
Per molti anni il missino Mirko Tremaglia è stato l’unico politico italiano che andava a Marcinelle alla cerimonia in ricordo di quel tremendo 8 agosto 1956, quando 136 minatori italiani morirono asfissiati. Una vicenda che restò per decenni assai defilata nella memoria della classe dirigente italiana. Ma fu Tremaglia a riportarla alla luce: lui era un sentimentale, che nella coerenza con i suoi ideali – quelli di un fascismo sociale e l’aiuto ai migranti italiani più emarginati – visse un’esistenza ricca di episodi memorabili, sui quali altri avrebbero edificato monumenti mediatici.
E invece pochissimi li conoscevano tutti. Un giorni d’estate, esausto dopo l’ennesima battaglia, raccontò al cronista il suo incredibile incontro con Federico Fellini: il vecchio Mirko lo raccontava senza pathos, come una delle tante cose originali che gli erano capitate nella vita. Era accaduto una quarantina di anni fa, anni nei quali i missini – dirigenti e militanti – vivevano una sorta di apartheid in patria, tenuti fisicamente e moralmente a distanza. Un’attitudine che non poteva riguardare un uomo curioso come Fellini. Tanto è vero che alla fine di una chiacchierata con Tremaglia, il più celebrato regista italiano se ne era uscito con una proposta spiazzante: «Lo sa che, prendendo spunto da alcuni episodi della sua vita, potremmo fare un film?». Difficile immaginare come si fosse dipanato nei dettagli il dialogo tra personalità così diverse. Vita avventurosa, quella di Tremaglia, ma soprattutto segnata da un sentimentalismo sanguigno e anacronistico, che seppe superare confini e ideologie.
Nel 1963 Tremaglia era partito per l’Eritrea, alla ricerca del luogo nel quale era sepolto il padre. E qui si consumò un altro di quei momenti commoventi di cui sarà piena la sua vita: «In quel Paese, non conoscevo nessuno, ma finalmente trovai la tomba di mio padre, restando sbalordito: sopra c’erano dei fiori freschi, messi dagli italiani che erano restati lì». E’ in quel momento che Tremaglia decide di trasformare la propria vita in una missione: valorizzare l’epopea dei tantissimi italiani emigrati, costretti a lasciare la propria casa, per trovare pane e lavoro in una terra lontana. Tremaglia, pur ammirando intimamente il fascismo, aveva fatto proprio il motto «Non rinnegare, non restaurare». Per questo motivo non si ricordano espressioni esteriori del suo credo come i saluti romani. E come tutti i missini nostalgici, Tremaglia aveva orrore per i traditori, per tutte le possibili reincarnazioni del “badoglismo”.
Se di Marcinelle si tornò a parlare – Ciampi ebbe un ruolo decisivo – molto si deve a Tremaglia, un personaggio al quale si deve grande rispetto anche da parte di chi ha combattuto le sue idee. (dalla pagina Fb del giornalista Fabio Martini)
Lo conobbi. Un brav’uomo, ma politicamente era fuori del tempo. La legge sul voto degli italiani all’estero finì in una fonte d’illeciti e di assurdi…
Ricordo quando Mirko si recò al seguito della delegazione Italiana a Mosca,guidata Dall’onorevole Piccoli,quando Piccoli disse di fronte alle autorità Russe…Sono orgoglioso di aver perso la guerra!!! E Mirko dovette essere trattenuto con forza..
Per quanto riguarda il voto agli Italiani all’estero è stata un’ingenuità ingiustificabile..