Chrysler italiana o Fiat americana? Passati i “botti” della notizia dell’acquisizione di Chrysler da parte della Fiat si comincia a dipanare il quadro reale dell’operazione condotta da Sergio Marchionne sull’azienda di Detroit. Già ieri su Barbadillo avevamo cercato di leggere tra le dichiarazioni di alcuni rappresentanti del mondo del lavoro quali ripercussioni fosse possibile ipotizzare dall’accordo e, più in generale, sul profilo della società automobilistica torinese. Passati i botti, dicevamo, i dubbi restano. Cerchiamo di rispondere a qualche domanda.
La Fiat ha davvero “comprato” la Chrysler? Se si considera il fatto che si fa sempre più insistente la voce del passaggio della sede legale del gruppo da Torino a Detroit e che (con grossi sacrifici da parte dei lavoratori americani) le garanzie sulla produzione sono state fissate negli Usa è lecito supporre il contrario: sono stati gli americani a inglobare l’azienda di Torino. Questo, è bene ricordarlo, anche perché l’Italia ha smesso da anni di dotarsi di una politica industriale (lo si è visto proprio con i drammatici risvolti del referendum interno alla Fiat). Per Giorgio Airaudo – senatore di Sel ed ex Fiom – «Marchionne ha portato a compimento un’ipotesi che ha a lungo cercato e che sposta il baricentro dall’Italia agli Usa. Non abbiamo conquistato l’America, ma solo contribuito a salvare un’azienda americana su richiesta, non dimentichiamolo, del governo americano».
Il destino della produzione in Italia? Questa rimane l’incognita più grande. Nell’indotto di Termini Imerese il 2014 è iniziato con decine di licenziamenti, mentre rimangono poco definiti i progetti legati a Cassino e Mirafiori: quest’ultima dovrebbe ospitare la produzione di auto di lusso ma c’è chi denuncia come la produzione di auto di serie si stia spostando sempre più all’estero (indicativo il fatto che l’Italia “acquista” più Fiat di quanto ne produca).
Il governo italiano che dice? Enrico Letta, di solito velocissimo a digitare commenti su Twitter, non ha detto una parola sulla notizia di ciò che è avvenuto oltreoceano. Di routine le dichiarazioni del ministro dello Sviluppo economico Zanonato: «Come Governo siamo pronti a supportare le strategie di crescita e occupazione di questa grande multinazionale dell’auto che si è venuta a creare». Come? Non è dato saperlo.
“Quello che va bene per la Fiat va bene per l’Italia”? L’affermazione dell’avvocato Gianni Agnelli ha rappresentato la controversa storia dell’azienda di Torino. Ammesso e non concesso che potesse essere accettata nell’arco temporale tra gli anni del boom economico e gli anni ’80, dal momento in cui il Lingotto ha deciso di guardare solo al mercato sarebbe necessario calibrare i rapporti. Barack Obama lo ha fatto nell’affare Chrysler: precise garanzie sulla produzione in cambio di un sostegno oneroso per lo Stato. L’Italia, pur avendo sostenuto con gli aiuti la Fiat per anni, rischia di uscire dalla partita. Ops, dall’auto.