Pubblichiamo per gentile concessione dell’autore, l’editoriale di presentazione del numero monografico di Nova Historica su Berto Ricci, scrittore fascista e pensatore eretico. Il volume è edito da Pagine. Qui il link per abbonarsi alla pubblicazione.
***
Berto Ricci non è da commemorare. Berto Ricci è da ascoltare. È un monito. È un grido di dolore e di speranza. È un urlo di lotta e di vita. Berto Ricci di fede e di fantasia, di coerenza e di libertà, di coscienza e di fedeltà. Di parte e di Patria.
Se ne andò faccia al cielo alle 9,30 del 21 febbraio 1941. A Bir Gandula, un posto sperduto della Cirenaica dove la sua Italia combatteva la battaglia per vivere libera dentro il Mediterraneo, il mare suo e della nostra Civiltà. Ottanta anni non paiono trascorsi. Il suo lascito è intatto.
Questo lascito raccoglie anzitutto lo stile, lo stile e il carattere di una Civiltà che Ricci fa trasparire dentro ogni rigo scritto in quel diamante che è “Lo scrittore italiano”. Stile sobrio, solido, essenziale e asciutto perché è abito di una dimensione universale che rifiuta i passatismi inutili e “la frottola della modernità”. Dimensione universale quindi eterna, eterna nello spazio e nel tempo, e perciò non bisognosa dei fronzoli modaioli che invece oggi straripano ovunque e ad ogni costo. “Machiavelli è il maestro dello stile” dice Ricci e con queste parole dice tutto.
Una Civiltà che porta i nomi, davvero universali, di Dante, Galileo, Bruno, Petrarca, Alberti, Leonardo, Raffaello, Piero della Francesca, Michelangelo, Foscolo, Leopardi, del Cancelliere fiorentino e via ricostruendo.
E c’è la coerenza, una qualità interiore che oggi è merce rara fra la gente italiana. Per qualcuno coerenza è un inutile dippiù, è fatua retorica; invece è marmo dal quale emerge nel tempo, e a fatica, il profilo dell’italiano che ci dovrebbe essere e che non c’è. Coerenza fra il dire e il fare, fra il pensiero e l’azione, fra i proponimenti e gli atti: che è la prova provata di quanto Gentile abiti, malgrado i proclami soprattutto dell’Universale, nel pensiero di Berto.
Ma oggi parliamo di Ricci solo perché cadono ottanta anni dalla sua morte? No. Della sua lezione c’è bisogno: oggi più che mai e ogni giorno.
Lui, la sua vita, i suoi scritti, la sua opera, la sua morte, tutto di lui ci chiama ad ammirare l’esemplarità del suo carattere integro ed a capire che l’italiano, se vuole, può essere molto differente dagli stereotipi cialtroni dentro i quali è immerso.
Non è per nulla vero che l’italiano o è furbo, trasformista, infido, straccione, vigliacco e traditore o non è. C’è un altro italiano, perché c’è un’altra Italia, fatta appunto di fedeltà, di amor proprio, di coerenza, di dignità, di coraggio, di trasparenza. Un’Italia costruita con i mattoni di quella “educazione virile” della quale Ricci ci parlava e della quale lui è stato uno degli esempi antropologici forse migliori e forse più alti. Basta saperla trovare, questa Italia, e poi difenderla, custodirla, tramandarla, insegnarla, cioè trasmetterla immacolata a chi la vivrà domani.
I giovani debbono sapere che c’è un altro modo di stare al mondo, di essere, di realizzarsi e di vivere, che ad esempio c’è un’altra politica oltre quella degli apologeti del trasformismo e delle scorciatoie morali e ideali, anche le più spericolate. No, non sono questi i modelli da additare.
I vizi di cui questi modelli sono portatori non ci appartengono. Noi preferiamo le virtù civiche, la coerenza, la dignità di Berto, l’eretico che seppe essere eroe puro.