Chi ha ucciso il presidente dell’Eni Enrico Mattei, precipitato il 27 ottobre del 1962 nella campagna pavese a bordo del suo aereo personale? È uno dei grandi misteri dell’Italia repubblicana, il primo di una lunga serie di “omissis” che ha funestato la storia nazionale dal secondo Dopoguerra fino agli anni Novanta, passando attraverso attentati dinamitardi, stragi, morti eccellenti, golpe tentati e complotti riusciti, magari a sfondo giudiziario.
Una risposta arriva dal volume “Ho ucciso Enrico Mattei” di Federico Mosso, Gog Edizioni, uscito pochi mesi fa e passato un po’ sotto silenzio. Ed è una risposta puramente letteraria, non giudiziaria, storica o saggistica, perché parafrasando Pier Paolo Pasolini, l’autore sa ma non ha le prove. Ecco allora uno scintillante romanzo a cavallo fra il thriller, la spy-story e la fantapolitica che all’interno di un quadro storico ben documentato fornisce una chiave di lettura intrigante e possibile, se non addirittura probabile: a far fuori Mattei fu la CIA con il tacito assenso del governo statunitense, l’appoggio morale delle Sette Sorelle petrolifere (britanniche, francesi e americane) e il supporto logistico dei servizi segreti italiani (nel caso specifico il SIFAR del futuro generale golpista De Lorenzo), già allora sufficientemente deviati.A raccontarlo in prima persona, in una specie di lunga confessione che sfocia nell’autoanalisi, è lo stesso assassino, cioè l’agente segreto “Joe”, ex spione dell’OVRA fascista passato con gli americani già nel 1943 e promotore dei primi intrighi dei “liberatori” a stelle e strisce con la mafia per favorire lo sbarco in Sicilia delle truppe di Patton e Montgomery. L’agente CIA, di cui non sapremo mai il vero nome e che nel corso del romanzo vedremo agire sotto le mentite spoglie dell’ufficiale del SIFAR Oreste Lucciani o di Umberto Malimberi, dirigente di un centro studi internazionali, si muove con perizia e disinvoltura tra le campagne assolate della Sicilia, le foreste pluviali del Congo e i centri di addestramento degli USA sempre agli ordini dei suoi nuovi padroni, con i quali condivide la “crociata” anticomunista.
Fino a concepire e realizzare l’attentato perfetto: installare una carica esplosiva a bordo del Morane-Saulnier sul quale abitualmente viaggia Mattei per provocare un’avaria e farlo precipitare, simulando un guasto al motore. Come puntualmente accade la sera del 27 ottobre 1962 sui cieli di Bascapè, non lontano da Pavia. In realtà l’attentato non fu proprio perfetto, la carica esplosiva risultò un po’ troppo potente e a molti, già allora, venne il dubbio che l’aereo si fosse distrutto in volo e non schiantandosi a terra. Ma sarà soltanto molti anni dopo, nel 2003, che un magistrato, il pm Vincenzo Calia, metterà nero su bianco l’ipotesi che non si sia trattato di un incidente bensì di un omicidio. Anzi, di una strage perché con Mattei perirono anche il pilota personale Irnerio Bertuzzi, eroe di guerra nell’aviazione della Rsi, e un giornalista americano che lo accompagnava, William McHale.
A proposito di reduci in camicia nera, nel romanzo di Federico Mosso emerge molto chiaramente che già all’inizio degli anni Cinquanta il vero spartiacque non era più tra fascisti e antifascisti, ma tra chi ipotizzava un’Italia di nuovo protagonista sullo scacchiere geopolitico, e quindi indipendente anche da un punto di vista energetico; e chi invece la preferiva subalterna agli interessi americani e del grande capitalismo privato ad essi legato, in un’ottica atlantista e anticomunista. È così che in “Ho ucciso Enrico Mattei” a fianco del grande boiardo dell’Eni, democristiano spurio ed ex partigiano cattolico, troviamo il fedele Bertuzzi, ex repubblichino, e un sopravvissuto dell’Agip fascista come l’ingegner Carlo Zanmatti; mentre sull’altra sponda su muovono militari, altri ex fascisti ed ex partigiani bianchi – è il caso di Eugenio Cefis – animati da interessi contrastanti. Insomma, a dieci anni dalla fine della guerra era già palese che il discrimine fascismo-antifascismo non esisteva più, con buona pace di chi ancor oggi lo sventola come una madonna pellegrina a fini elettorali.
L’autore sposa anche la tesi dell’attentato a Mattei come capofila di una serie di omicidi eccellenti, sempre nel solco della lotta di potere internazionale per lo sfruttamento delle fonti energetiche: chi ha cercato di scoprire la verità su Bascapè è morto. È successo nel 1970 a Mauro De Mauro, giornalista de L’Ora di Palermo, ex combattente della Rsi con l’uniforme della Decima Mas, incaricato dal regista Gianfranco Rosi di svolgere alcune ricerche sulla fine di Mattei in vista di un possibile film. De Mauro, fratello maggiore di Tullio, noto linguista che sarà poi anche ministro della Pubblica Istruzione, scomparve il 16 settembre 1970, probabilmente rapito da uomini di Cosa Nostra, e il suo corpo non è mai stato ritrovato.Il secondo omicidio che Federico Mosso lega direttamente al caso Mattei è quello di Pier Paolo Pasolini, ucciso a Roma il 2 novembre del 1975 da un minorenne con il quale si era appartato vicino a Ostia. Il giovane verrà poi condannato, ma i dubbi sulla morte del regista e poeta non sono mai stati dissipati e l’autore di “Ho ucciso Enrico Mattei” sceglie la teoria, non del tutto nuova, del delitto su commissione per chiudere la bocca a Pasolini, che in quel periodo stava scrivendo un monumentale romanzo, “Petrolio”, proprio sulla morte del presidente dell’Eni e sui giganteschi interessi internazionali che ruotavano intorno alle fonti energetiche. Nella verità romanzata di Mosso, in questo caso il nostro agente “Joe” – ormai messo ai margini dalla CIA – non c’entra direttamente, anzi l’uccisione dello scrittore è la molla che lo spinge a ricostruire la verità e lasciare una sorta di memoriale quasi come una forma di riscatto morale per le sue trentennali malefatte al soldo dei servizi americani. Come finirà non lo scriviamo, perché il libro di Mosso, come detto, è anche un thriller.
Federico Mosso, quarantenne torinese, cinque libri già all’attivo, con questo romanzo conferma di avere il passo del romanziere e affronta le 360 pagine del volume senza lasciare fiato al lettore, alternando con perizia le molte verità storiche a passaggi di pura fiction nei quali, pur non essendo veri, i fatti narrati sono del tutto verosimili. Mosso assembla magistralmente la figura tenebrosa dell’agente segreto “Joe”, il vero protagonista del romanzo, un uomo astuto e spregevole in grado di uccidere la propria amante perché spia comunista oppure il fido mercenario francese che lo aiuta nell’impresa di eliminare Mattei per non lasciare in giro testimoni scomodi. “Joe” è il lucido e implacabile interprete di trent’anni di misteri italiani, dalla ricostruzione agli anni di piombo.
Al tempo stesso l’autore restituisce brillantezza all’immagine di uno dei grandi italiani del secolo scorso, Enrico Mattei, descritto come un titano che stava cambiando il volto dell’economia italiana, quindi anche della politica. Un uomo con molti pregi e molti difetti (vanitoso, accentratore, corruttore, populista) che per oltre un decennio ha coltivato il sogno di riportare l’Italia al centro della geopolitica europea e mediterranea, sottraendola al destino di vassalla al quale l’aveva condannata l’esito della Seconda guerra mondiale. Com’è andata a finire è sotto gli occhi di tutti.
Non mi piace il mito Mattei, non mi piace il personaggio Mattei, non mi piace il delirio di potere Mattei ecc. Meno che meno mi piace Pasolini, da tutti i punti di vista.