Pietro de Francisci (1883-1971) è stato un grande giurista e un grande storico. La sua adesione al Fascismo e le cariche ricoperte durante il regime fecero passare, nel dopoguerra, l’importanza dei suoi lavori sotto silenzio. De Francisci non rinnegò mai le sue scelte. Ministro di Grazia e Giustizia del governo Mussolini nel 1929, fu docente di Storia del Diritto romano e rettore alla Sapienza. Partecipò alla Prima guerra mondiale come ufficiale di Fanteria. Nel 1936 divenne socio dell’Accademia dei Lincei e nel 1938 fu nominato componente dell’Accademia d’Italia. Nel 1944 fu epurato ed esonerato dall’insegnamento. Nel 1949 fu reintegrato. Una vita non facile ma le sue opere e il suo insegnamento mantengono tuttora una grande freschezza e attualità per impostazione e interpretazione. Recentemente due importanti lavori di de Francisci sono stati ristampati con saggi introduttivi. Si tratta di Spirito della civiltà romana e Augusto e l’Impero.
La qualità del primo volume, che le edizioni L’Arco e la Corte ripropone dopo l’ultima edizione del 1952, risalta per la completezza della visione della Civiltà romana, la profondità di lettura degli avvenimenti e delle istituzioni che non ricoprivano solo funzioni amministrative e politiche ma anche religiose. L’interpretazione dei fatti e la dinamica storica rivelano bene la visione spirituale del mondo dei Romani. Popolo molto pratico ma mai materialista, come sottolineava de Francisci, storico esperto anche di filologia, molto attento al senso delle parole. Infatti, il libro si apre con un approccio metodologico alla definizione della storia romana partendo dalla differenza fra Civiltà e Cultura, in questo richiamandosi alla lezione classica di Oswald Spengler. La Civiltà, quindi, è “espressione concreta e complessa di tutte le energie dello spirito”.
Questo libro, pubblicato per la prima volta nel 1939 e, come detto, ripubblicato nel 1952 (tre anni dopo il reintegro nell’insegnamento da parte della Magistratura della Repubblica italiana), mostra benissimo come Roma abbia trasceso la storia come semplice categoria del sapere o come semplice svolgersi dei fatti. Anzi, per dirla con Evola, i Romani avevano una visione metafisica della storia intesa come compimento di una visione superiore. La ricchezza dell’interpretazione di de Francisci sta nel fatto che analizza nella stessa univoca visione il diritto, la politica, la storia, la religione, il Mito intesi come parti di un tutto in quanto c’è, nella visione romana, la convinzione dell’esistenza di forze divine e trascendenti che agiscono dietro quelle umane e storiche. Infatti, i capi politici di Roma con riti e cerimonie entravano in contatto con le forze divine.
È importante, in un periodo di grave crisi di valori come quello attuale, avere bene in evidenza esempi, storie e libri che illustrano i principii di riferimento di quella che è stata – insieme alla cultura greca – la Cultura e le radici vere dell’Europa. Queste analisi di de Francisci indicano bene il significato di Roma e della sua Tradizione. Anche se considera il Cristianesimo una religione che assorbì alcuni principii della Romanità, visione forse indulgente verso i nemici di Roma. Furono assunti alcuni aspetti della Romanità, è vero, ma erano, come sostiene Evola, “i più deleteri e decadenti”.
De Francisci mostra l’importanza della storia romana anche nei momenti in cui furono commessi errori rimarcando come questi potrebbero essere utili per comprendere la realtà di oggi. Colpiscono le motivazioni della caduta dell’Impero Romano, tuttora dibattute dagli storici e soprattutto la consonanza con alcuni problemi che si vivono oggi in Europa. De Francisci mostra le motivazioni sottolineando soprattutto gli errori politici e la decadenza dei costumi che contribuirono largamente a dissolvere Roma. Le cause della caduta dell’Impero furono il calo demografico, il numero crescente di giovani che non si sposava più, la diffusione dell’omosessualità. L’abbandono delle città lungo il confine dell’Impero, per timore di assalti e invasioni degli eserciti barbarici che premevano nelle regioni confinanti; la diffusione di malattie infettive per carenza di igiene, la conseguente crisi economica e produttiva agricola in parallelo al crollo dei traffici commerciali, l’inflazione che alterava prezzi e valore delle merci. Inoltre, la perdita di coesione sociale: Roma non fu più un blocco monolitico a causa dell’immigrazione, dell’accettazione del cosmopolitismo, della distribuzione diseguale della ricchezza con lusso eccessivo per pochissimi e povertà per la gran parte del proletariato urbano e contadino. Inoltre, la degenerazione della burocrazia si tradusse in corruzione diffusa e in un enorme aumento delle tasse sui ceti più svantaggiati. Da ultimo, il governo centrale era condizionato dall’esercito che spesso rispondeva solo ai propri capi ed era formato in grandissima maggioranza da militari immigrati non legati certo alla Tradizione di Roma.
De Francisci elenca i problemi della decadenza di Roma e illustra il crollo di una grande Civiltà. Emerge un quadro di riferimento di grande rilievo che contiene ancora oggi grandi insegnamenti per l’oggi e soprattutto per il futuro.
Il testo Augusto e l’Impero, pubblicato dalle edizioni del Cinabro, ripropone una serie di saggi scritti da de Francisci fra il 1906 e il 1939 (tranne “Genesi e struttura del principato augusteo”, pubblicato nel 1941) tutti relativi alla nascita e allo sviluppo dell’Impero fondato da Augusto, primo imperatore di Roma. Aver riunito questi testi non è soltanto un’operazione di alto livello culturale poiché rende nuovamente disponibili saggi che dal punto di vista interpretativo hanno ancora una valenza ma perché servono a comprendere in profondità l’importanza della Costituzione augustea, le basi giuridiche del Principato, i concetti di Tradizione e rivoluzione nella storia romana, la lettura della nascita dell’Impero da più angolazioni senza escludere i rapporti e l’opera di prosecuzione fra Cesare e Augusto.
Non si tratta di saggi dall’impostazione giuridica soltanto ma anche di analisi dei personaggi, della loro azione politica nel periodo delle guerre civili e nei vent’anni che seguirono fino alla istituzione dell’Impero. Una serie di saggi che hanno la capacità di mostrare l’acutezza politica di Augusto.
De Francisci aveva il dono di superare il dato storico e penetrare la visione completa che questi geni della storia e della politica erano in grado di realizzare con riflessi davvero notevoli sulla struttura dell’Impero e, in prospettiva, sulla storia dell’Europa. De Francisci entra nello specifico e definisce dei due grandi romani il carattere, le imprese che compirono, la vocazione riformatrice di entrambi, innervata da un profondo richiamo al Mos maiorum, quindi rispettoso delle Tradizioni degli Avi. Un modo di concepire la Tradizione che teneva contemporaneamente in conto le esigenze nuove dell’Impero e quelle del popolo romano. Una interpretazione che mostra come de Francisci aveva una cultura superiore a quella semplicemente didattica o “accademica”. Aveva un “sentire interiore” che soltanto chi l’ha innato può interpretare in maniera profonda i vari aspetti della storia del diritto e della religione (il diritto romano era impregnato di visione e principii religiosi). Non a caso de Francisci proprio su questo tema ha scritto pagine rilevanti. Nel capitolo “Tradizione e rivoluzione nella storia di Roma” punta l’indice proprio contro certa Accademia sostenendo, intelligentemente, che “In ogni ramo del sapere, e in modo particolare nelle scienze storiche, accanto a idee e a giudizi che si rinnovano e si affinano, accade di incontrare concezioni irrigidite in formule convenzionali che si tramandano come verità ricevute e di cui pare inutile analizzare il contenuto e valutare la portata. Sono formule semplici e facili – continua – ma che, anziché giovare all’intelligenza, vengono spesso a costituire una barriera fra il soggetto e la verità: barriera che deve essere superata se si vuole che la conoscenza sia veramente piena comprensione. Ciò che, purtroppo, non sempre avviene. Colpa, in gran parte, degli storici avvezzi ad esercitare, anche quando non si limitano alla discussione delle fonti, una critica per lo più puramente esteriore, che abbandona gli avvenimenti e il loro concatenamento al giudizio comune, ne trascura la valutazione, si disinteressa del loro significato, rinuncia a quella penetrazione nello spirito della storia che è pure il vanto della scuola italiana dal Machiavelli al Vico e ai loro epigoni minori” (pag. 189). Una dichiarazione che ha il tono di una denuncia tuttora valida.
Due libri importanti, due libri che non solo spiegano bene la Romanità e le sue istituzioni, dimostrando anche la dimensione storico-politica e religiosa, gli usi, i costumi e soprattutto la Tradizione legata al Mos Maiorum degli Avi.
De Francisci, Spirito della Civiltà romana, (prefazione di Giandomenico Casalino). L’Arco e la Corte ed., Bari, pagg. 279, euro 18,00; Ordini: ordini@arcoelacorte.it
De Francisci, Augusto e l’Impero, (prefazione di Mario Polia). Cinabro ed., Roma, pagg. 209, euro 18,00, Ordini: info@cinabroedizioni.it
ogni civiltà militare, pardon…
Ancora con questa lagna favolistica del Cristianesimo “nemico di Roma”?
Grazie al Cristianesimo, Roma ha un ruolo universale ancora oggi.
Per il resto è da tempo una Burinopoli a cui hanno allegramente contribuito tutte le forze politiche.
Per quanto riguarda le “formule convenzionali”, ci rientrano in pieno “mos maiorum” e “tradizione”. L’impero in decadenza era un impero pagano in cui ormai nessuno credeva più a niente di tramandato.
Il cristianesimo era nemico, agli inizi, non ai tempi di Teodosio, della tradizione romana, è lampante. Peraltro, molti fascisti erano solo democristiani con il culto delle uniformi, atteggiamente teatrali dannunziani e…guerre da sacrestia…