
Quando toccò a Pietro, ebbe un attimo di esitazione. Una lunga fila di persone attraversava l’intera sala e vi fuoriusciva. E l’aspetto burbero dell’impiegato allo sportello non invogliava certo alle confidenze. «Ecco…».
«Si spicci», lo interruppe con tono altero l’impiegato che con la coda dell’occhio aveva misurato la fila di persone in attesa.
«Sì, certo… il fatto è che per andare a teatro, al bar o al ristorante devo mostrare il pass verde che attesti di essere in regola coi vaccini… per frequentare un partito politico devo possedere il pass rosso giallo che attesti di non essere un sovversivo… per fare sport devo avere il pass azzurro o rosa o arcobaleno secondo la mia identità sess…».
«Non sto qui per ascoltare queste cose», lo interruppe sempre più irritato l’impiegato. «Mi risparmi l’enumerazione dei suoi certificati». «Va bene«, disse con un filo di voce Pietro.
«Insomma, dica che diavolo vuole?», sbottò l’impiegato con malagrazia.
A Pietro in quel momento, senza sapere perché,sovvennero le parole di una canzone che ascoltava tanti anni prima, quando era un fanciullo e si sentiva libero. Forse allora non ne afferrava pienamente il senso: «Povera patria Schiacciata dagli abusi del potere Di gente infame, che non sa cos′è il pudore Si credono potenti e gli va bene quello che fanno E tutto gli appartiene…».
«Va bene», riprese Pietro facendosi coraggio. «Tra tanti certificati ho smarrito chi sono… Vorrei un certificato di esistenza in vita».
«Si accomodi nella stanza accanto, il mio collega le prenderà le misure», disse senza battere ciglio l’impiegato. «Avanti il prossimo!».