistati è quasi tutta in mano a paesi campioni di emissioni come la civile Cina rossa, che con le sue centrali a carbone (in cui continua ad investire) si fa beffe della periferica Europa costretta alle domeniche ecologiche e alla raccolta differenziata
Eccoci dunque, come ogni anno, al celebrato ultimo venerdì di Novembre, più tragicamente conosciuto come “black friday”. Per quanto mi riguarda credo che per qualificare questa ricorrenza sia sufficiente la sua traduzione in italiano (“venerdì nero”, niente di meno), ma a quanto pare per una buona parte restante del pianeta non è così, e quindi ritengo legittimo aprire una breve riflessione sui tanti elementi di questo natale del capitale che non tornano. Primo su tutti, anche se fuori moda, il dubbio sulla qualità materiale ed umana che possono avere degli oggetti che improvvisamente vengono svenduti per la metà o anche meno del loro valore originale, permettendo comunque a chi li commercia di realizzare un guadagno. Sembrerebbe legittimo pensare che tale utile sia stato fatto in danno o alla bontà del prodotto (e quindi al consumatore) o al compenso del lavoratore che l’ha assemblato. O magari, in maniera più democratica, a tutti e due. Delle magagne di uno di questi settori si parla in maniera più approfondita su un blog di cui mi limito a segnalare un solo articolo.
Poi, subito di seguito, ecco qualche esitazione ecologica molto “trendy” ma comunque piuttosto valida, visto che la corsa agli acquisti del black friday ed annessi genera ogni anno un quantitativo enorme di inquinamento sotto ogni punto di vista, anche se quasi tutte le aziende che vi partecipano con entusiasmo vagheggiano di una loro svolta green in ossequio ai comandamenti di Greta: la produzione, quasi tutta in mano a paesi campioni di emissioni come la civile Cina comunista, che con le sue centrali a carbone (in cui continua ad investire) si fa beffe della periferica Europa costretta alle domeniche ecologiche e alla raccolta differenziata, i trasporti, sempre necessari e spesso lunghi vista la provenienza oltreoceanica dei desideri degli occidentali assetati di sconti, condizionati anche da pubblicità alienanti come quella prodotta di recente da Amazon, la cui trama racconta di due vicine di casa che si scambiano i regali facendoli arrivare alla casa accanto alla loro tramite corriere invece di consegnarlo di persona (qui) e quello dei rifiuti, generati dal ricambio artefatto di una vasta gamma di oggetti sostituiti senza una reale necessità. Ed è proprio quest’ultimo punto che mi offre il perno per ampliare l’orizzonte del discorso sul terzo ed ultimo elemento da sottolineare su questa giornata e mi da l’occasione di muovere un appello agli annoiati che stanno leggendo, in primo istanza rivolto persino a me stesso: ma abbiamo davvero bisogno di tutta questa roba? Pensandoci un momento, è sicuramente questo il dato più tragicamente rilevante del black friday. Vi è davvero indispensabile il maglioncino nuovo di “Zara” destinato a durare un solo inverno o potete utilizzare quelli che avete già nell’armadio facendoli sistemare da una sarta? Dovete proprio sostituire il vostro tostapane per averne uno di “Electrolux” o potete pulire le incrostature di sporco di quello che vi aveva regalato vostra madre? Cambiare il divano in favore di un modello più alla moda di “Maison du Monde” è strettamente indispensabile o potete far rifoderare il vostro da un artigiano che lavora in città? Credo che una risposta in mente l’abbiate già. Per quanto riguarda me: sono a posto, grazie.
Vivo nel Terzo Mondo. Anche qui è praticamente impossibile far riparare o rifoderare un divano, ad esempio. Comprarne uno nuovo (cinese o indiano) costa meno della metà. E ti risparmi tante arrabbiature…E così per quasi tutto. I sarti di fatto non esistono più, come i falegnami per i piccoli lavori ecc. Si è perso quasi tutto l’artigianato, con la cultura del lavoro, pure qui. E 40 anni fa era tutto diverso. Piaccia o no è diventato uno stile di vita. Usa e getta.
Qui in Uruguay la gente vivacchia di commercio e servizi, senza più industrie e, dicevo, senza più artigianato. Domina poi una ideologia sindacalese e comunistoide anti impresa…Sopravvive l’edilizia (e tanti appartamenti vuoti…). Oggi anche la riparazione ad un’auto è diventata problematica. Non parliamo di un tostapane o uno scaldabagno, la cui riparazione costa il doppio del nuovo e…nessuna garanzia! Le nuove auto sono piene di elettronica sofisticata. Pochissimi, spesso neppure i concessionari, la domina. Prezzi folli ogni eventuale riparazione. Se c’è un problema, anche piccolo, evidenziatosi alla scadenza della garanzia di fabbrica, meglio cambiare tutta l’auto… I giovani in genere non studiano e non lavorano (neppure i laureati sanno più scrivere una lettera senza errori di ortografia e nessun lavoro appare gratificante e remunerativo…), sono per lo più fancazzisti e dipendenti da cento narcotici, per quasi tutte le tasche… Questo è il panorama, non di scelte individuali, ma di opzioni purtroppo reali.
Vivo nel Terzo Mondo. Anche qui è praticamente impossibile far riparare o rifoderare un divano, ad esempio. Comprarne uno nuovo (cinese o indiano) costa meno della metà. E ti risparmi tante arrabbiature…E così per quasi tutto. I sarti di fatto non esistono più, come i falegnami per i piccoli lavori ecc. Si è perso quasi tutto l’artigianato, con la cultura del lavoro, pure qui. E 40 anni fa era tutto diverso. Piaccia o no è diventato uno stile di vita. Usa e getta.
Qui in Uruguay la gente vivacchia di commercio e servizi, senza più industrie e, dicevo, senza più artigianato. Domina poi una ideologia sindacalese e comunistoide anti impresa…Sopravvive l’edilizia (e tanti appartamenti vuoti…). Oggi anche la riparazione ad un’auto è diventata problematica. Non parliamo di un tostapane o uno scaldabagno, la cui riparazione costa il doppio del nuovo e…nessuna garanzia! Le nuove auto sono piene di elettronica sofisticata. Pochissimi, spesso neppure i concessionari, la domina. Prezzi folli ogni eventuale riparazione. Se c’è un problema, anche piccolo, evidenziatosi alla scadenza della garanzia di fabbrica, meglio cambiare tutta l’auto… I giovani in genere non studiano e non lavorano (neppure i laureati sanno più scrivere una lettera senza errori di ortografia e nessun lavoro appare gratificante e remunerativo…), sono per lo più fancazzisti e dipendenti da cento narcotici, per quasi tutte le tasche… Questo è il panorama, non di scelte individuali, ma di opzioni purtroppo reali.