A mente fredda, non posso fare a meno di dire la mia sul deprimente caso delle dimissioni imposte al sottosegretario Claudio Durigon per aver auspicato nel corso di un comizio a Latinache il giardino reintitolato a Falcone e Borsellino tornasse a portare il nome di Arnaldo Mussolini. La sua è stata una dichiarazione sopra le righe, anche se forse sarebbe stata condivisa da uno dei due nuovi intestatari del parco, il giudice Borsellino, ex militante del Fuan Fanalino a Palermo, che nel maggio del 1992 il Msi indicò come proprio candidato alla presidenza della Repubblica e nel settembre del 1990 era intervenuto alla festa del Fronte della Gioventù a Siracusa. Ma, per quanto sopra le righe, non era tale da giustificare la richiesta di dimissioni su un membro del governo chiamato a occuparsi di pensioni, non di cultura o di pubblica istruzione. Quando, il 3 maggio 1953, l’allora sottosegretario Andreotti ad Arcinazzo strinse la mano e poi abbracciò il maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani, ministro della Guerra durante la Rsi, venuto ad assistere a un suo comizio, nessuno lo costrinse a dimettersi. Eppure alcune ferite della Rsi, con relativi bandi contro i renitenti alla leva, ancora sanguinavano. Anzi, pare che siano stati alcuni esponenti del Msi a rimproverare a Graziani di avere fatto il gioco di Andreotti abbracciandolo mentre la banda intonava “Biancofiore”, l’inno della Dc.
Il caso Durigon ha però avuto il merito di richiamare l’attenzione su un personaggio minore ma non minimo della storia italiana fra le due guerre: Arnaldo Mussolini, il fratello minore del duce del fascismo, che, dopo i dissensi giovanili (lui repubblicano, Benito socialista: una differenza non indifferente, nella sanguigna Romagna d’inizio secolo), l’accompagnò nella sua carriera politica svolgendo un ruolo non marginale, come amministratore e poi direttore del “Popolo d’Italia”, ma anche come informale ambasciatore presso la Santa Sede negli anni critici dei contrasti fra regime e vaticano per la questione dell’Azione Cattolica.
La scomparsa precoce di Arnaldo, per un infarto, ad appena quarantasei anni, nel 1931, impedisce di esprimere un giudizio compiuto su di lui: che atteggiamento avrebbe tenuto nei confronti delle leggi razziali? O dell’alleanza con Hitler? O della scelta di fondare una repubblica fascista sotto il protettorato tedesco? È vero che egli si definiva “il più destro dei destri” e fu ovviamente fedele al fratello nei mesi difficili seguiti al delitto Matteotti, ma i suoi fervidi sentimenti cattolici, che non gl’impedirono di avere un’amante (ma non si tratta certo di un caso isolato…) l’avrebbero forse indotto a frenare Benito dalla deriva che indusse negli ultimi anni del regime a cancellare l’indicazione dell’era cristiana in molti documenti ufficiali e ufficiosi del regime, compresa la lapide con cui a Firenze, in via Taddea, venne inauguratala casa natale di Carlo Lorenzini, in arte Collodi, “il padre di Pinocchio”.
Nel corso della sua esistenza (e anche dopo) Arnaldo, anche per la sua posizione di eminenza grigia, fu oggetto di molte mormorazioni, che spesso partivano da alcuni gerarchi, primo fra tutti Farinacci, “la suocera del regime”. E molte di queste voci, riguardanti soprattutto gli arricchimenti illeciti, sono state riprese e amplificate nei giorni scorsi, per attaccare Durigon, con il fratello minore del duce utilizzato come sogliono dire gli artiglieri come falso scopo. Si è arrivati persino a rispolverare vecchie accuse mai provate secondo cui l’assassinio di Matteotti sarebbe stato ordinato per coprire uno scandalo petrolifero in cui era implicato il fratello del presidente del Consiglio. Non è da escludere che maneggiando molto denaro nei suoi ruoli amministrativi Arnaldo si sia arricchito: fra i gerarchi non erano molti i puri e Mussolini, personalmente onesto, anzi, più che onesto aristocraticamente sprezzante nei confronti del denaro, tollerava le loro marachelle anche perché questo consentiva di ricattarli politicamente. Ma di provato riguardo ad Arnaldo non c’è quasi nulla, e bisogna considerare che aveva sposato la figlia di un ricco possidente ed era sempre vissuto del suo lavoro, fin da quando faceva il maestro elementare e poi il docente di agraria.
Un libro onesto sull’argomento è stato pubblicato da quella poliedrica figura di giornalista, saggista e politico che è stato Marcello Staglieno. Si intitola Arnaldo e Benito, due fratelli, ed è stato pubblicato nel 2004 dalla Mondadori. Leggerlo, o rileggerlo, può essere un buon disintossicante da troppo gossip. Ma una lettura consigliabile può essere anche quella della Vita di Arnaldo, il volume di ricordi che Benito pubblicò dopo la sua scomparsa e che costituisce una testimonianza di valore non tanto sotto il profilo storico, quanto sotto il profilo letterario, anche e soprattutto nelle pagine iniziali.
Dopo la sua pubblicazione qualcuno scrisse, riferendosi proprio all’incipit del libro: “Queste dieci pagine (è straordinario ma è così) mi ricordano le duecento del più bel romanzo, forse, di Tolstoj, del romanzo che appunto s’intitola Infanzia. Ritrovo, in queste dieci pagine, lo stesso ampio e totale senso della vita vissuta da fanciulli, che è di quel romanzo. Qui, però, tutto agghiacciato, per essere così contenuto, ed essenziale, e dato, pur con pieno svolgimento temporale, quasi nella battuta d’un solo respiro; in uno stile tutto urti di cose che ci fa vedere quella umanissima favola dei due fanciulli, Benito ed Arnaldo, come dentro una sulfurea luce da vigilia di guerra. Per queste dieci pagine, egli va annoverato fra gli scrittori italiani delle ultime generazioni. Mussolini non è più soltanto il Duce, ma anche uno di loro, e tra loro primo, un poeta di cui la storia della letteraria, senza alcun dubbio, terrà conto”.
Quel “qualcuno” si chiamava Elio Vittorini, e scriveva sul “Bargello”, organo della federazione fascista di Firenze. Ma nella sua recensione c’era qualcosa di più del desiderio di giustificare il borderò che gli consentiva di tirare avanti. C’era la capacità di comprendere quello che è e quello che non è poesia. E, spiace dirlo, vi fu poesia anche nel travagliato rapporto fra Benito e Arnaldo.
Bell’articolo. Condivido pienamente. Ebbi un nipote di Arnaldo come Capo Ufficio, tanti anni fa. Gran persona. Tanti ricordi, anche di quando lui, piccolissimo, era sul Garda. Un suo cugino, Claudio, con tanto di cognome M., era un funzionario del PCI, ma non vi fece una gran carriera, soprattutto per via del cognome, mi commentava il primo… Nella famiglia M. c’era un ventaglio di appartenenze a ideologie diverse, o contrastanti, dal primo Novecento in poi…
Mussolini scriveva benissimo. Come riconosceva Montanelli, il Mussolini giornalista del 1919-20 era ai vertici della professione, ed erano tempi pieni di grandi giornalisti…
Nistri fa bene a ricordare come l’antifascismo di oggi sia solo strumentale e non ha riscontro se non nel periodo del terrorismo.
Ma bisogna anche dire che l’antifascismo ha ripreso vigore quando il MSI è stato imprigionato e messo a tacere in quel contenitore truffaldino/traditore che fu AN. Ed oggi l’esistenza di una Fondazione che si chiama Alleanza Nazionale perpetra quel tradimento: dovrebbe chiamarsi Fondazione MSI visto che il suo patrimonio viene dal MSI, non da AN.
Però siamo sinceri: come poteva Fini andare al governo con Berlusconi e mantenere alte le bandiere di Almirante e del MSI?
Il MSI era un partito dell’opposizione, non governativo. Occorreva, se si voleva respirare il profumo del potere governativo, un’operazione simile ad AN, anche se poi Fini andò oltre, rinnegò il passato e poi persino Berlusconi, e la mancanza di personale politico di gran valore fece purtroppo il resto.
Mi dispiace Guidobomo, ma sbagli. Il MSI andò al governo con suoi ministri perché giuridicamente c’era solo il MSI.
L’operazione AN fu un’operazione di tradimento, punto e basta.
Io ero dirigente del MSI quando abbiamo vinto le elezioni. Quando il MSI fece l’ultimo congresso, io ancora c’ero.
Matteoli venne ad Arezzo a novembre 1994 e ci preannunciò la chiusura del MSI, ma AN ancora non esisteva.
Solo a gennaio 1995 io non aderii ad AN: AN nacque come soggetto politico “antifascista” solo allora, in contemporanea con l’ultimo Congresso del MSI.
Questo è quanto è accaduto, giuridicamente e politicamente, con un colpo di mano finanziato non si sa ancora da chi.
La Meloni lo sa benissimo ed infatti ha cancellato AN, vera parentesi di vergogna durata troppo.
Alla Meloni, però, bisogna ogni tanto ricordare la storia del dopoguerra e, visto che mette Almirante nel sito del Secolo, sarebbe bene scrivesse che il Secolo non nasce con il MSI-DN ma semplicemente con il MSI o, meglio, con Franz Turchi.
Sempre per essere corretti onde evitare sovrapposizioni ed ambiguità: ad ogni periodo storico il suo, non serve annacquare o mascherare.
Come quando, vigliaccamente, persino i duri, quando elencano i grandi del Novecento, citano D’Annunzio Gentile Marinetti Evola Pirandello Sironi ecc… e si dimenticano chi era il filo conduttore.
Ognuno libero di difendere l’ortodossia che crede. Ma il MSI-DN nan aveva vinto le elezioni, era un socio minore di Berlusconi lo sdoganatore. Se si volevano conservare tutte le vecchie bandiere bastava dirlo prima e rimaner fuori da una forza dichiaratamente liberale. Tradimento è una parola grossa. Anche Mussolini ‘tradì’ più volte, chi non ‘tradisce’ in politica è un perdente. Chiedere anche a sinistra, tutta una storia di ‘tradimenti’….
Tradimento è quando fu scritto “l’antifascismo fu il momento storicamente essenziale per il ritorno dei valori democratici che il fascismo aveva conculcato”. Se non è tradimento questo…
Questo fu scritto dopo la vittoria elettorale e poco conta che già Berlusconi si era “comprato” i consensi del Msi del 1993.
Berlusconi è stato un personaggio che ha fatto della politica un mercimonio indegno, ma aveva le televisioni ed i giornali.
Che ora si chiuda l’indegna parentesi di Berlusconi, come indegnamente si è chiusa AN, è uno dei pochi fatti positivi da rilevare.
Due pessimi esempi di come la politica possa essere sporca e Berlusconi e Fini ne sono stati gli esemplari protagonisti in negativo fino a Montecarlo ed a Ruby ter… Che tristezza!