– Laudetur Jesus Christus.
– In saecula saeculorum.
– Che cosa desiderate, fratello? – una voce chiese dallo spioncino.
– Vorrei parlare con padre Mattia, mi conosce.
– Non siete armato?
– No.
– Entrate, fratello.
Gianfranco Dussi fu introdotto nel convento. Si sentiva sporco, in goffi abiti civili, la barba lunga: un fuggiasco affamato. La spessa porta di legno, cigolante, si rinchiuse dietro di lui.
– Di chi devo dire?
– Di quello delle tre dita. Il Padre Superiore comprenderà.
Padre Mattia, un uomo corpulento sulla cinquantina, dalla faccia gioviale, quasi calvo, si affacciò dopo pochi minuti alla stanzetta disadorna, parlatorio dove l’ospite era stato fatto entrare. Con sorpresa, forse relativa, ma calorosamente, salutò il nuovo arrivato:
– Comandante Dussi, siate il benvenuto!
– Grazie, padre, come vedete mi son ricordato del vostro invito: “Se avrete bisogno noi siamo lì, sempre la porta si apre”.
– Avete fatto bene. Non vi chiedo nulla. Questi sono giorni terribili.
– Già. Voi, uomo di Chiesa, comprenderete che non è solo la paura che mi ha indotto a bussare alla vostra porta…
– Certo che no, comandante. E non solo per le dita che avete lasciato in Russia, congelate. Per come quella volta siete andato a riprendere il mio confratello, padre Luigi, che era stato arrestato dalla “Muti”. Mi avevate detto: ve lo riporterò. Manteneste la promessa.
– Sì, per poco non ho dovuto scaricare il caricatore della mia Beretta in faccia a quell’imbecille milite, che si credeva più di un Comandante di Squadra delle “Brigate Nere”.
– Padre Luigi ve ne sarà sempre grato. Voi sapete che cosa succedeva nelle caserme della “Muti”…
– Infangavano quel che ancora rimaneva del buon nome del fascismo.
– Mussolini è stato giustiziato. Pace all’anima sua. Lo ha detto poco fa la radio. Anche molti
gerarchi, a Dongo. Credo che già eravate al corrente.
– Ho udito grida in lontananza e raffiche di festeggiamento, credo. Non sapevo della sua morte, ma l’ho intuito, naturalmente. Il generale Onori a Ponte Valtellina ci disse del suo arresto a Dongo e che dovevamo consegnare le armi, arrenderci ai partigiani, tutta la colonna, come era stato concordato con i loro capi, alla presenza del vescovo di Sondrio.
– Avete fatto un’altra scelta.
– Gli dissi che della parola dei comunisti non mi fidavo e che preferivo morire da uomo libero, non da topo. Una cosa è morire combattendo, ben altra essere fucilato come un malfattore, Salutai brevemente i miei uomini, che perdonassero il loro comandante e si salvassero come potevano. Me ne andai, infischiandomene di “parole date” ed altre stupidaggini del momento. Noi che eravamo lì per scortare il Duce in Valtellina, sino alla fine…
– Come avete fatto ad arrivare fin qui? Non è vicinissimo.
– In un casolare ho comprato, per mille lire, questi abiti in borghese. Poi ho camminato per i campi. Ho dormito un po’ appoggiato ad un albero. Ho avuto fortuna. Nessuno mi ha fermato o chiesto i documenti che, comunque, avevo bruciato. Ma sarebbe servita a poco la precauzione.
– Avete fatto bene. Nessuno entrerà qui a farvi del male. Venite a prendere un po’ di latte, a mangiare una fetta di pane. Di questi tempi abbiamo poco, ma con un fratello si condivide tutto.
– Grazie, padre. Voi rappresentate l’unico raggio di sole dopo settimane di buio. Dio vi renderà merito anche di questo.
– Non sto facendo nulla di particolare. Siete un fratello che ha bisogno di un tetto sicuro.
Il fuggiasco passò al refettorio e, come parlando tra sé e sé, più che al Padre Superiore:
– Perché un combattente dell’ARMIR, uno che in Russia si è preso una medaglia, ci ha lasciato due dita, che ha sempre scelto la soluzione più scomoda, quella dell’onore, che ha vestito con orgoglio la camicia nera, quando tutto era perduto, quando si sapeva bene che si stava dalla parte di quelli che certamente sarebbero stati sconfitti, se qualcuno non ti sparava prima alle spalle, perché quell’uomo non si tira un colpo in bocca e la finisce lì, se non pensa d’arrendersi?
La faccia tonda del frate da cordiale e bonaria divenne seria, tirata.
– No, questo non lo dovete né pensare, né dire, comandante. L’uomo non dispone liberamente della sua vita. Essa appartiene a Dio.
– Avete ragione, padre, scusatemi.
– Perché vi siete ricordato di questo convento cappuccino?
– Perché, perduta una buona ragione per morire, spero ora di rivedere i miei due bambini, Paolo e Chiara, e mia moglie, Carlina, che dovrebbero essere al sicuro. Ero disposto a morire, altrimenti non sarei entrato nelle “Brigate Nere”, nove mesi fa. Ma non pensavo di essere tradito proprio dal Duce. Che mentre noi sognavamo ancora con l’estrema difesa in Valtellina, le Termopili del Fascismo, al Ridotto Alpino voluto da Pavolini per l’ultima battaglia, e per quello ci eravamo raccolti in tanti per sacrificarci con lui e per lui, ebbene Benito Mussolini, che, nonostante i suoi errori, rappresentava un valido motivo per morire, ebbene lui se ne scappava disperato per cercare di salvarsi, chissà dove e come! Inutilmente, tra l’altro. Che delusione.
– Siete giovane, ancora. Oltre la famiglia ritroverete dei buoni motivi, forse migliori, per lavorare, appassionarvi, vivere. Passerà quest’ora buia. Dio non vi abbandonerà, siatene certo, non escludetelo dalla vostra esistenza. Riposate intanto, comandante.
– Non più, padre. Solo Gianfranco. Le vostre parole son balsamo. Non vorrei procurarvi problemi. Se mi dite di ripartire sono pronto, anche subito.
– Rimanete. Qui abbiamo accolto anche dei partigiani. La storia non ha bisogno d’una vittima in più. Se avete peccati da raccontare, che vi pesano, o anche solo la tentazione di confessarvi, abbiamo degli eccellenti confessori. Buoni frati e sant’uomini, quasi sempre…
– Ma se vengono i comunisti, i garibaldini, voi non dovete rischiare per proteggermi.
– Hanno l’ordine di rispettare chiese e monasteri. Pensano al dopo, a quando si voterà. Vi faremo, in ogni caso, indossare un saio, dei sandali, pure dei guanti. Fratel Faustino, un francescano in più, qui da cinque anni. La barba vi crescerà in fretta. Neanche a noi piacciono i comunisti – disse sorridendo il Superiore – avviseremo la vostra famiglia, con cautela.
Così ebbe inizio il soggiorno nel convento dell’ex Comandante di Squadra della Brigata Nera “Aldo Resega”, Gianfranco Dussi, uno che aveva sparato ed ucciso in combattimento, mai torturato nessuno, mai comandato alcun plotone d’esecuzione, presso il Convento dei Frati Minori Cappuccini di ***.
Con una celletta, un saio, facendo in sostanza la stessa vita dei frati, per libera scelta, per sondare il mistero di quella scelta di vita. Ed anche per retribuire, in un certo senso, la generosità di padre Mattia, che aveva pure il pregio di non citare né San Paolo, né Sant’Agostino… Altro che “Brigate Nere, avanguardie di morte, siam vessillo di lotte e di orror, siamo l’orgoglio trasformato in coorte, per difendere d’Italia l’onor”! Sveglia alle 6, preghiera mattutina, Santa Messa conventuale, letture, riposo, preghiera serale, la compieta dopo i vespri e prima del sonno, verso le 10. In fondo, la vecchia Regola, stabilita da San Francesco nel 1223. Ed il salmodiare lento, monotono, il Canto Gregoriano della domenica, con padre Alfredo, un gran solista. Tempo a josa per riflettere e pensare, rifugiandosi nella lentezza del vivere, medicina forse straordinaria, ma non a tempo breve… Per ritrovare la Fede non gli sembrava degno. Non si crede nel Dio di noi cattolici, dei nostri padri, per ringraziare o per chiedere una salvezza. Non si dovrebbe. Non è il voto di scambio dei ‘ludi cartacei’.
Gianfranco non usciva mai dal convento, faceva quattro passi ed inseguiva il sole nel chiostro, dove giungeva l’aria frizzante delle montagne. Poche parole scambiate con i frati, che non gli domandavan mai nulla. Il mondo di fuori, con la sua libertà, azione e trappole micidiali, pareva remoto. Le scarse notizie che giungevano e quelle che trasmetteva la radio – dall’unico grande apparecchio e solo per il notiziario della sera – non erano precisamente dense d’ottimismo per lui. Era giunta la pace, ma quale pace per gli sconfitti? Il “Vae victis!” di Brenno, il re gallo che a Roma getta la spada sui pesi della bilancia come contrappeso all’oro.
– Caro padre Mattia: “A noi la morte non ci fa paura: ci si fidanza e ci si fa l’amor, se poi ci avvince e ci porta al cimitero, s’accende un cero e non se ne parla più”. Così avevo cantato tante volte con i miei ragazzi, per esorcizzare proprio la paura della morte: poter urlare in faccia ai cacasotto borghesi ed ai gappisti la nostra decisione d’acciaio, per dare un senso a quelle nostre vite maledette di sacrificio, mentre attorno a noi cresceva, si dilatava un cerchio di diffidenza, repulsione, odio. La gente voleva la pace, noi eravamo la guerra che rabbiosamente continua.
– Tutti commettono errori – constatava il frate, con filosofica saggezza e compassione.
– La vita con i suoi imperativi etici, ideali, le sue illusioni…
– Gli uomini si entusiasmano per sentirsi vivi. Troppo spesso dimenticano Dio. La Chiesa predica il Vangelo, ma è dei peccatori. Siamo, laici o consacrati, uomini deboli, fragili. Li riscatta la buona fede, la misericordia, la pietà, le rette intenzioni. Forse, avete indovinato a rifiutare personalmente i termini della resa. Ho saputo che non pochi sono stati poi detenuti e fucilati, a cominciare dal maggiore Vanna.
– Mi spiace molto. Maledetti… parola di comunisti. Non sono mai stato un mistico, padre, neppure un cattolico devoto e praticante. Non lo era la mia famiglia. Ci si sposa in Chiesa, si fanno battezzare i bambini, poi la Prima Comunione, a messa a Pasqua e Natale, l’Olio Santo alla fine del viaggio, il Rosario e la benedizione al camposanto.
– Il cattolicesimo all’italiana…
– Io sono cresciuto, come tutti i ragazzi della mia generazione, nel culto della Patria, del Duce, della Bandiera, dell’Impero. Una vita sognata, sin da avanguardista, di combattente per l’ideale, per i destini irrevocaboli della nuova Italia, il futuro dei figli del Duce, le adunate, le marce, i saluti e passi romani, l’orbace, i canti, i giuramenti, i gladi sguainati orgogliosi in faccia al mondo, il “Mare Nostrum” da riconquistare, gli eroi della Causa, la Vittoria immancabile…
– Tante cose, Gianfranco, lo so. Tante parole con le ali… e poi il dolore infinito.
– Sì, cose che parevan belle, emotive. Molta retorica, chiaro, ma con significati alti, lirici.
– Parlate, figliolo, permettetemi di rivolgermi a voi così, dite tutto quello che forse non avete mai detto a nessuno. Vi farà bene. Voi non siete il gran colpevole, neppure il salvatore. Non caricatevi addosso tutti gli errori ed orrori del mondo.
– Grazie. I miei sogni son finiti in cenere, padre Mattia. La perdita dell’Impero, poi il voltafaccia del Re e dei gerarchi il 25 luglio, la resa umiliante dell’8 settembre, l’Italia invasa dalla feccia di eserciti stranieri, le bombe sulle città indifese, le nostre donne violentate. Noi a sporcarci le mani nel trojajo, perdonatemi, d’una guerra civile ed i puri Alleati con il loro “Arsenale della Democrazia” a portare la morte anonima a innocenti, a centinaia di migliaia, sull’Italia, sulla Germania, sul Giappone. E da ultimo il tradimento di Mussolini, che ci convoca per l’ultima battaglia ed invece… cerca di squagliarsela e abbandona tutti, mal travestito da soldato tedesco!
– La propaganda, l’ipocrisia, anche le umane debolezze…
– Per la verità, padre, il mito del Duce si era appannato, sgonfiato e pure da tempo. Gli italiani non sono stupidi. Eccessivi, sentimentali, pronti a credere, fiduciosi, melodrammatici forse, imbecilli e ciechi no. Ma voi li conoscete di sicuro meglio di me.
– Se solo Mussolini avesse dato retta a Sua Santità invece di gettare l’Italia nel conflitto. Poi, si sa, chi vince ha tutte le ragioni dalla sua parte.
– Sì, padre Mattia, soprattutto col senno del poi. L’Era Fascista, il Littorio, la Civiltà Latina immortale, DUX, i motti e le parole d’ordine, il “Credere, Obbedire, Combattere” ecc.; orpelli illusori, spazzati via nel ’43. Pochi li rimpiangevano realmente. L’Italia era stata sconfitta, non solo il regime o la dittatura, lo sapevamo tutti, proprio tutti.
– Ma voi volevate ricominciare, Gianfranco… fratel Faustino…
– Sì, aspiravamo a ricominciare, padre, una volta che la pace fosse tornata, da uomini veri di una Patria vera, mai defunta, che merita rispetto perché in tanti sarebbero morti per riconquistare l’onore smarrito. Perché l’Italia, non il fascismo, vivesse, comunque e soprattutto.
– Lodevole motivazione, forse ignorando il sentire dell’italiano che per secoli non l’ha avuta.
– È probabile, padre. Aspirazioni disinteressate, dettate solo dalla fede che non può rinunciare a credere. Adesso anche quelle spazzate via, brutalmente, ed immagino per sempre.
– Non angustiatevi, fratel Faustino. Se avete delle colpe credo che già l’espiazione sia iniziata. Dio è misericordioso, non siate ansioso, non sentitevi solo. Una redenzione la troverete.
Fratel Faustino era chiuso in quel convento, senza poter uscire, per chissà quanto tempo. Clausura rigorosa. Non poteva certo chiedere a padre Mattia dei documenti falsi. Paolo, Chiara, Carlina. Che ne era di loro? Quando li avrebbe rivisti? Si sentiva oppresso da oscuri sensi di colpa, che quelle mura del convento, pur protettive, acutizzavano. Perché lui si era salvato, scappando da solo, mentre altri sicuramente morivano? che cosa lo aspettava? quando? la salvezza era reale o solo un’illusione, un rinvio? giudicato per quali delitti? per la fedeltà alla Patria, per una uniforme? Sì, ma di quelli che han perso e che in molti conoscono… Si tormentava, nelle lunghe notti dormendo poco, non riuscendo a trovare risposte, tanto meno assoluzioni o consolazioni.
Solamente sapeva che, quella maledetta fine di aprile, se ne erano andati via quasi tutti, abbandonato la Repubblica pur rimanendoci: quelli, pochi, che cercavano “la bella morte” e quelli, i più, che tentavano di salvare, più prosaicamente, le cuoia, la famiglia, un po’ di beni e fuggivano alla cieca, come mucche impazzite. Poi migliaia di italiani, per lo più senza colpe, vennero uccisi a sangue freddo, macellati come tali o con sbrigative parodie di processi, detenuti in buchi orrendi, seviziati o fuggitivi, se fortunati; e pure gli immancabili traditori dell’ultima ora. O magari nascosti in un convento, il rovescio d’una orgogliosa scelta da eroi…
Tutti perduti, morti e vivi, senza ali per tentare di volare o il diritto a permanere nella memoria collettiva condivisa; affogati non in un gran mare azzurro, ma in una pozzanghera torbida, limacciosa – il lascito della tragedia – intuita come probabilmente duratura o chissà irreversibile.
Pezzo storico che essenzialmente edulcorato serve come al solito per denigrare Mussolini..
Non credo minimamente a questa storiella riguardante il Duce,per il resto è uno dei tantissimi comportamenti del si salvi chi può…
Non si tratta di denigrare o no il Duce. Mussolini aveva molte qualità, aveva coraggio morale, altrimenti non avrebbe abbandonato la sua posizione di spicco nel Psi per l’incognita interventista, ma non aveva molto coraggio fisico. Nella grande guerra fu felice di essere stato ferito, perché, come scrisse in una lettera a un amico, temeva di fare la fine attribuita a Corridoni, vittima della fucilata di qualche commilitone che lo odiava in quanto interventista. Rispetto a un De Vecchi o a un Balbo non fu certo un eroe. Anche la marcia su Roma la fece a cose fatte in vagone letto; altrimenti se le cose fossero andate male avrebbe preso un treno per Lugano. La sua morte non fu eroica e la sua illusione di salvarsi la pelle con la cartellina contenente l’ipotetico carteggio con Churchill mi è sempre parsa patetica. Pavolini e la stessa Petacci fecero una figura molto migliore, nel loro fanatismo e nella loro cieca devozione. A fare sopravvivere il mito di Mussolini fu lo scempio di Piazzale Loreto. Come sta succedendo anche oggi, l’antifascismo generò il neofascismo. Ci furono invece tanti ragazzi e non più ragazzi che andarono a Salò sapendo che li aspettava la bella morte, e la loro scelta, quale che sia il giudizio storico che se ne vuole dare, merita a mio giudizio rispetto.
Che il duce sia stato trovato, probabilmente per l’accordo dei tedeschi con i partigiani, su un camion della Werhmacht, sotto un pastrano tedesco, non è una storiella. Che chi era lì giunto per combattere l’ultima battaglia si sia sentito tradito, a partire da Pavolini, è altrettanto vero e documentato… Al di là del mio raccontino…
…e quattro gatti di partigiani misero nel sacco migliaia di uomini armati che fino al 26 aprile ancora controllavano tutte le vie di comunicazione! Che poi i tedeschi non volessero combattere era chiaro, avendo accordato in Svizzera (Wolff-Dulles) di lasciare l’Italia. Chi non doveva fare la fine del topo erano i fascisti, avendo Graziani, a nome dell’Esercito, detto chiaro a Mussolini, a Milano, che lui si arrendeva agli Alleati, data la situazione militare… Mussolini preferì seguire le sirene/fanfaluche di accordi con Servizi Segreti Britannici ed Americani che avevano, invece, solo lo scopo di consegnarlo agli italiani del CLN per fucilarlo.
Non si va a combattere l’ultima battaglia con moglie, figli, amanti al seguito… Mussolini buonanima rimase sempre un ottimo giornalista, non un condottiero. Scambiava spesso la realtà virtuale per oggettiva…
Noto che le solite storielline continuano, sembrerebbero citate maramaldescamente da Lerner,Formigli Boldrini…Si era forse presente a questi eventi?? Io ricordo la miseria di quelli scampati alla mattanza comunista come erano angheriati nel poco lavoro dato loro.invece chi aveva collaborato davano camion case propietà varie compresi alberghi e se ne fottevano . Perché non parlate di verità storiche..x es.quando si accordava la resa ai RSI senza ripercussioni ed invece venivano fucilati.potrei continuare nel citare le barbarie di quei tempi.Alle volte credo che la sinistra di potere abbia oltre il dominio dei punti chiave del sociale anche una pseudo destrasamente vacua moltitudine..
PS Qual’è il fine..Cosa vogliono dimostrare…
È proprio quello che ho scritto! Rileggi Fernando….
Proprio perché i partigiani non erano persone di cui fidarsi, avrebbero fatto bene ad arrendersi agli Alleati, come voleva Graziani. Chi lo fece in genere si salvò, dallo stesso Graziani a Borghese. Resta il fatto che i tedeschi ci tradirono quattro volte: quando strinsero il patto Ribbentrop-Molotov, senza consultarci; quando senza consultarci aggredirono la Polonia; quando aggredirono l’Urss senza avvertirci; e infine quando trattarono la resa con gli Alleati abbandonando al loro destino quegli italiani che erano rimasti al loro fianco proprio per riscattare il tradimento dell’8 settembre. Purtroppo noi italiani siamo abituati a colpevolizzarci nei confronti di tutti: abissini, jugoslavi, tedeschi e chi altro.
Enrico. È tutto vero, basta rileggersi i Diari di Ciano, che pur ebbe le sue colpe, quando accettò senza fiatare il Patto d’Acciaio nel 1939 e lo sciagurato Patto Tripartito Roma- Berlino-Tokyo (Patto Roberto). I tedeschi non avevano fiducia in noi perchè avevamo la fama di doppiogiochisti. E lo dimostrammo nell’inverno 1939-’40. Le confidenze fatte a Mussolini venivano condivise con il genero Ministro degli Esteri e da lui subito diffuse a Palazzo Colonna, Golf Acqua Santa ecc. Rimane il dato di fondo: non dovevamo allearci con la Germania e tanto meno pagare il ‘pegno’ delle Leggi Razziali, che ci inimicarono gli americani, non solo gli inglesi… Il dato tragico è che tali importantissime decisioni vennero assunte praticamente dal solo Mussolini, in un delirio di onnipotenza autocratico, tra i mugugni del Re, tanto stolto quanto condannato al fallimento. Fallimento della svolta autoritaria del fascismo dal 3 gennaio 1925. L’Italia liberale aveva tante pecche, ma era la nazione nella quale un Pisani Dossi poteva far circolare un witz contro il Presidente del Consiglio Marco Minghetti, della Destra Storica, gran cacciatore ed un po’ meno amatore: ‘Marco, perchè all’uccel tu tiri, se a te l’uccel non tira?’ Non venendo mandato al confino, ma solo ritardando la sua nomina a senatore… L’Italia non poteva sopportare a lungo l’autoritarismo cafone di uno Starace. Mussolini era intelligente e piuttosto colto. Avrebbe dovuto capire nel 1925 quello che poi gli sarà chiarissimo nel 1944, troppo tardi: gli italiani non li comandi ‘con il bastone e con la carota’, quello era un pregiudizio di Churchill, ma accettandone la natura, come faceva Giolitti…
Felice è mai possibile con la tua esperienza non ti sia mai venuto il dubbio sullo scoop pre confezionato per fini propagandistici per la palandrana tedesca indossata da Mussolini.E’ la quarta volta che la menzioni da quando seguo Barbadillo è mai possibile che da destra non ci sia altro da menzionare?’
Financo la macabra e vergognosa scena di piazzale Loreto fu’realizzata dai cineasti americani per manipolare l’opinione pubblica e così fare dimenticare le loro atrocità.Mi viene in mente la bellissima storia sul tuo parente tornato a Torino dall’Africa con famiglia,ricordi?? Dovresti continuare in tal guisa..
Purtroppo Dall’entrata in guerra dell’Italia c’ è da vergognarci,penso solamente a quelle scatolette che chiamavano mezzi corazzati,penso alle navi da guerra date in mano a incompetenti o traditori.Mussolini certamente ha fatto degli errori ma non era possibile che facesse tutto lui.
Credeva di aver fatto gli Italiani sbagliandosi amaramente..
Fernando. Ti superi quando dici che Piazzale Loreto fu voluto dai cineasti americani….
Non avevamo acciaio! La grande copertura della Stazione di Porta Nuova a Torino, simile a quella della Centrale di Milano, fu subito smantellata e fusa, alla pari di molte cancellate… Dubito assai che saremmo stati in grado di confezionare 8 milioni di baionette – che comunque non servivano più – come millantato dal Duce, un abile amministratore della politica interna, non di quella estera, non di quella militare… Sulle modalità dell’arresto del Duce ci sono un’infinità di testimonianze che Fernando pervicacemente ignora… Ma la destra italiana ha in Mussolini e nostalgismi spiccioli le peggiori palle ai piedi, ciò che alimenta in continuazione un antifa ridicolo, anacronistico, da fumetto, ma in un mondo di gonzi ignorantoni purtroppo ancora assurdamente rilevante…
Felice ti stai approfittando da buon piemontese dal tempo andato che non posso risponderti come vorrei e meriteresti altrimenti mi censurano.Sulla fine del Fascismo ti barcameni continuamente contradicendoti da un anno all’altro,evidentemente apparire per te conta più della logica degli eventi.Dice bene Franco Cardini..Se il fascismo dopo76 anni nonostante una campagna spietata ha ancora una moltitudine di giovani e non solo,ci sarà una ragione!! Non sono mica tutti squilibrati.Bisognera analizzarlo seriamente senza remore di sorta pregiudizi.Questo non vuol dire ristabilirlo ma bensì fare sintesi obbiettiva seria in conformità delle esigenze primarie del sociale odierno.Non si torna certamente indietro ma fondare basi politiche serie,il che vuol dire modellare la società in maniera armonica con un confronto delle forze politiche senza pregiudiziali e remore ideologiche.
Non ho mai posseduto camicie nere e saluti romani ma non mi sono mai tirato indietro orgogliosamente.
Fernando. Non mi barcameno per nulla, anche in omaggio ai morti e perseguitati di famiglia. Ma il fascismo perdendo la guerra, senza attenuanti, e con l’infausta alleanza bruciò le navi come Cortéz. Adesso il reducismo è del tutto fuori luogo e figurati se proprio io mi scandalizzo per una celtica o un saluto romano… Solo che politicamente non servono, anzi sono dannosi… Poi lascio cadere la tua avversione verso i piemontesi che, forse al di là della colpa di assumere la leadership del movimento unitario nell’800, non vedo che colpe specifiche abbiano…Che poi Torino sia diventata la Detroit d’Italia questo faceva solo bene ad un Italia ancora troppo intrisa di mandolini, O sole mio, lupare e valigie di cartone…