Il 27 gennaio 2014, i presidenti di Cuba e del Brasile, Raúl Castro e Dilma Rousseff hanno inaugurato insieme la prima fase del porto di Mariel nell’isola che ha come capitale l’Havana. Erano presenti anche i capi di Stato di Bolivia, Venezuela, Guyana, Haiti e il primo ministro della Giamaica. Tale concentrazione di autorità non deve stupire, visto che in questi giorni Cuba ha ospitato il secondo vertice del CELAC (Comunità di Stati Latino-Americani e Caraibici), ossia l’organizzazione internazionale che si propone di portare avanti l’integrazione continentale dell’area, escludendo però gli Stati Uniti e il Canada, così come le potenze coloniali europee.
In questi giorni, i fratelli Castro hanno quindi avuto incontri con i principali leader della regione – da quelli ideologicamente più vicini a quelli più distanti, discutendo le comuni strategie politiche, commerciali e culturali. In quest’occasione, la Presidenza temporanea della CELAC è stata trasmessa, in questa occasione, da Cuba al Cile. A conferma dell’importanza dell’evento, è stato ospite anche il Segretario delle Nazioni Unite Ban-Ki-Moon. Tutto ciò dimostra chiaramente che i modelli di sviluppo economico proposti (socialismo, social-democrazia, liberal-democrazia) sono oggetto delle scelte dei singoli Stati, e dunque secondari rispetto a quello che è un progetto su scala continentale volto ad unire i popoli, rispettandone la sovranità.
Il vertice ha inoltre coinciso con l’anniversario della nascita del poeta nazionale José Martí (28 gennaio), profeta della “grande confederazione di popoli dell’America Latina”. Questa ricorrenza è stata commemorata, come di consueto, con la “Marcha de las Antorchas” – ossia la fiaccolata degli studenti cubani dall’Università dell’Avana al Malecón – , alla quale hanno preso parte anche Raúl Castro (che già l’anno scorso aveva promesso la sua presenza), insieme a Maduro ed altri capi di Stato. Questo evento, allo stesso modo della celebrazione del 60° anniversario dell’attacco al Moncada, dimostra che Cuba, nonostante lo scarso peso economico, continua a costituire un punto di riferimento politico e morale per l’intera America Latina, ad oltre vent’anni dalla caduta dell’URSS.
È in questo contesto che il progetto di ristrutturazione del porto di Mariel e di creazione di una zona economica speciale acquisisce un’importanza capitale per Cuba e le Americhe. La nuova Zona Especial de Desarrollo Mariel vede la cooperazione tra aziende di Stato cubane e la Compañia de Obras e Infrastructuras brasiliana, sussidiaria della grande multinazionale Odebrecht, attiva soprattutto nel ramo ingegneristico e edile. Il nuovo porto di Mariel (costo stimato 900 milioni di dollari), con 55 ettari d’area, 700 m di banchina e quattro grandi gru di fabbricazione cinese, potrà ospitare navi con un pescaggio superiore a quello del porto dell’Avana, inclusa la maggior parte di quelle che superano il Panamax. Grazie a questi moli e ai suoi magazzini, si stima che potrà gestire fino a 800.000 container l’anno, di contro ai 350.000 dell’Avana.
In un secondo momento, il porto potrà essere esteso a 128 ettari, con 2400 m di banchina e fino a 3 milioni di container annui. Del resto, la sua posizione, sulla costa settentrionale di Cuba, 45 km ad occidente dell’Avana, è particolarmente strategica, con 32 porti di 17 diversi Paesi entro 1000 km di distanza. Inoltre, si tratta del porto cubano più vicino agli Stati Uniti, elemento che sarà particolarmente rilevante quando l’embargo dovesse avere fine. Tenendo conto di Mariel e dell’attuale progetto cinese del Canale di Nicaragua, si prospetta quindi la creazione di un nuovo circuito commerciale nei Caraibi, alternativo al precedente assetto statunitense, il quale aveva i suoi punti chiave nel Canale di Panama e nei porti di Veracruz (Messico) e Cartagena (Colombia).
Tuttavia, il piano non si limita al porto, ma prevede lo sviluppo di tutta l’area circostante. Infatti, una zona economica speciale (la prima a Cuba) di 465 kmq sarà aperta agli investimenti stranieri. In particolare, si mira ad impianti di prospezione petrolifera, all’industria leggera e ad aziende miste attive nel ramo delle biotecnologie, fiore all’occhiello della ricerca cubana. Le aziende straniere pagheranno il 12% sui profitti dopo 10 anni e 1% su vendite e servizi dopo 1 anno, ma l’assunzione di manodopera avverrà attraverso canali pubblici. Vari investitori provenienti da Russia, Cina, Vietnam, Messico, Brasile, Germania, Spagna, Giappone hanno già mostrato un forte interesse in questo senso. Un esempio è il recente annuncio della delocalizzazione a Cuba di uno stabilimento automobilistico dell’azienda cinese Geely.
Tutto questo avrà ricadute positive sulla popolazione cubana, a cominciare dai beni di consumo prodotti in loco e importati con un grande risparmio sui costi di trasporto. Inoltre, i dipendenti cubani di queste aziende riceveranno stipendi molto bassi in termini nominali, ma comunque nettamente superiori a quelli pagati dallo Stato cubano. Ad esempio, un salario di 100 $ mensili, sarebbe nettamente inferiore al salario medio cinese, ma al tempo stesso nettamente superiore al salario medio statale cubano e sufficiente a garantire un buon tenore di vita a Cuba. A queste premesse, parlare di sfruttamento, come avviene invece in altri Paesi in via di sviluppo, è assurdo. In entrambi i casi, il potere d’acquisto del cubano medio aumenterà, provvedendo ad aumentare non solo il benessere della popolazione, ma anche il consenso popolare e la stabilità del governo.