“Nonostante la mia passione politica, io non apparterrò mai a un regime”. (Da Diario 1939-1945). Drieu La Rochelle (3 gennaio 1983, 15 marzo 1945)
L’esordio letterario di Pierre Drieu La Rochelle è rappresentato da due volumetti di poesie: Interrogation, pubblicato nel 1917, che raccoglie alcune poesie scritte nel 1916 durante la convalescenza per le ferite riportate sul fronte di guerra; e Fond de Cantine, pubblicato nel 1920. In esse sono già presenti alcuni dei temi che segneranno il suo percorso intellettuale e politico. Già nei primi versi di Interrogation compare il binomio « e il sogno e l’azione » che costituisce, a buon diritto, la sua cifra esistenziale. Stilisticamente, risentono del clima d’avanguardia allora dominante, in particolare del futurismo e dadaismo, e guardano al verso lungo di Walt Whitman. Drieu non fu, per la verità, un eccellente poeta, poiché, come egli stesso riconosce in una pagina del suo diario, il suo verso manca di musicalità.
Ci sono, però, magnifiche eccezioni, come questa che riportiamo, dedicata al tennis, che fu il suo sport prediletto.
TENNIS
Chiarezze nude
E bianche in volo
Linee
Ecco il gioco, la vita, la fine.
Oh nobile allegria!
L’uomo è confinato nel semplice esercizio.
Una gioiosa saggezza giovanile rinchiude i giocatori tra le reti.
Ecco il luogo, finalmente, dove lo spirito regna da solo.
Una figura sotto il piede ordina la danza.
La linea lega lo slancio,
dai brevi salti nasce un ritmo.
Modestia del corpo atletico che si accontenta della sua perfezione.
Anche tu potresti limitare la tua esigenza umana e riempire con un muscolo la forma.
La curva secca di una vergine orna l’angolo imposto allo spazio.
Un punto nel suo corpo congiunge le linee.
(da Fond de cantine, traduzione a cura di Milo De Angelis pubbicata su “POESIA” n. 62, maggio 1983)
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Con amarezza e lucidità, profeticamente, nel suo primo saggio politico risalente al 1922, Misura della Francia, Drieu fece una diagnosi e una profezia della condizione dell’uomo d’oggi, che può considerarsi esemplare ed attuale:
“Oggi ci sono i moderni, cioè gente che vive o di profitti o di salari, che pensa solo a ciò e che discute solo di questo argomento… Tutti passeggiano soddisfatti nell’incredibile inferno, nell’enorme illusione, nell’universo di spazzatura che è il mondo moderno e in cui molto presto non penetrerà nemmeno più un raggio di luce spirituale… Ormai non c’è che un solo problema fondamentale. L’uomo che riflette e che è capace di superare le distinzioni ormai prive di consistenza coglie un solo pericolo, immenso [costituito dalla] decadenza dell’uomo. Dietro tutte le piccole questioni politiche e sociali, che a poco a poco perdono ogni senso, sta sorgendo una grande domanda che investe le basi di tutto il mondo, dei nostri costumi, della nostra cultura e della nostra civiltà… uno strano delirio acceca gli uomini. Con la scusa di un benessere, a cui oggi in verità non si pensa nemmeno più, lo sforzo economico si è esasperato e pervertito. Si produce per produrre, si fabbrica per fabbricare senza tener conto né dei fini né degli strumenti: ma che cosa vogliamo ottenere?“.
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Il pensiero politico di Drieu fu, come scrive lo studioso italiano Moreno Marchi, “di notevole spessore esegetico” e il suo contributo tra gli intellettuali fascisti fu senz’altro “tra i più analitici e scientificamente meditati”. Spiccano, tra l’altro, la sua concezione ritmica della storia, l’idea di un’Europa federata capace di superare i gretti nazionalismi e le sue intuizioni ecologiste, per le quali possiamo annoverarlo tra i pensatori ecologisti tout court:
“Il pensatore non si stupisce di nulla. Conosce le leggi della vita, aspetta il ritorno delle stagioni e le saluta con sguardo immutato. Sa che ognuna nutre amorevolmente nel segreto del proprio seno il suo contrario che fiorirà in superficie alla successiva. Il duro inverno cova le gentilezze e le dolcezze della primavera e l’estate è gravida delle immense distruzioni dell’autunno…Queste epoche di crollo e di restaurazione, di corruzione che abbatte e di energia che fa risorgere hanno lati magnifici. Il pensatore non rifiuta nulla.” (da La violenza in Europa, 1939)
“Europei, non siete stanchi di inchinarvi di fronte all’orgoglio americano, all’orgoglio russo, all’orgoglio indiano, all’orgoglio cinese?… Agli occhi di un cinese che differenza può esserci fra uno scozzese e uno spagnolo? Hanno la stessa religione, mangiano e sono governati più o meno nello stesso modo, hanno lo stesso colore della pelle. Il cinese ha ragione. Se lo negate, giocate solo sulle parole, fate distinzioni bizantine, oppure ingigantite una differenza di sviluppo storico che domani sarà abolita dal tunnel sotto la Manica. Se il cinese vi parla di un certo sentimento della vita e della morte, che ha valore per quattrocento milioni di uomini, gli risponderete distinguendo il Cristo scozzese da quello catalano?… Fra Calais e Nizza io soffoco; vorrei allungarmi sino agli Urali. Il mio cuore nutrito di Goethe e di Dostojeski truffa le dogane, tradisce le bandiere, sbaglia i francobolli delle lettere d’amore… Dobbiamo trovare, al di là delle culture nazionali, al di sotto di esse, qualcosa che possa nutrirle tutte, nella loro parte migliore e più autentica.” (da Ginevra o Mosca, 1928)
“Non possiamo sperare più nulla da nessun popolo in quanto nazione. Non ci resta che una via, richiamarci agli uomini, agli europei. Utopia? Un uomo che scrive traccia nell’atto stesso un’utopia. Le sole garanzie degli uomini contro sé stessi sono le utopie. Io non nutro alcun amore morboso per la Francia; se lo nutrite voi per la Germania, tanto peggio…” (da L’Europa contro le patrie, 1931)
“E’ il mito del progresso che è in discussione. Durante questo vostro progresso non ha perso l’uomo la metà di sé stesso? Ciò che guadagnato non è stato profumatamente pagato da ciò che ha perduto?… Sviluppando il suo spirito l’uomo ha sacrificato a poco a poco il suo corpo… Il secolo XX sotterrerà la inutile dottrina del progresso; se sarà un secolo di rinascita, potrà farlo allegramente… L’uomo nuovo parte dal corpo, sa che il corpo è l’articolazione dell’anima e che l’anima non può esprimersi, spiegarsi in tutta la sua ampiezza, trovare una base consistente se non nel corpo. Non c’è nulla di più spirituale di questo riconoscimento del corpo… Niente è meno materialista di questo movimento… Cari signori della Borsa o del Parlamento, gli Scouts o i Wandervogel, che riscoprivano la marcia nel sole o nella pioggia, la notte allo scoperto, gli alberi, i ruscelli, il gioco, il coltello, non erano materialisti. Trascendevano la grande città, la fabbrica, il laboratorio, preparavano nei corpi il vaso spirituale della collera contro la schiavitù di una scienza e di una industria ancora ferme alle prime forme di applicazione sociale dei loro prodotti…” (da Note per comprendere il secolo, 1940)
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In un articolo pubblicato sulla Nouvelle Revue Francaise Drieu, facendo un bilancio della propria attività politica, orgogliosamente rivendicava la sua scelta:
“Sono diventato fascista perché ho misurato i progressi della decadenza in Europa. Ho visto nel fascismo il solo strumento capace di frenare e di contenere questa decadenza” (da Bilancio, in Nouvelle Revue Française, 1943)
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Racconto segreto è un insieme di brevi testi scritti dopo i due tentativi di suicidio dell’agosto del 1944 e poco prima di quello andato a segno la notte tra il 15 e il 16 marzo 1945. Racconto segreto rappresenta il testamento politico-esistenziale di Drieu, riassume con tratti di efficace lirismo lo scrittore, la sua arte, il suo pensiero, la sua sensibilità:
“La funzione degli intellettuali, o almeno di un certo tipo di intellettuali, è di andare al di là dell’avvenimento, di tentare cammini rischiosi, di percorrere tutte le strade possibili della storia. Niente di grave se sbagliano. Hanno compiuto una missione necessaria, quella di andare dove non c’è nessuno. In avanti, indietro, o di fianco: non ha importanza. Basta che siano usciti dal gregge della massa. Il futuro è fatto con una materia diversa da quella attuale. Il futuro è fatto da ciò che visto la maggioranza e anche la minoranza. Una nazione non è una voce unica, è un concerto. E’ necessario che vi sia una minoranza; noi siamo stati appunto quella: Abbiamo perduto, siamo stati dichiarati traditori: è più che giusto. Se voi foste stati sconfitti, sareste diventati automaticamente i traditori…. Io sono un intellettuale la cui funzione è di rimanere sempre con la minoranza…. Sono fiero di essere stato un intellettuale della minoranza. Fra qualche tempo i giovani ci leggeranno per cogliere un suono diverso da quello comune…. Non ho voluto essere un intellettuale che misura prudentemente le sue parole. Avrei potuto scrivere nella clandestinità, in zona libera, all’estero. No, bisogna assumere le proprie responsabilità, entrare in gruppi impuri, ubbidire alle leggi della politica che consiste nell’accettare alleati spregevoli o odiosi. Non mi sono sporcato le mani, solo i piedi… Siate fedeli all’orgoglio della Resistenza, come io sono fedele a quello della Collaborazione. Non barate come non baro io… Non sono solo un francese, ma un europeo. Anche voi lo siete, coscientemente o incoscientemente. Ma abbiamo giocato e io ho perduto. Esigo la morte.” (da Perorazione, in Racconto segreto, 1944)