Glasgow è tornata a fremere. Erano tre lunghi anni che bolliva in pentola il 400° Old Firm – ovvero la vecchia ditta – la stracittadina della capitale calcistica scozzese nonché una delle sfide più antiche e sentite di tutto il pianeta, da quando cioè il crack finanziario che ha colpito i Rangers li ha fatti ripartire dalla quarta divisione, mentre i verdi nel frattempo facevano man bassa di titoli di Scozia.
E ritorna proprio nello stesso fine settimana di un altro derby tra i più famosi del mondo, il Superclásico di Buenos Aires tra Boca Juniors e River Plate (vinto dal Boca con un roboante 5-0), con cui spesso viene messa a confronto la partita di Glasgow per l’intensità e la carica emotiva che si porta con sé.
Il sorteggio della Scottish League Cup li ha rimessi di fronte a giocarsi la finale di coppa di Lega contro il Dundee United, uscito vittorioso nella semifinale della New Firm, la nuova ditta, contro l’Aberdeen (la sfida tra le due squadre venne rinominata in questo modo perché negli anni ‘80 osarono interrompere per qualche stagione la storica diarchia delle squadre di Glasgow nel campionato scozzese). Se l’è aggiudicata il Celtic per 2-0 con gol di Griffiths e Commons nella prima mezz’ora della gara, quest’ultima edizione di una partita unica al mondo, una battaglia vera e propria tra due popoli costretti a convivere forzatamente, che si traduce sul campo di gioco.
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Una dicotomia ostinata, inguaribile. Fenians contro Huns. Tim Contro Billy. Bhoys e Hoops contro Gers. Green Brigade contro Union Bears. Repubblicani e indipendentisti contro conservatori, unionisti e lealisti. Irlandesi contro britannici. Popolari contro borghesi. Cattolici contro Protestanti. Celtic Park contro Ibrox. Non ci sono alternative a Glasgow, o sei verde o sei blu. Un derby senza eguali, una rivalità storica in cui l’aspetto calcistico, paradossalmente, è solo l’ultima parte del tutto. Non si può scegliere quale tifare,è quasi una questione di nascita, di appartenenza alla propria comunità, ai propri antenati, alla propria storia. Due mondi differenti in riva al gelido fiume Clyde, che si sfidano ogni volta per affermare la propria superiorità nei confronti del nemico di sempre.
Una rivalità che ha cominciato a sublimarsi sui campi di calcio il lontano 26 Maggio del 1888, data del primo Old Firm (o Auld Firm), quando il neonato Celtic, fondato l’anno prima per rappresentare la comunità cattolica della città, battè 5-2 i più esperti “cugini” (ma non diteglielo troppo) fondati nel 1872. Da allora è diventata la sfida più giocata di sempre, ed ha visto trionfare i Rangers ben 159 volte, 145 volte i Bhoys (compresa quella odierna) e 96 volte si è conclusa senza un vincitore. L’ultima volta che le due compagini si sono affrontate è stato nell’aprile del 2012 quando il Celtic ha battuto 3-0 gli odiati Huns, ha festeggiato il titolo e goduto della bancarotta della squadra di Ibrox. Una vittoria totale, festeggiata cantando “Ice cream and Jelly when Rangers die”, mutuando i cori contro la Thatcher.
Da allora sono passati tre lunghissimi anni, in cui i biancoverdi hanno spadroneggiato indisturbati, vinto titoli, viaggiato in Europa e battuto anche il Barcellona, mentre i Rangers pian piano hanno risalito la china passando dalla quarta serie alla serie B con l’obiettivo di ritornare quanto prima a duellare contro gli odiati Fenians per la supremazia sulla città e sul calcio di Scozia. L’opportunità gli è stata data prima di tornare nella massima serie dal sorteggio della coppa nazionale Per l’occasione, la quattrocentesima, la sfida non si è disputata né ad Ibrox Park, la casa dei Gers, né al Celtic Park, ma in campo neutro nel mitico e secolare Hampden Park, lo stadio cittadino che ospita le gare della nazionale scozzese, del piccolo Queen’s Park e le finali di coppa. Una metà colorata di bianco verde e dalle bandiere d’Irlanda a cantare alla propria squadra “You’ll never walk alone” e “The fields of Athenry”, l’altra metà colorata di blu, bianco e rosso a cantare la loro “Penny arcade” e “Follow follow” sventolando la Union Jack.
La partita, casualmente, arriva due giorni dopo il 43° anniversario del Bloody Sunday di Derry, che si perpetua ancor oggi nei canti dei tifosi del Celtic e che i Rangers sottolineano con cori irriverenti e al limite del buon gusto (celebri i loro canti contro Bobby Sands, per esempio, in risposta agli hoops inneggianti le gesta dell’Ira nell’isola verde), e per la prima volta dopo il referendum sull’indipendenza della Scozia nello scorso settembre.
Sul campo di Hampden, finito sotto accusa per il suo pessimo stato e probabilmente incapace di ospitare le due semifinali in 24 ore, non c’è stata molta storia. I Rangers hanno creato ben poche occasioni, sebbene sapessero di dover gettare il cuore oltre l’ostacolo vista la differenza di categoria e tasso tecnico, mentre gli Hoops sono passati in vantaggio dopo soli 10 minuti con Griffiths, e alla mezz’ora hanno trovato il gol del k.o. con Commons. Molto poco comunque, se si considera l’importanza della gara e la differenza di categoria.
Sugli spalti la sfida sonora ha rivissuto il classico repertorio, con i canti contro il Papa, contro i Fenians, la fine della carestia e l’invito a ritornare a casa (“The famine is over, why don’t you go home?”) da parte dei blu, e il fallimento, la fine della storia dei rivali e i restanti classici insulti e sfottò da parte degli Hoops. Il derby di Glasgow è tornato in tutta la sua irruenza, le esasperate posizioni delle due tifoserie, ed è stato come se non fosse mai scomparso.