La funzione dei nazionalisti è ben narrata nel volume La nazione dei nazionalisti. Liberalismo, conservatorismo, fascismo di Giuseppe Parlato, insigne storico, ordinario nell’Università degli studi internazionali di Roma, presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice.
Un volume importante (edito dall’editore Fallone, collana “Gli stati generali”, diretta da Michele De Feudis) che raccoglie saggi apparsi fra il 1983 e il 2020 su varie riviste scientifiche, arricchiti da un ampio capitolo inedito dedicato all’eroe di guerra Carlo Delcroix.
Il nazionalismo fu un fenomeno culturale e di costume di rilievo che si affermò in Italia dalla fine dell’Ottocento fino al fascismo, il quale assorbì i movimenti nazionalisti e il nazionalismo come “ideologia”. Sebbene non fu mai un partito di massa, puntò sulla necessità per l’Italia di divenire una grande potenza ed esercitò una certa influenza sulla cultura del tempo. Parlato offre una lettura storiografica e interpretativa in profondità scandita in momenti cronologici e per temi.
Questo movimento all’inizio ebbe legami con il liberalismo conservatore, per poi – come detto – essere inglobato (nel 1923) dal fascismo. Con il movimento mussoliniano i rapporti non furono sempre facili.
La geografia nazionalista
In questo libro emerge la geografia interna del movimento nazionalista con dinamiche differenti da regione a regione. Non a caso Parlato osserva “l’assenza di un pensiero unico interno al mondo nazionalista”, tant’è vero che il gruppo di Vittorio Cian, piemontese, era imperialista; quello di Luigi Federzoni, emiliano, era legato alla tradizione risorgimentale, mentre al movimento romano era proprio l’impegno politico in senso stretto. Quello veneto e trentino avevano venature irredentistiche e quindi erano caratterizzati in senso antiaustriaco mentre quello meridionale era più filosofico, neohegeliano e antipositivista. Tutto questo rimarca la mancanza di un pensiero comune e di movimenti capeggiati a livello locale da singole personalità, da un sentire particolare a seconda delle regioni, di un modo differente di interpretare la Patria. In comune avevano l’avversione all’internazionalismo proletario, al socialismo, verso chi negava l’identità nazionale che perciò veniva definito “non italiano”: così fu introdotto il concetto di “nemico interno” mentre quello di nazione li accomunava tutti. Differenti le priorità politiche a seconda dei gruppi: chi rivendicava la necessità di bloccare l’emigrazione italiana all’estero, chi poneva al centro del dibattito il lavoro, chi la necessità di instaurare l’Impero per ottenere un ruolo geopolitico e per diminuire l’emorragia di italiani che emigravano. Per realizzare uno stato organico i nazionalisti ritenevano necessario creare uno Stato centrale che tutto doveva rivoluzionare. Polemizzavano contro il parlamentarismo, contro la corruzione dei partiti. Alfredo Rocco, in seguito artefice dell’architettura giuridica dello Stato fascista, comprese bene che alla fine della prima guerra mondiale la funzione dei nazionalisti stava venendo meno a vantaggio di nuovi soggetti politici come i Fasci di combattimento.
Il ruolo di Fiume
La vicenda di Fiume fu l’occasione per riunire tutte le componenti militanti del nazionalismo e per assumere una posizioni conservatrici ma anche eversive, antilegalitarie e antidemocratiche. Nel 1923, Benito Mussolini, abilmente seppe assorbire il movimento nazionalista che mise a disposizione i migliori uomini per la costruzione dello Stato fascista.
Giuseppe Parlato, La Nazione dei nazionalisti. Liberalismo, conservatorismo, fascismo, (Fallone ed., pagg. 220, euro 22,00). Ordini: falloneeditore.com