“Ogni leggenda ha il suo inizio” è la tagline di Jersey Boys (2014), pellicola biografica firmata da Clint Eastwood, dedicata Frankie Valli e ai Four Seasons. E leggenda quel gruppo vocale di italo americani lo fu davvero: “Walk like a man” è entrato nel DNA della cultura pop americana anche molto tempo dopo gli Anni Cinquanta, immortalando addirittura la scena finale del capolavoro di Martin Scorsese “Sleepers”.
Da poco nelle sale, “Jersey Boys” ci riporta indietro di oltre mezzo secolo, tra brillantina immigrati che sognano il successo e doo wop, un genere vocale che pochi magari conoscono, ma che certamente tutti hanno più o meno consapevolmente ascoltato almeno una volta nella vita.
Di Valli e del doo wop ne parliamo con Andrea Maccarone, speaker ed opinionista radiofonico, voce del Summer Jamboree di Senigallia dai microfoni di Radio Arancia Network.
Il doo wop in due parole…
“Romanticismo e Ritmo. Il doo wop ha saputo unire in maniera equilibrata e sensata il ritmo dei vocalizzi e della ritmica onomatopeica tipica dei gruppi vocali, a temi semplici e quotidiani come la rima “cuore-amore”. Il doo wop è un genere romantico caro ai giovani degli anni ’50, che si contrapponeva al melodico dello stesso periodo, forse più amato dai genitori di quella generazione. In pratica restava intatto l’approccio romantico alla scrittura dei testi, ma il ritmo, talvolta irresistibile, di molti brani doo wop, rifletteva al meglio la nevessità di un suono nuovo, che nasceva proprio nella prima metà degli anni ’50”.
Da Dion & The Belmonts a Bobby Darin: si può parlare di doo wop made in Italy?
“Assolutamente sì. Nel Bronx, quartiere povero di NY, dove tra gli anni ’30 e ’40 emigrarono molte famiglie del sud Italia, è nato un genere di musica vocale eseguito proprio da italiani che spesso provavano i loro brani negli androni dei palazzoni del Bronx. L’eco che si creava in questi enormi spazi vuoti, dava la giusta cassa di risonanza per i virtuosismi onomatopeici dei nostri. La differenza che c’era, però, tra il doo wop bianco di matrice italica, e quello nero dalle radici gospel, era proprio nelle origini. Il doo wop “bianco” aveva un ritmo più lineare e meno sincopato. Le voci dei controcori erano tappeti sonori su cui troneggiava la linea vocale del solista. Un impasto dolce e leggero. Mentre il doo wop “nero” faceva emergere in maniera molto chiara le origini del black-sound, che rimandava al gospel, al blues, al boogie. Non per niente dal doo wop nero è nato, poi, il soul e il rhythm’n’blues degli anni ’60. Mentre da tutti e due sono nati i Beach Boys. Ma questa è tutta un’altra storia”.
Chi era Frankie Valli e cosa ha rappresentato nel panorama musicale americano dei 50s?
“Frankie Valli, leader dei Four Seasons, è stato, appunto, un esponente della musica bianca americana con il cuore italiano. Francis Stephen Castelluccio, questo il suo vero nome, aveva chiare origini italiane. La sua musica ha rappresentato la parte più commerciale e celebre del doo wop. Anche se, in fondo, non possiamo parlare di puro doo wop per quanto riguarda l’intera produzione dei Four Seasons. Ma sicuramente il dna è stato quello del tipico gruppo vocale. In sostanza ha rappresentato la svolta cruciale che ha portato questo genere ad elevarsi fino a diventare musica popolare, dunque Pop nell’accezione più comune. Frankie Valli ha imperato per lungo tempo nelle classifiche dei dischi più venduti e più trasmessi dalle radio nazionali americane. Quindi non è un errore affermare che Frankie Valli & The Four Seasons sono stati una manna dal cielo per il doo wop e per i gruppi vocali. Perchè dopo di loro si è aperta una strada al successo per molti altri artisti di questo genere”.
“Walk like a man” , successo di Valli, è noto per l’uso del falsetto. Perché questa tecnica è così importante per la musica?
“Il falsetto fa parte della struttura della musica vocale, dove coesistono i baritoni, i bassi e tutte le sfumature e le tonalità del canto vocale. Tornando a menzionare i Beach Boys, Al Jardine, chitarra e voce “in falsetto” del gruppo, ne ha fatto un marchio di fabbrica della loro produzione. Allo stesso modo Frankie Valli, anche e sicuramente perchè il colore della sua voce, particolarmente chiaro, gli ha dato fin da subito la possibilità di utilizzare gli alti in falsetto. Il doo wop giocava con le voci come fossero strumenti. E se una chitarra, salendo nella scala pentatonica può arrivare a note acute e stridule, così anche una voce può farlo. Diciamo che Valli ne è una chiara dimostrazione”.
Quando il doo wop raggiunge il suo apice e quando invece tramonta?
“Nel 1958 il doo wop aveva raggiunto il culmine del successo. Gruppi come Dionne & The Belmonts, The Platters, The Penguins, e molti altri, raggiunsero il picco massimo di notorietà proprio nella seconda metà degli anni ’50. Il doo wop era a tutti gli effetti diventato il genere musicale che metteva d’accordo un po’ tutti. Con l’arrivo degli anni ’60 tutto cambiò. Si dice che i Beach Boys spazzarono via il rock’n’roll. Personalmente non sono d’accordo. Era semplicemente arrivata un’altra era. Gli anni ’60 furono intrisi di forti stravolgimenti. Ma sicuramente dal 1961 in poi il doo wop cambiò pelle. Per quanto riguarda la scena black, molti solisti dei gruppi vocali anni ’50 intrapresero delle fortunate carriere come cantanti soul. Mentre per il doo wop cosiddetto “bianco” ci fu una più o meno fortunata diaspora. Molti finirono per continuare a cantare i vecchi successi, quasi come fossero congelati nel decennio precedente. Alcuni li troviamo in attività ancora oggi. Ma resta lampante l’attitudine Amarcord di questa ostinata resistenza allo scorrere del tempo”.
Oggi c’è ancora spazio per questo genere? Esistono nuovi gruppi che propongono un revival melodico?
“Il genere vocale non è mai morto. Il canto Accappella, sebbene in rarissimi casi, esiste e resiste anche oggi. Ma non è un genere in voga e non riesce a piazzarsi nelle classifiche. Almeno nel 2014. Negli States si tende a confondere oggi una forma moderna di doo wop con l’RnB, genere più vicino all’hip-hop. Però ci sono critici che si ostinano a voler cercare una forma di neo-doo wop anche dove non c’è. A mio modesto parere il doo wop è quello di cui abbiamo parlato poco fa. Il resto sono citazioni, tentativi e operazioni nostalgia. L’unico canto vocale che è rimasto intatto dagli inizi del secolo scorso ad oggi è il Gospel. Se il Gospel può essere considerato il doo wop degli anni 2000, allora sono d’accordo”.