Il 25 ottobre 1992 ci lasciava Giorgio Locchi. Firma de “Il Tempo” di Angiolillo, ma soprattutto autore de “Il male americano” (con Alain de Benoist), “L’essenza del fascismo”, “Nietzsche, Wagner e il mito sovrumanista” (di cui ebbi il privilegio di una prima lettura del testo dattiloscritto). Gli anniversari hanno la funzione di boe segnaletiche della memoria e in quanto tali sono l’occasione per redigere bilanci di periodo, bilanci privati e bilanci pubblici. Il ricordo di Locchi, la sua conoscenza di persona, mi riportano al mio primo contatto con Parigi: si era nel dicembre del 1977, e l’occasione era costituita dal “Colloque” annuale del “Grèce”, l’Associazione culturale che aveva dato luogo alla “Nouvelle Droite”, a sua volta incubatrice della “Nuova Destra” in Italia.
Con Michel Marmin ed alcuni amici italiani eravamo andati a conoscere di persona Giorgio (che fatica, sulle prime, dargli del tu e chiamarlo per nome!). Ci accolse nel suo studio al secondo piano, ci fece ascoltare la Florentine Marsch dal suo sofisticato impianto ad alta fedeltà, ci spiegò perché conservava un busto del Führer e perché gli dava un buffetto ogni volta che entrava nella stanza. Da allora, anche con mia moglie e con i mei figli allora piccoli, la “Nouvelle Droite” è rimasta nella memoria familiare e mia personale come una comunità dove si studiava e si viaggiava, ci si riuniva in grandi tavolate e si cantavano antichi canti popolari, si organizzavano congressi internazionali e si redigevano programmi editoriali e presentazioni di libri.
Qui però voglio solo ricordare lo studioso e l’uomo e rimpiangere che non abbia “fatto scuola” nell’ambiente – specie fra i giovani – al quale aveva dedicato le sue ricerche nel campo filosofico, storico, politico e musicale (quest’ultimo campo interpretato soprattutto in chiave filosofica). Rileggevo il suo volumetto “L’essenza del Fascismo” (Edizioni del Tridente, 1981), con la dedica in allegato: si tratta di una “lettura” di quel movimento di massa del 900 da inquadrare in stretto collegamento con i suoi studi su Nietzsche e Wagner e, in particolare, col “mito sovrumanista” (di cui ha parlato anche Giovanni Sessa nei suoi recenti saggi).
Ebbene, questa interpretazione, unita allo spirito comunitario che ispirò la Nouvelle Droite (anche nella sua versione italiana), potrebbe costituire un’utile base di partenza per un serio rinnovamento culturale dell’area “non progressista”. Certo, i saggi di Locchi non sono di facile lettura, e questo forse contribuisce a spiegare l’insufficiente penetrazione delle sue tesi: molto più “popolare” fu il volume scritto a quattro mani con Alain de Benoist, “Il male americano”, che a mio avviso però coglieva, sia pure con grande acutezza, alcuni aspetti di fondo di quella cultura, ignorandone altri che avrebbero ampliato lo spettro di quella analisi.
Comunque, devo ancora ringraziare Giorgio Locchi, che mi manca come “maître à penser” e come amico.
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Locchi guidava un gruppo di persone colte. Grillo guida il primo partito della nazione! Dove andremo? ah, saperlo…