È destino di Nicola Tranfaglia, lo storico napoletano scomparso il 23 luglio scorso, all’età di 83 anni, essere ricordato non tanto come autore di una cospicua ed eclettica produzione accademica, quanto come tenace avversario di un altro studioso, che ha avuto la sfortuna di vivere meno a lungo di lui, ma ha lasciato un’impronta ben più durevole nella storiografia italiana. Quando, nel 1975, Renzo De Felice pubblicò con le edizioni Laterza l’Intervista sul fascismo rilasciata a Michael A. Ledeen, Tranfaglia ne fu il primo e più accanito degli stroncatori. Erano anni molto delicati, sia nell’ambito culturale, sia in quello politico: gli anni dell’antifascismo militante nelle piazze, che contribuì a stroncare molte vite, e dell’antifascismo sicofante nelle università, che contribuì a stroncare molte carriere accademiche. La pubblicazione di quell’intervista, cui De Felice consegnava le opinioni maturate nella stesura dei primi volumi della sua biografia mussoliniana, rischiava di mandare in crisi la “vulgata antifascista” allora dominante. In realtà, già da qualche tempo la ricerca storiografica sul Ventennio era andata uscendo dagli usuali cliché, con opere per l’epoca pionieristiche come Le origini dell’ideologia fascista di Emilio Gentile e L’interventismo della cultura di Luisa Mangoni. Ma lo “storico reatino” (come, non senza una sottile vena di disprezzo, lo chiamava Tranfaglia), con le sue distinzioni tra fascismo regime e fascismo movimento, con la sua netta distinzione tra fascismo italiano e nazionalsocialismo, col riconoscimento di un consenso di massa, anche attivo, al regime, che ebbe il suo epicentro con la guerra d’Etiopia, non poteva non suscitare scandalo. E infatti Tranfaglia fu uno dei primi a replicare, con una stroncatura dal titolo La pugnalata dello storico, uscita il 6 luglio 1975 sul “Giorno”.
Nasceva così la polemica contro il revisionismo, che ancora oggi affligge il dibattito storiografico: come se la storiografia non fosse perpetua revisione dai tempi di Tucidide, altrimenti sarebbe mera annalistica.
In realtà, De Felice non intendeva difendere il fascismo: voleva soltanto difendere la verità. Ma vi sono circostanze in cui difendere la verità può essere molto pericoloso, e il grande biografo di Mussolini se ne rese conto all’inizio come alla fine della sua carriera accademica. Nel 1962 fu bocciato all’esame per l’ottenimento della libera docenza in storia moderna da una commissione che probabilmente non gli perdonava di aver citato, in una nota a piè di pagina della sua Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, la partecipazione a un convegno sulla razza di un giurista che poi sarebbe divenuto segretario del partito radicale. Nel 1996, poco prima della sua morte, alcuni teppisti lanciarono bottiglie molotov contro il balcone della sua casa romana: le contestazioni alle sue lezioni, da parte di facinorosi spesso tollerati, non si erano per altro fermate neanche dopo gli anni di piombo.
Dopo la sua morte, Tranfaglia smussò, almeno in parte, certe spigolosità del suo giudizio su De Felice. E fece bene, se non altro per non apparire ingrato. Pur avendo scritto molti volumi di indubbio valore storico, spaziando dalla storia del giornalismo alla delinquenza nel Mezzogiorno, difficilmente sarebbero in molti a ricordarsi di lui senza quella stroncatura dello “storico reatino”. Ogni Salieri ha bisogno del suo Mozart.
Per la storiografia nessun lutto particolare. Non fu certo uno storico eccelso ed ebbe persin troppa fama…
Beh, la storiella della rivalità tra Mozart e Salieri è una favoletta buona per il cinema, non per la storia.
A parte ciò, meglio essere reatino come De Felice che potentino come Tranfaglia. Era figlio di una specie di giudice a Potenza che faceva l’esagitato perché voleva cambiare il mondo. Il figlio ha trovato modo di fare carriera colonizzando interi settori della storiografia contemporaneistica italiana: i danni sono stati pesanti e peseranno ancora a lungo, purtroppo. Tra i contestatori di Renzo De Felice all’università lo pseudostudente Paolo Cento – che minacciava anche gli studenti non di sinistra ma semplicemente liberali o radicali – poi finito a fare carriera in politica e invitato in tv da Porro.