Lo Zar va alla conquista dei magiari. Roba da far invidia persino a Putin: Pietro Vierchowod si lancia in una nuova avventura in terra d’Ungheria. Allenerà L’Honved, mitica squadra della capitale la cui maglia è stata indossata negli anni Cinquanta dal gioiello Puskàs e dall’ossatura di quella nazionale ungherese che sfiorò la vittoria ai Mondiali del 1954 e che resta, a sessant’anni di distanza, una delle formazioni che ha scritto la storia di questo sport.
L’ex difensore della Samp dello scudetto ha firmato un contratto annuale con i rossoneri d’Ungheria. Subentra a un altro ex blucerchiato, quel Marco Rossi che vestì la casacca doriana tra il ’93 e il ’95. E mica finisce qui: il cielo sopra Budapest è rigorosamente sempre più (cerchiato di) blu. Nell’Honved, infatti, gioca Andrea Mancini, uno dei figli di Roberto, il “Mancio” bandiera della Samp scudettata e oggi tra gli allenatori più quotati (e ricercati, dopo il recente addio al Galatasaray) del mondo, tentato dalle sirene azzurre che vorrebbero far ritornare in patria il talentuoso Ulisse per farlo sedere sulla (scomoda) panchina lasciata libera da Prandelli.
“Mi ero stufato di stare a guardare gli altri allenare” ha dichiarato sornione lo Zar, pronto a rilanciare l’Honved verso nuovi traguardi. Ci proverà insieme a uno staff molto italiano: al suo fianco avrà il secondo Dario Didonato e il preparatore atletico Luca Guerra. Ma anche il direttore generale Andrea Cordella, autentico giramondo del calcio e architetto, con la collaborazione di Mancini, dell’arrivo di Vierchowod in terra magiara. Roccioso ed elegante, l’ex difensore blucerchiato ha fatto una scelta di cuore. Il presidente del club, l’americano George F. Hemingway, ha comprato la società sull’orlo del fallimento perché, parole sue, non voleva che scomparisse la squadra di cui era tifoso il nonno. Va bene la poesia ma c’è anche da far quadrare i conti: e il presidente a stelle e strisce ha imposto un tetto salariale particolarmente spartano: tremila euro al mese per tutti, giocatori e allenatore compresi.
Un americano che tiene per una formazione ungherese? Facile capire il perché. E’ una squadra particolare, quella che indossa la casacca rossonera all’ombra della capitale ungherese. Basti pensare a quanto accaduto cinquantotto anni fa: L’Honved campione in carica si qualificò per la seconda edizione della Coppa dei Campioni. Al primo turno beccò l’Athletic Bilbao: all’andata, in Spagna, finì 3-2 per i baschi. Il ritorno non si giocò in Ungheria perché mentre l’Honved era a Bilbao era scoppiata la Rivoluzione ungherese e, vista l’invasione sovietica, i giocatori si rifiutarono di tornare in patria. Si giocò all’Heysel di Bruxelles, per la cronaca l’Honved pareggiò 3-3 e uscì dalla competizione. In campo c’era Puskàs, che poi si trasferì al Real Madrid, in panchina una leggenda come Bela Guttmann, quello della maledizione lanciata al Benfica.
E pensare che il padre di padre di Vierchowod, Ivan Lukjanovič, era un soldato dell’Armata Rossa che, fatto prigioniero durante la seconda guerra mondiale, decise di non ritornare in patria e si stabilì in provincia di Bergamo. Altre storie, altri tempi. Oggi lo scettro dell’Honved passa nella mani dello Zar Pietro, uno così tosto che Suarez si sarebbe rotto i denti a morderlo. Veloce, duro come il marmo, eccezionale negli anticipi e nel gioco aereo. Un difensore (e un uomo) che resiste, per passione e divertimento, in un calcio in cui tremila euro sono la paghetta che alcuni calciatori darebbero al primogenito per uscire al sabato sera. Una roccia in un mondo d’argilla.