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Segnalibro. Leo Frobenius, i miti di Atlantide il pantheon sacro e la cultura Yoruba

Iduna ripubblica un testo per le ipotesi sull'isola affondata negli abissi e scomparsa nel nulla. Ma sono ipotesi senza prove scientifiche

by Manlio Triggiani
1 Luglio 2021
in Scritti
0

Da sempre l’uomo si interroga sulla nascita del mondo e della propria civiltà. Mircea Eliade ha posto come aspetto rilevante nelle comunità umane la cosmogonia (la nascita del mondo) e i miti nelle origini della civiltà. Lo studioso romeno ha individuato un aspetto fondamentale: al centro di tutte le civiltà non sono mancati i miti che traducevano storie realmente accadute in un immaginario che dava forza all’identità e alla tradizione dei popoli. Il mito di Atlantide è stato un mito che periodicamente è tornato alla ribalta nell’immaginario occidentale, quasi a voler raccontare e scoprire il luogo d’origine del mondo. Il primo a parlarne fu Platone in due dialoghi: Crizia e Timeo. Platone spiegò le origini di questo mito: Poseidone ebbe un’isola, Atlantide, dove destinò i propri figli che dettero vita a una civiltà prospera e basata sul sacro. Ben presto però arrivò la decadenza e il Sacro non ebbe più l’importanza di un tempo.

Zeus, per collera, mandò terremoti e inondazioni che in un giorno e una notte fecero inabissare l’isola e morire tutti gli abitanti. Nell’immaginario, Atlantide è rimasta – soprattutto nella letteratura – un luogo di meraviglie, un luogo mitico. Nella realtà, si riprese a parlare di Atlantide dopo la scoperta dell’America a opera del navigatore genovese Cristoforo Colombo. Furono ipotizzate origini atlantidee delle popolazioni amerinde. Da allora le ipotesi si sono moltiplicate. Lo scrittore statunitense Ignatius Donnelly, nel 1882, pubblicò un libro che suscitò clamore perché sosteneva, senza avere prove concrete, che tutto il sapere del mondo derivava da quell’isola svanita negli abissi a seguito di una catastrofe. Poco dopo un giovane studioso di antiche civiltà, innamorato dell’Africa, iniziò a studiare e divulgare le proprie teorie. Si tratta di Leo Viktor Karl August Frobenius (1873- 1938) che si era formato sui libri di Friedrich Ratzel, fondatore della geografia antropica, branca della geopolitica tedesca. Frobenius elaborò la teoria dei “circoli culturali” una visione globale che forniva ipotesi sullo spostamento dei popoli nei vari periodi storici, nel corso dei millenni. L’antropologo prussiano era nipote di Heinrich Bodinus, direttore del parco zoologico di Berlino e amico di molti esploratori del tempo. Fin dall’infanzia, il piccolo Leo fu fortemente influenzato e interessato a questo genere di ricerche. Le sue letture riguardavano le memorie di viaggio e di studio di Stanley, Wissmann, Peters, Livingstone, ecc. Crescendo prese a frequentare i musei etnografici di Brema, Lipsia, Amburgo, Basilea. La sua tesi di argomento africano non fu accettata dalle università di Basilea e di Friburgo perché considerata priva di fondamenti scientifici.

Nel 1904 riuscì a organizzare una spedizione in Congo, nella zona del Kasai, al tempo proprietà personale di Leopoldo II di Sassonia Coburgo, re del Belgio. In seguito organizzò una decina di missioni. Fra il 1910 e il 1912 visitò la Nigeria e il Camerun. Nella Nigeria del Sud-Ovest si trattenne a lungo a Ile-Ife, capitale religiosa dell’antico regno del Benin e centro della cultura Yoruba. Entrò in contatto con la popolazione Yoruba, conobbe dei saggi e fu iniziato alla religione tribale. Così ebbe l’opportunità di conoscere il sacro secondo la civiltà Yoruba. Frobenius notò come i richiami religiosi e mitologici nella struttura sacrale di quelle popolazioni in un certo senso ricalcavano quelli di altre popolazioni dell’antichità. La sua ipotesi di studio, che fece scalpore e fu diffusa in tutto il mondo nonostante Frobenius non facesse parte dell’Accademia, era questa: nell’antichità una civiltà occidentale preclassica poteva aver avuto contatti con l’Africa occidentale. Prove di questi contatti non ce n’erano, era solo un’ipotesi,  ma di certo il livello di civiltà degli Yoruba era nettamente superiore a quello delle altre comunità africane. Osservazione reale che fu in seguito avvalorata anche da altri studiosi. “Residuo atlantideo” venne definito questo contatto da Frobenius; altri studiosi lo ribattezzarono “residuo bianco” .

Frobenius, indagatore e curioso, era figlio del suo tempo ed era deciso sostenitore della Germania guglielmina imperiale, coloniale e sosteneva che fra le popolazioni africane ce n’erano alcune che avevano un tasso di creatività e spiritualità di alto livello. Tutte queste teorie, questi studi e la certezza che un contatto ci sarebbe stato in epoca primitiva fra i popoli atlantidei e quelli dell’Africa occidentale, Frobenius li riportò in un libro, Die atlantische Goetterlehre (La dottrina sacra atlantidea). Il libro ora è ripubblicato in italiano con il titolo I miti di Alantide. Un libro interessante perché affronta e studia la mitologia, la struttura sociale degli Yoruba, la vita religiosa e il pantheon degli dei di quella civiltà.

Leo Frobenius, I miti di Atlantide, Edizioni Iduna, pagg. 235, euro 20,00. Introduzione di Maurizio Pasquero)

Manlio Triggiani

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Tags: Barbadillofrobeniusidunamanlio triggiani

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