Le scene di guerra in Europa dopo la mattanza dell’ex Jugoslavia sono un pugno allo stomaco, anche se la gente comune non capisce bene cosa stia veramente accadendo in Ucraina. Non è come ce la raccontano per imbambolarci gli intellettuali militanti stile Bernard-Henri Lévy, che si sono innamorati della primavera araba e vorrebbero importarla a Kiev. Non è una lotta impari fra democratici manifestanti che inseguono l’Europa unita ed i cattivoni del regime sodali dei russi. È difficile separare con l’accetta buoni e cattivi da una parte o dall’altra. All’inizio, tre mesi fa, le manifestazioni erano pacifiche in nome dell’utile cavallo di battaglia della mancata firma, all’ultimo minuto, del presidente Viktor Yanukovich, filo russo, dell’integrazione verso l’Europa. Adesso è una lotta per scalzare il regime e conquistare il potere.
Non solo: molti dei combattenti di queste ore nella capitale ucraina hanno un’idea di Europa tutta loro diversa, se non opposta, ai burocrati di Bruxelles. L’opposizione più «moderata» ha alle spalle colossi come la Germania e la Polonia, che giocano una partita anti russa. La famosa piazza Maidan, scintilla della guerra civile che si sta scatenando in queste ore è paragonabile, per importanza, a piazza Duomo a Milano. Immaginate che sotto la Madonnina dei ribelli in mimetica comincino a erigere barricate isolando un’area di due chilometri quadrati. E sotto galleria Vittorio Emanuele dei ragazzotti in tenuta da combattimento arruolino volontari per le Brigate nere che libereranno l’Italia dai comunisti, fuori tempo massimo. A Kiev, nel municipio occupato, accadeva lo stesso con l’Upa, l’Esercito di liberazione ucraino che durante la seconda guerra mondiale combatté contro i sovietici. Inevitabile che di fronte allo stallo del negoziato politico i duri e puri di Maidan abbiano deciso di marciare sul Parlamento, come è capitato martedì. Lo scontro con la polizia è subito degenerato in pistolettate con morti e feriti.
La piazza era piena di arsenali nascosti. Un déjà vu con il crollo sanguinoso della Jugoslavia, ma a Kiev manca il fattore etnico sostituito dal solco profondo fra l’Ucraina occidentale anti russa e quella orientale attratta da Mosca. Non a caso Leopoli, capitale dell’Occidente e altre città sono in mano ai rivoluzionari. Mentre dalla Crimea, dove il Cremlino ha ancora una base con sommergibili nucleari, partono per la capitale i militanti filo regime. E Kiev sta in mezzo. I miliziani anti Maidan, pure loro armati e pronti a tutto, nei giorni di calma innalzavano dei cartelli con scritto: «Ex Jugoslavia, Tunisia, Libia. L’Ucraina è la prossima?». Le ingerenze americane, come quelle russe non mancano, ma hanno superato il livello di guardia con l’aggravante di continuare a raccontarci solo dei manifestanti europeisti ammazzati dalla polizia e non degli agenti uccisi sull’altro fronte. In realtà è in atto una battaglia cruenta della nuova guerra fredda fra Washington e Mosca. Il problema è che non si muore nel lontano Afghanistan o in Siria, ma a Kiev, in Europa.
*da il Giornale