In un intervento pubblicato qualche settimana fa su Barbadillo, Giuseppe Del Ninno lamentava il fatto che Giorgio Locchi «non abbia “fatto scuola” nell’ambiente – specie fra i giovani» e aggiungeva che il pensiero dell’autore romano «potrebbe costituire un’utile base di partenza per un serio rinnovamento culturale dell’area “non progressista”». Il giudizio è senz’altro condivisibile, anche se in parte troppo severo.
Negli ultimi anni, infatti, l’attenzione sul pensiero locchiano sembra essersi in parte riaccesa, seppur in forma ancora largamente insufficiente rispetto a quanto la filosofia in questione meriterebbe. Nel 2006 sono stati raccolti molti dei suoi articoli apparsi su Nouvelle Ecole in Definizioni (Seb), nel 2010 ulteriori interventi sono stati raccolti in Prospettive indoeuropee (Settimo sigillo), nel 2015 è stato ristampato Il male americano (ancora Settimo sigillo) mentre nel 2016 gli scritti di Locchi dedicati a Martin Heidegger sono stati riuniti in Sul senso della storia (Ar). In un’epoca di mode passeggere e meteore culturali, il pensiero del solitario di Saint-Cloud sembra quindi procedere a un’altra velocità e mostrare una più marcata perduranza. È comunque verissimo che molto di più si potrebbe e si dovrebbe fare.
Un piccolo tassello in più in questo senso lo pone senz’altro Il pensiero dell’origine in Giorgio Locchi, il saggio di Giovanni Damiano appena uscito per i tipi di Altaforte, che ospita anche due interventi di Stefano Vaj e del figlio Pierluigi Locchi (bisogna poi aggiungere che a proposito di Locchi sono in corso anche delle traduzioni francesi e almeno altre due iniziative editoriali italiane che vedranno la luce nei prossimi mesi).
Il saggio di Damiano
Quale novità porta il testo di Damiano alla scarna bibliografia a tema locchiano? Il fatto – e non è poco – di inserire definitivamente Locchi nell’alveo della più grande filosofia novecentesca e nei dibattiti teorici che accompagnano questo inizio di XXI secolo. Damiano, in altre parole, sottrae Locchi al recinto vigilato della cultura militante di un micro mondo, con tutto il rituale degli elenchi di padri nobili più citati che letti e del lamento vittimistico sulle censure ideologiche del potere, per inserirlo nel contesto che invece il filosofo romano merita, che è quello della grande posterità filosofica nietzscheana.
Per fare questo, l’autore campano compie un’operazione rischiosa e che potrà spiazzare molti, ma che forse in questa fase è necessaria, ovvero astrae totalmente Locchi dal contesto politico, sia riguardo ai suoi riferimenti al fascismo, sia riguardo ai suoi contatti con il mondo della Nouvelle Droite. Attenzione: Damiano non fa di Locchi un pensatore impolitico, non nega che la sua filosofia abbia un aspetto intrinsecamente politico, né tanto meno cerca di rendere le sue tesi più facilmente accettabili in contesti ideologici altri. Ritiene, tuttavia, che sia necessaria una brutale decontestualizzazione per scrollare dall’autore la patina di «santino» e penetrare in profondità il suo pensiero dell’origine e della libertà. Ma – aggiungo io – proprio questa operazione ci aiuta a riconquistare il pensiero politico di Locchi su un altro piano.
Locchi pensatore politico
Locchi è un pensatore politico nella stessa misura e nello stesso modo in cui lo è, intrinsecamente, Martin Heidegger, e cioè perché articola una distruzione totale e profondissima delle categorie ontologiche e antropologiche su cui si regge il pensiero occidentale. Si cercherebbero invano, in Locchi, argomenti per contestare Michela Murgia o Andrea Scanzi e alimentare così l’eterno rimpallo di punzecchiature che assorbe il 90% del dibattito culturale odierno. Se ne trovano, invece, per contestare Immanuel Kant o Karl Marx. Locchi è quindi un pensatore «originario» anche perché ci riporta ai fondamenti di una visione del mondo, ci sottrae a quell’eco di rimasticature di incomprensioni di pettegolezzi che oggi si è soliti chiamare «cultura di destra». Soprattutto in tempi in cui quest’ultima è stata colonizzata anche dalle suggestioni qanoniste indotte dalla pandemia e dai bacilli liberal-cattolici annidati nel ventre del cavallo di Troia sovranista, leggere Locchi significa tornare a pensare l’altro, per poter ambire a essere altro.