La difesa liturgica della Costituzione, la “più bella del mondo”, non era in realtà per tutti il vero obiettivo del NO al referendum, specie per chi proviene da un’area politico-culturale, votata al presidenzialismo, che non ha mai considerato la Carta costituzionale come un dogma intoccabile o infallibile e che ha sempre invocato una sua rivisitazione. In gioco non era solo la Costituzione ma molto di più: l’autonomia nazionale dell’Italia rispetto a gruppi di potere estranei alle volontà nazionali che dicevano e spiegavano agli italiani cosa era giusto votare al referendum. Il No degli italiani è stato, in realtà ed in primo luogo, un vero e proprio atto di libertà nonostante le costrizioni esercitate per il sì. Quel che è giusto lo dovrebbe decidere il popolo italiano e non Bruxelles o Parigi o Berlino o Washington o i famigerati mercati finanziari.
L’Italia, come avvenuto recentemente in Gran Bretagna con la Brexit, ha avuto l’opportunità di far comprendere che a decidere devono essere i popoli e non burocrati o oligarchie senza delega popolare.
Parliamoci chiaro: la Riforma Renzi-Boschi-Verdini, oltre a peggiorare la Costituzione, toglieva ancora pezzi di sovranità al popolo italiano con un disegno studiato ed impostato fuori dai confini nazionali e la battaglia per la sovranità monetaria, territoriale, economica rimane vitale per il futuro dei popoli europei.
In questa battaglia, volente o nolente, si è innescata una roboante mobilitazione popolare con diverse sfaccettature – dalla difesa della Costituzione anti-fascista del dopoguerra (per qualcuno) alla voglia di defenestrare o perlomeno ridimensionare Renzi (per praticamente tutti gli altri) – che ha trovato nel governo il capro espiatorio di una serie di clamorose forzature a danno della sovranità popolare, che provengono dal 2011 e cioè dal primo governo Monti, proseguite con i governi Letta prima ed appunto Renzi dopo e temiamo Gentiloni ora.
Un voto politico dove ognuno ha trovato personali motivazioni. Forse di questo andrebbe ringraziato l’inconsapevole segretario nazionale del PD che, con la sua arroganza e la sua boria, ha messo tanto del suo per far crescere l’onda popolare del 4 dicembre. Onda che, evidentemente, non lo ha poi tanto scalfito visto il governo Gentiloni varato da Matterella ma scelto in toto da Renzi.
Alle politiche del 2013 il PD si candidava a guidare il Paese in coalizione con SEL avendo indicato come candidato premier Bersani. Da Bersani poi si è passati a Letta, quindi a Renzi ed ora a Gentiloni con maggioranze variabili, giochi di palazzo e spudorati cambi di casacca.
Un governo fotocopia del precedente che ha avallato la politica estera di Obama e le politiche economiche dell’Unione Europea lasciando socialmente macerie e lacerazioni nel Paese, in continuità con gli esecutivi Monti e Letta. Ecco cosa dovrebbe in primo luogo preoccupare gli italiani, ancor prima dell’assenza di legittimazione popolare a cui ci si è abituati essendo l’Italia, da troppi anni, un Paese a sovranità limitata. Sulla presunzione e sull’arroganza di Renzi e della sua compagnia di giro in realtà, sia chiaro, c’è poco da stupirsi.
Resta il 4 dicembre come data simbolo di un futuro tutto da scrivere. Per il ritorno alla sovranità, in attesa di un governo che finalmente contesti l’ineludibilità della globalizzazione e respinga le storture sociali ed economiche dell’Unione Europea.