“L’arte è impossessarsi della bellezza della natura. Ci sono diversi modi di sentire la bellezza. La lava dell’Etna che scorre nella notte è bellezza o persino il crollo di un iceberg è bellezza. Anche noi facciamo parte della natura ma abbiamo la tendenza a intervenire su di essa. Eppure, mentre la natura vive nella trasformazione, l’uomo è destinato solo alla morte”.
Così il regista Peter Stein nella serata in cui gli è stato conferito il premio “Custodi della Bellezza”, giunto alla VI edizione. La cerimonia si è tenuta a Siracusa nel Teatro Comunale, riaperto per l’occasione, alla presenza di Fulvia Toscano, presidente dell’associazione Articolo 9 promotrice del premio, del sindaco Francesco Italia, dell’Assessore alla Cultura Fabio Granata e di Antonio Calbi, sovrintendente dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico.
Il premio è intitolato all’archeologo Khaled Al-Asaad, che difese con la sua stessa vita la bellezza di Palmira, contro la furia degli iconoclasti, come ha sottolineato Fulvia Toscano. Contro una forma di iconoclastia, chiamata cancel culture, durante la conferenza stampa, di mattina nella sede dell’INDA, si era scagliato Peter Stein, parlando del teatro, della tragedia e di due sue magistrali regie. Magistrali e indimenticabili. “Medea” nel 2004 a Siracusa accolta da un’ovazione di meraviglia, quando il disco carro del Sole insieme alla maga assassina dei figli si incendiò e s’innalzò nel cielo sopra il Teatro. Medea era una potente Maddalena Crippa, attrice steineriana per eccellenza, per timbro di voce e per espressionismo di gesti. E poi, la prediletta- per confessione del regista- “Orestea” a Mosca nel 1994. “Orestea è stata la mia ossessione perché contiene già tutto il teatro dell’origine che coincide con il coro”.
La lezione di Peter Stein nella sua lunghissima carriera è la lezione di una sorta di sacerdozio verso la tradizione. La tradizione per Stein passa dalla filologia: una concezione di teatro in cui prima c’è l’origine del testo, poi la comprensione della volontà teatrale dell’autore e infine la messa in scena. “Sono stato sempre un filologo e sono fiero di essere riuscito a coniugare il mondo del teatro con quello dell’Università”. Il regista tedesco, che non manca di sottolineare il suo complesso rapporto con la storia della Germania e del padre, è un vero umanista: la sua conoscenza diretta delle lingue classiche, del greco antico, la pazienza e la cultura come strumenti per la ricostruzione filologica “I testi delle tragedie non esistono ma sono stati trasmessi. Ecco perché la filologia è importante: non basta dire che alcuni versi sono corrotti. E’ necessario arrivare allo spirito dell’opera, capire come funziona. Come sono state tramandate le tragedie, da Aristotele per primo e poi nei testi della biblioteca di Alessandria? Da dove veniva la musica? E la scenografia? Queste sono le domande cui rispondere e non procedere direttamente con innovazioni che si basano sempre su ricostruzioni fantasiose”.
La tradizione come riscoperta delle radici europee del teatro
“Il teatro è europeo. Fuori dall’Europa sono state elaborate forme che sono solo impropriamente teatro. Si può diventare europeista anche solo per il teatro!”
Da un maestro della scena come Stein, che ha formato una generazione di attori con lo stesso rigore del suo eloquio solo a tratti tradito da un ironico sorriso stagliato nell’azzurro degli occhi, non potevano mancare parole per i giovani. “La sofferenza è la legge della tragedia e da qui i giovani i devono imparare la vita. Devono studiare”. E i giovani c’erano a Teatro. Erano gli allievi dell’Accademia del Dramma Antico. Posizionati nel primo ordine di palchi, si sono alzati in piedi e con la direzione delle loro docenti Simonetta Cartia ed Elena Polic Greco hanno intonato due canti in omaggio a Stein: “Ederlezi”, canto popolare in lingua rom e “Baba Yetu”, preghiera in lingua swahili. Sul palcoscenico il maestro commosso, davanti a lui questi giovani attori, bravissimi, cui è consegnato il futuro di un’arte eccelsa e viva. Perché un teatro che applaude e si alza in piedi è una sensazione di vita da custodire.