«Incesto liberal-marxista». Non usa mezze parole Valerio Benedetti nel suo ultimo libro Sovranismo (Altaforte, 2021) per definire il globalismo dei nostri tempi. «Intellettualmente postmarxista ed economicamente neoliberale», il globalismo viene descritto acutamente dall’autore nelle sue radici culturali e nei suoi fondamenti ideologici, se non religiosi. Dall’influenza decisiva della Scuola di Francoforte all’esaltazione della figura del “migrante” in quanto individuo sradicato, liquido, che «infrange il principio cardine intorno a cui lo Stato si è edificato» e diventa quindi fondamentale oggi per de-costruire le identità, nessun passaggio verso l’abbattimento delle frontiere e delle diversità viene trascurato. La sinistra no-border si va saldando sempre più al capitalismo e a quel mondo finanziario a cui teoricamente si oppone: «si fa fatica a scorgere una differenza sostanziale tra il mondo sognato dal finanziere Soros e quello vagheggiato da un attivista dei centri sociali», nota beffardamente Benedetti. La «fine della storia», per vie diverse, era ed è d’altronde il sogno tanto del comunismo quanto del liberalismo e dei cantori del mercato. E proprio in questa direzione stiamo andando grazie all’omologazione dettata dalle multinazionali, dal politicamente corretto e dalla globalizzazione dell’economia e dei comportamenti, che tutto sembra travolgere, senza alcun riguardo per i popoli e la democrazia.
Ecco allora che si è affermata, per quanto in maniera disordinata, la «rivolta sovranista», animata in primis dal risveglio dei popoli secondo le coordinate dell’«ira» di Achille, dell’«anima emozionale» descritta da Platone, delle radici profonde delle collettività storiche che non vogliono arrendersi a un destino segnato. In una densa carrellata storico-filosofica, l’autore analizza con dovizia di particolare filosofi del calibro di Hegel, Hobbes e Locke ripercorrendo le tappe di quella visione meccanica e individualista che è arrivata fino al trionfo planetario del liberalismo capitalistico, scatenando l’inaspettato impeto “sovranista”: «ciò che terrorizza liberali e marxisti è nient’altro che il lato volontaristico e decisionistico della sovranità. Perché la sovranità è si nomos ordinatore, ma è anche forza che, nella sua originarietà, si afferma nel caos attraverso un atto fondatore e carico di destino». La sovranità non è solo conservazione, ma è anche rivoluzione, «la libertà è un dovere», ci ricorda l’autore, provando a fornire alcune suggestioni utili per un progetto concreto basato su «identità, sovranità, confini, frontiere» oltre la dicotomia destra/sinistra, che superi il globalismo, il quale ha letteralmente dichiarato guerra a ogni avversario che mette in dubbio i suoi dogmi. In questo senso, Benedetti ripercorre e descrive accuratamente le origini e le specificità dell’Italia, che devono essere riscoperte in nome di una nuova politica che sappia unire al discorso identitario le battaglie sociali. Il modello della «terza via», oggi colpito a morte dall’Unione Europea, dalla tecnocrazia e dall’«autorazzismo» delle classi dirigenti, può ancora fornire spunti di grande attualità.
L’analisi presente nel libro di termini “scottanti” quali razza e identità; gli approfondimenti sul piano delle storie nazionali («Le Nazioni sono costruzioni dunque? Certo: le nazioni sono state “costruite” nei secoli dal sacrificio e del sangue dei loro eroi, dei loro condottieri, dei loro poeti, dei loro scienziati, dei loro esploratori, dei loro umili ma fieri lavoratori») e delle riflessioni di giganti del pensiero come Mazzini, Gentile, Schmitt (per dirne solo alcuni) e infine la critica delle interpretazioni più rilevanti sui temi del liberalismo, dei diritti umani e delle sfide future aprono mille spunti di riflessione. Lo stesso dicasi per la ricostruzione del progetto europeo (da Hayek e le influenze americane nell’immediato dopoguerra fino al “golpe bianco” subito dall’Italia del 2011, passando per Maastricht e la moneta unica) per arrivare alla necessaria problematizzazione dei concetti di democrazia, sovranità e Stato-Nazione, un elemento tutt’altro che tramontato, nonostante le facili letture cosmopolite.
Da queste poche righe potrebbe sembrare che il libro di Benedetti sia un testo utile in primis per una battaglia politica, ma sarebbe veramente riduttivo definirlo solamente così. Siamo di fronte a una perla culturale, un vero e proprio trattato di scienza politica che spazia dalla storia fino alla filosofia, con una padronanza delle fonti veramente rara e seconda a nessuno. Dispiace solamente che difficilmente “i padroni del discorso” avranno il coraggio di diffondere e discutere le tesi sostenute nel presente testo, che aprirebbero un salutare dibattito mettendo in dubbio le letture iper-semplificate della realtà, sempre più diffuse nei tempi miseri degli influencer e dei Fedez eretti a modelli e maestri del pensiero.