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Marcello de Angelis: “Afghanistan paradigma del fallimento dell’Occidente”

L'ex parlamentare e giornalista: "I consigli (ignorati) di Machiavelli, l'incredibile arretramento Usa e la marginalità dell'Europa"

by Michele De Feudis - Giovanni Vasso
24 Agosto 2021
in Esteri, Le interviste
2
Marcello De Angelis
Marcello De Angelis

Marcello de Angelis, già parlamentare, giornalista analista di politica internazionale, dopo venti anni a Kabul sono tornati i talebani. Considerata la velocità della riconquista, se ne erano mai andati sul serio?

“No, certo che no. Ma già si sapeva. La conformazione del territorio afgano è particolare. Nessuno ha mai avuto il controllo dell’Afghanistan se non le tribù, federate e associate occasionalmente. Gli stranieri, tutti, sono sempre stati asserragliati a Kabul e a Herat. E anche a Kabul erano chiusi in un compound dal quale si usciva a proprio rischio”.

Cosa non ha funzionato nella missione occidentale in Afghanistan?

“Era una missione, come tante, finalizzata ad impedire che altri controllassero la regione e le sue risorse. Nessuno ha mai veramente pensato a stabilizzarla o creare le premesse di uno sviluppo”.

E’ possibile tenere distinti in questi 20 anni passati in Afghanistan il ruolo degli Usa, quello della Nato e quello dell’Italia?

“Il comportamento dei contingenti sicuramente sì, come in Libano, Iraq e nei Balcani. I nostri soldati sono maggiormente impiegati nella cooperazione e nella formazione che nella deterrenza. La differenza da altre missioni è che noi non avevamo nessun interesse diretto a starci in Afghanistan. In Libano, nei Balcani ed in altri teatri avevamo un ruolo geopolitico da interpretare. Laggiù proprio nessuno”.

Camp Arena a Herat nella base italiana

Lei è stato da parlamentare in missione in Afghanistan. Che ricordi ha? Che ruolo svolgeva il contingente italiano?

“Era sicuramente il più ordinato e disciplinato. Una cosa che magari dal di fuori non si darebbe per scontato. Forse dipendeva anche dal comando. I soldati Usa sembravano dei cowboy molto aggressivi. Gli altri, penso agli inglesi, avevano un’aspetto molto professionale ma davano l’impressione di essere lì solo di passaggio.

I nostri erano molto impegnati nel tentativo di dialogare con i locali. Ragionavano di politica.

Andammo in delegazione a visitare il re Zahir Shah, temporaneamente rimesso sul trono nella speranza che potesse essere accettato da tutte le tribù Pashtun. Era in un palazzo distrutto e senza luce. Ci accolse in una sala del trono vuota, da solo col suo ciambellano, che era suo cugino. Non voleva parlare inglese ma solo francese e aveva una grande nostalgia del suo soggiorno a Roma.

Noi fummo molto rispettosi, ma il ciambellano ci disse che eravamo gli unici che si erano presi la briga di rendergli omaggio. Il re era consapevole che gli avevano permesso di tornare a Kabul per morirci, non per regnarvi. Era un figurante di una pantomima, come il presidente Hamid Karzai, eletto in Occidente ‘uomo più elegante dell’anno’…”.

Sul Corsera Sabino Cassese si interroga sull’utopia dell’esportazione della democrazia e sul diritto legittimo dei popoli a scegliere il proprio governo. I diritti dei popoli confliggono con l’universalismo occidentalista?

“Non lo diciamo tutti dalla caduta del muro di Berlino? Cioè da quarant’anni… Non è che ci abbia mai ascoltato nessuno. Forse qualcuno si ricorda i miei editoriali su Area, contro i bombardamenti di Baghdad o di Belgrado. E poi contro l’intervento in Libia. Guardiamo in che stato sono tutte  le nazioni e i popoli attaccati col pretesto di regalargli la libertà e la democrazia. Mi sembra che gli unici veramente liberati siano quelli morti sotto le macerie provocate dalle bombe intelligenti…

Militari aiutano bimbi a entrare nell’area dell’aeroporto di Kabul

La destra italiana e in senso più ampio tutta la politica nazionale non dovrebbe sposare la battaglia umanitaria di accogliere i profughi che hanno collaborato con il contingente italiano e ora sono in fuga da Kabul? Non sono migranti economici, ma “amici dell’Italia” la cui vita è in pericolo.

“Non è questione di destra e sinistra. Quelli che si sono esposti lavorando con noi ora vengono considerati “collaborazionisti” e rischiano di fare la fine che fanno ovunque gli sconfitti alla fine di ogni guerra civile. Lasciare loro e i loro familiari in balia dei giustizieri è un comportamento indegno. E un pessimo segnale per il futuro”.

Cosa non la convince nel comportamento del presidente Usa Biden? Trionfa alla Casa Bianca l’isolazionismo a stelle e strisce o a Doha sono stati siglati accordi tali che il ritiro verrà ripagato con un impiego anti-sciita dei talebani, funzionale alle strategie americane?

“Non me la sento di ascrivere a Biden nessuna responsabilità nelle scelte correnti. Non credo assolutamente che sia lui a governare gli Usa. Non voglio fare il complottista ovviamente, ma non vedere determinate cose ormai è da veri ingenui”.

Il fermo immagine preso da Al Jazeera mostra i talebani all’interno del palazzo presidenziale a Kabul, 16 agosto 2021

Cosa rappresenterà l’Afghanistan nel great game con Cina e Russia pronte al dialogo e l’Ue latitante?

“Dove gli Usa arretrano, per disinteresse o per un cambiamento di priorità, arrivano i cinesi, i turchi, gli indiani, i russi e chiunque altro abbia una politica di affermazione del proprio interesse nazionale e i fondi per farlo valere. L’Ue non ha una politica estera o economica comune, né una strategia di potenza continentale, quindi lontano dai propri confini non si può arrischiare. Le nazioni della Ue giocano l’una contro l’altra e si condannano alla marginalità”.

Una lezione per l’Italia?  

“Machiavelli consigliava di fare alleanze solo con chi ha forza pari o inferiore. I grandi ti si mangiano oppure ti usano e ti gettano, a secondo della convenienza. Dovremmo essere consci del nostro vero livello e non farci trascinare in situazioni dove abbiamo tutto da perdere e nulla da guadagnare”.

L’irredentismo del popolo afgano è un fattore incomprensibile per le élite occidentali. Cosa rende così ribelli le tribù che compongono l’arcipelago del paese con capitale Kabul?

“Non so se il termine “irredentismo” si possa applicare a un contesto ancora tribale. Non credo che gli afghani abbiano una sviluppata coscienza nazionale, che forse a Kabul è esistita solo presso una limitata élite aristocratica negli anni Trenta del Novecento.

Temo che, dando voce alle poche donne e ragazze afghane evolute che ora temono per la propria libertà di realizzarsi, si dimentichi che i più di trenta milioni di persone sparse in un territorio che definirei lunare e che non hanno nemmeno l’acqua nei villaggi, sono più che altro alla ricerca di risposte che gli permettano di svoltare la giornata che vivere il sogno occidentale.

Rispetto ai tempi di Alessandro Magno l’unico progresso che hanno conosciuto è quello che gli ha fornito telefoni cellulari e armi automatiche.

Non hanno e non avranno mai l’opportunità di godere delle risorse che calpestano ogni giorno e che potrebbero farli vivere tutti un po’ meglio.

Credo che questa consapevolezza tenda a generare un certo diffuso risentimento per chiunque venga da fuori a dirti come devi vivere ma non ti fa partecipare della prospettiva di una vita migliore”.

Michele De Feudis - Giovanni Vasso

Michele De Feudis - Giovanni Vasso

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Tags: AfghanistanBarbadillode angelisgiovanni vassomichele de feudisusa

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Comments 2

  1. Guidobono says:
    12 mesi ago

    Totalmente d’accordo. Non condivido la tesi del ‘Secolo d’Italia’ che le armi divevano essere lasciate dagli americani a Massoud e non ai talebani. Dio ce ne scampi dei tagiki di Massoud! I talebani sono rozzi ed arretrati, ma non esportano terrorismo e non creano nuovi conflitti. Lasciamoli in pace con la loro sharia…

  2. Guidobono says:
    12 mesi ago

    L’Europa conterebbe se avesse poderose forze armate, non se aderisace ai dogmi liberal LGBTQ, cambio climatico, auto elettrica, politically correct in mille salse… I partite, le elezioni, la stessa democrazia non dovrebbero essere finalità, come ora, ma solo strumenti…

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