La recente crisi in Crimea ha portato alla ribalta la realtà, per decenni ignorata, degli italiani, emigrati in quella regione dai primi anni del XIX secolo e poi costretti a subire la persecuzione comunista e l’isolamento. Di quel mondo, negato dalle istituzioni italiane, sono orgogliosi paladini Giulia Giacchetti Boico, oggi animatrice dell’associazione Cerkio, nata con l’ obiettivo di mantenere vive le radici italiane, insegnare la lingua, tramandare una storia che altrimenti sarebbe già andata persa, e Giulio Vignoli, docente di diritto internazionale dell’Università di Genova.
Dal loro sodalizio culturale è nato il libro denuncia L’olocausto sconosciuto. Lo sterminio degli Italiani di Crimea (edito da Settimo Sigillo nel 2008) che, proprio alla luce dei recenti avvenimenti, assume un valore tutto particolare per l’impegno documentario e per la drammaticità della denuncia. Al centro ancora una storia “negata” (una delle tante del ‘900 proibito), protagonista la comunità italiana presente in Crimea, la quale dal 1830 alla fine del Secolo XIX venne interessata da un flusso migratorio soprattutto di origine pugliese.
Con l’avvento del comunismo il destino di questa Comunità, alcune migliaia di persone, divenne problematico per poi precipitare verso un tragico destino. Il libro-denuncia di Boico e Vignoli rievoca, in particolare, la vicenda ignota ed ignorata di quella vera e propria minoranza nazionale della Crimea, costituita da italiani, per origini, lingua e tradizioni, costretta dalle persecuzioni staliniane alla deportazione, nel 1942, in Kazakistan, alla fame, agli stenti e alla morte, nel lungo viaggio sui vagoni piombati.
In questo contesto la complicità dei comunisti italiani, veri e propri agenti al servizio dei sovietici, conferma responsabilità già provate altrove, con l’aggravante che qui le vittime erano dei civili inermi, persone semplici, che chiedevano solo di lavorare e di vivere in pace. Storie normali, dunque, quelle degli italiani di Crimea, eppure significative, per chi abbia a cuore l’Uomo, come emerge dalle numerose testimonianze dirette, che danno una sorta di fisicità alla ricerca, in un intreccio appassionato e non accademico, che porta alla memoria l’ “Arcipelago” di Aleksandr Solzenicyn e che, a 70 anni da quelle stragi, invita comunque a non dimenticare, sconfiggendo l’indifferenza non solo delle autorità ucraine, ma anche di quelle italiane.
È una storia che fa ancora male La tragedia sconosciuta degli italiani in Crimea, magari travolta da storie ancora più grandi e drammatiche, perché segnata “dalle lacrime e dal sangue dei deportati”. Al fondo – come scrive Giulia Giacchetti Boico – c’è una domanda profonda di giustizia, che si concretizza nella richiesta dello status giuridico dei deportati, per “stabilire la Verità e la Giustizia, eternare la memoria delle vittime”, per “concedere almeno ai nostri ancora vivi anziani superstiti dalla strage tutte le facilitazioni e tutti i diritti come alle altre minoranze”; per “dare a tutti gli ex-deportai e ai loro discendenti desiderosi la possibilità di ricevere in modo preferenziale la cittadinanza per ritornare”.
Una questione aperta, dunque, come purtroppo tante ve ne sono negli anfratti della storia d’Europa, a cui occorre dare risposte all’altezza della drammaticità di quelle vicende, lasciando finalmente da parte gli opportunismi politici ed imparando a guardare al cuore di quelle vicende, solo in apparenza così lontane da noi.