Solo le bandiere diventano leggende. Quelle che finiscono negli annali, ma che non finiranno mai nel cuore dei tifosi. Chi ha origliato da lontano la voce del campo, al 25′ del primo tempo di Manchester City-Roma, ha sentito che il prato dell’Etihad parlava italiano. “Un capitano, c’è solo un capitano”, gridavano i circa duemila romanisti che hanno seguito oltremanica la lupa per azzannare il sogno di una vittoria nella tana dei campioni in carica della Premier.
Se ci si volesse fermare alle statistiche, basterebbe liquidare in due righe la faccenda: con il gol di ieri sera, il primo segnato su un campo inglese in vent’anni di carriera, Francesco Totti è diventato il calciatore più anziano ad aver segnato in Champions League. Ha battuto il record di un monumento, quel Ryan Giggs bandiera dell’altra metà di Manchester, quella che tiene per lo United. Il gallese aveva segnato nella fase a gironi della coppa con le orecchie edizione 2011-2012, a Benfica, a 37 anni e 289 giorni.
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E se gli amanti della superstizione possono sbizzarrirsi a sbeffeggiare l’account Twitter ufficiale della squadra degli emiri per quel cinguettio che sa di tafazzismo (“Totti non ha mai segnato in Inghilterra”, aveva scritto qualche incauto), non si può minimizzare il mezzo cucchiaio del pupone, relegandolo nella cronaca per quel record di calciatore più agée ad aver segnato in Champions. Quando il portiere dei Citizens, il solitamente solido Hart, ha tentato di uscire andando incontro al numero dieci giallorosso, qualche dio misericordioso l’ha fatto scivolare sull’erba dell’Etihad, permettendo al gladiatore di conquistarsi un’altra mostrina da mostrare nei Campi elisi del calcio mondiale.
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Una religiosa consapevolezza, come quella che lega Totti alla Roma e legava Giggs allo United. Sempre la stessa maglia, sempre la stessa fede. E sembra un segno chiaro il fatto che a contendersi quel particolare record siano stati – almeno fin qui – due tizi così legati ai colori che indossano. “Non pensavo al record – ha detto Totti a fine gara -, ho sempre pensato di più alla squadra che a me stesso, è questa la mia forza”. Sarà romanticismo da gradinata, o forse un destino che per una volta non si è mostrato né cinico né baro. O forse, per entrare nella leggenda, bisogna essere bandiere di un calcio che sa ancora raccontare miti che nessun emiro può comprare.