Alcuni scrittori, nonostante il passare del tempo, rimangono nella letteratura come coscienza critica di un periodo storico che la cultura ufficiale ha condannato senza appello. Un caso emblematico è quello dello scrittore francese Louis-Ferdinand Céline, accusato di essere stato un collaborazionista del nazionalsocialismo durante l’occupazione della Francia da parte delle truppe del Terzo Reich.
Ora sono in libreria due volumi di grande interesse sullo scrittore: Louis-Ferdinand Céline di Pol Vandromme (Italia Storica), a cura di Andrea Lombardi, e Céline e la Germania di Alain de Benoist (l’Arco e la Corte).
Fuga attraverso il Reich
Dal punto di vista letterario, nella “Trilogia del Nord” (Da un castello all’altro, Nord e Rigodon) la Germania fa da scenario alla fuga dello scrittore francese da Parigi, con la moglie Lucette Almanzor, l’amato gatto Bébert e l’amico attore Robert Le Vigan. Uno scenario squassato dai bombardamenti degli Alleati. Lo scrittore doveva raggiungere la Danimarca, qui avrebbe avuto ricovero sicuro e vi erano depositati i diritti dei suoi libri.
Céline descrive una Germania cruda e veritiera ma anche surreale, immaginaria. Con quella nazione aveva avuto rapporti fin dall’adolescenza, da quando fu mandato dai genitori a studiare la lingua tedesca in una scuola a Diepholz. Da allora i rapporti con la patria di Goethe fu ricorrente.
Per questo i suoi nemici lo accusarono, dopo la pubblicazione dei pamphlet, di collaborazionismo con il Terzo Reich. Jean-Paul Sartre, sulla rivista “Temps Modernes”, si distinse nel linciaggio morale, sostenendo – senza prove – che Céline scriveva i suoi pamphlet perché pagato dai tedeschi invasori. Sartre fingeva di non ricordare che dei tre volumi il più noto, Bagattelles pour un massacre, uscì nel 1937, quando la seconda guerra mondiale non era ancora scoppiata: quei libri erano solo un tassello della produzione letteraria céliniana. Céline non scriveva opere antisemite per compiacere i tedeschi o perché da loro pagato, ma perché era sinceramente antisemita, come le opere e gli epistolari dimostrano risentendo di un clima diffuso in Francia e in Europa. Prima del processo contro di lui, nel 1944, era stato incluso nella lista di proscrizione messa a punto dal Comitato nazionale scrittori nella quale c’erano anche Giono, Brasillach, Montherlant, Martin du Gard, Rebatet ecc. Il 5 febbraio del 1945 il Ministero della Guerra invitò i librai a non vendere i volumi riportati in una lista di proscrizione. Tra questi, i pamphlet di Céline. Insomma, lo scrittore era nel mirino prima che fosse istruito un processo nei suoi confronti. Elena Fiorioli, studiosa di Céline, rimarca in una sua opera di alcuni anni fa (Céline e la Germania, Libreria universitaria editrice, Verona 1982) che allo scrittore fu offerta la possibilità di fuggire in Algeria per unirsi alla resistenza, ma lui rifiutò. Non si fidava di quegli interlocutori e non intendeva finire con una fazione che non era mai stata la sua.
De Benoist: “Céline non era collaborazionista”
Céline era un uomo del suo tempo, aveva pubblicato su riviste della Collaborazione, ma mai in maniera organica, con saggi o articoli. Si trattava solo di lettere ai giornali. Talvolta inviate perché chiamato in causa da articoli apparsi nelle riviste. Tuttavia auspicava un’intesa, un’alleanza, fra Francia e Germania, in chiave europea e europeista, ma questa è altra cosa rispetto a collaborare con l’esercito tedesco ed essere pagato per scrivere articoli e libri per la propaganda del Terzo Reich. Del resto non sono mai emerse prove sul fatto che Céline fosse al soldo dei tedeschi. Infatti, il 21 febbraio del 1950 la Corte di Giustizia di Parigi gli inflisse la condanna a un anno di reclusione, 50mila franchi di ammenda, l’indegnità nazionale e la confisca dei beni. L’anno successivo, il 26 aprile del 1951, lo scrittore fu amnistiato e tornò in Francia, dapprima a Parigi, poi in una grande casa con giardino a Meudon, circa 15 chilometri a sud-ovest di Parigi. Trattamento ben diverso rispetto a quello riservato ai veri collaborazionisti.
Certamente Céline, come ha rimarcato nei pamphlet, e come hanno dimostrato molti studiosi, aveva idee politiche chiare su questioni come la razza, l’immigrazione allogena in Europa e sulle lobby del tempo. Le sue posizioni politiche erano molto nette, senza aderire a partiti, movimenti o servire l’esercito tedesco. E nel dopoguerra quelle posizioni furono per lui molto scomode.
Alain de Benoist, filosofo, scrittore e giornalista francese, con profonda conoscenza della vita e delle opere di Céline, e avvalendosi di una documentazione inedita o poco nota, traccia in questo volume un’interessante analisi della questione relativa alla collaborazione con i tedeschi. Ora, con questa opera, sono chiariti definitivamente, e in maniera incontestabile, i termini della vicenda e, più in generale, il rapporto fra Céline e la Germania, l’amore-odio per i tedeschi, la ricezione letteraria dell’opera dello scrittore francese in Germania. Nonostante molti studiosi abbiano affermato che l’accusa di collaborazionismo rivolta a Céline era – ed è – inconsistente e infondata, un lavoro del genere era necessario perché mette un punto fermo su fatti e idee, spesso distorti in mala fede, di Céline scrittore e testimone di un’epoca.
La critica di Vandromme
Altro libro di sicuro interesse, il Louis-Ferdinand Céline di Pol Vandromme (1927-2009), giornalista, scrittore, critico letterario, polemista belga di espressione francese. Pubblicato all’indomani della morte dello scrittore, nel 1963 (e nel 1964 da Borla in Italia), Vandromme, scrisse questo agile libro per spiegare in poche parole Céline e il suo valore culturale. Un libro non facile da scriversi a caldo un anno dopo la sua morte ma che fu apprezzato dal pubblico. Ora Italia Storica lo ripubblica, per la cura di Andrea Lombardi e arricchito di una nuova introduzione che l’autore aveva scritto nel 2001. Un libro che ha mantenuto la sua essenzialità sebbene, come lo stesso Vandromme afferma nell’introduzione, fu scritto quando alcune opere dello scrittore francese non erano state ancora pubblicate, come a esempio, Rigodon, o il seguito di Guignol’s band. I temi affrontati colgono l’essenziale, fanno il punto sulla visione del mondo céliniana, cosa non facile in un periodo in cui il pubblico aveva un’opinione tranchant su Céline, considerato semplicemente un farabutto al servizio dei tedeschi. Un giudizio che spingeva a dire che esisteva un Céline grande scrittore, autore di Morte a credito, del Viaggio al termine della notte ecc. e uno cattivo, autore dei pamphlet.
Inoltre, il libro di Vandromme è stato fra i primi a sottolineare l’importanza dell’innovazione del linguaggio, dell’uso dell’argot, dell’implicito richiamo alla letteratura che si inscrive nella scia di François Villon. E anche sui pamphlet, Vandromme offrì una lettura originale che fece scuola: “l’ebreo come il cinese, rivelatori allegorici delle paure di un immaginario sconvolto”. Un antisemitismo depotenziato. Due libri da leggere non solo per conoscere meglio Louis-Ferdinand Céline, ma anche per comprendere le dinamiche di un’epoca.
Alain de Benoist, Céline e la Germania, L’Arco e la Corte ed., pagg. 136, euro 17,00; (introduzione di Manlio Triggiani).
Pol Vandromme, Louis-Ferdinand Céline, Italia Storica ed., pagg. 169, (con foto f.t.), euro 16,00; (a cura di Andrea Lombardi).