Un po’ Domenico Modugno senza frac ma con lo zaino, un po’ Franzen con le Correzioni da fare alla squadra, un po’ Chandler senza tinte fosche, un po’ Scopigno più alto e con la barba ma stessa dimestichezza con il quotidiano, e un po’ anche Uomo Tigre che cammina solitario nella notte. Jürgen Klopp che se ne torna – triste y final – a casa, dopo la sconfitta di Champions del suo Borussia contro la Juventus. Dopo aver salutato la Coppa, la sua squadra e dei tifosi italiani. È un kamikaze lanciato contro l’altro calcio. Il suo è puro artigianato, è comincia fuori dal campo. Non lo sa ma prima di essere una allenatore tedesco e moderno, è un allenatore carducciano: per come pensa e si muove, e per quello che lascia dietro di sé. Oltre Carducci – che allenò senza poter raggiungere la Champions che allora era Coppa dei Campioni –, ricorda Guccini perché gioca l’etica con un calcio estetico. Vive e allena con la difesa abbassata, senza distanza dalla vita. Non perde tempo, non si astrae, non macina l’assurdo, ha lavorato su un giro di accordi conosciuti costruendo l’evoluzione calcistica delle strofe di Dylan. Edmondo Berselli direbbe che siamo di fronte a una “contraddizione insoluta”, trattandosi di un allenatore di grande taglio, e dopo avergli dato ragione, però, gli mostreremmo la foto di Massimiliano Nerozzi. Klopp, spalle alla macchina fotografia, cartacce che volano intorno, stadio di lato: se ne torna a casa; manca solo la Dietrich che triste canta in sottofondo “Lili Marleene”, oppure Guccini con la strada di Dortmund – al posto delle stoviglie – color nostalgia. Niente di eroico, piuttosto una scelta di normalità. Proprio come mettere sulla copertina di un disco il proprio indirizzo. È l’età adulta del calcio, quello senza ossessioni né macerie davanti a una eliminazione. È una camminata che sottolinea il concetto, il risultato di una cultura che fa a meno del divismo, complice un ambiente dove lo sport è valore, prima di tutto. È sempre difficile tornare a casa dopo una sconfitta, riflettere sull’ordine non spontaneo che ha preso il tuo centrocampo, contare le volte che Tevez ha tirato in porta senza che nessuno riuscisse a contrastarlo, farsi autorità rispetto alle discese non viste persino di Lichtsteiner, ai numerosi passaggi centrali che hanno scavalcato la tua difesa, alla semplice mancanza di occasioni per i tuoi attaccanti, concludendo con l’unico rimando bibliografico possibile: essere orfani di Lewandowski non è facile per nessuno.