Un giudice a Berlino? No, nella realtà tutta italiana, un giudice al telefono con un giornalista, che anticipa così le motivazioni della sentenza Berlusconi…
ll Csm ha aperto un procedimento nei confronti del giudice della Cassazione Antonio Esposito. Dopo la vicenda dell’intervista al Mattino infatti, nella quale il presidente del collegio che ha condannato in via definitiva Silvio Berlusconi per frode fiscale ragionava sui termini della condanna al leader del Pdl (con l’incriminato e discusso «sapeva del reato»), le polemiche nei confronti di Esposito sono state serrate. A chiedere l’intervento di Palazzo dei marescialli erano stati ieri i consiglieri laici del Pdl Nicolò Zanon, Filiberto Palumbo e Bartolomeo Romano, ritenendo particolarmente grave la scelta del magistrato di rilasciare l’intervista al quotidiano napoletano, soprattutto per aver di fatto ”anticipato” le motivazioni della sentenza che devono essere ancora depositate.
La sortita di Esposito arriva come benzina sul fuoco nel momento in cui la polemica sul ruolo “politico” della magistratura rischia di far saltare la fragile intesa tra Pdl e Pd. Un cortocircuito che, questa volta, non ha visto protagonisti gli esponenti della tanto vituperata politica ma proprio uno dei vertici di quel “potere” che è riuscito – tecnicamente – dove il centrosinistra non è riuscito per vent’anni. L’esposizione del giudice, insomma, è arrivata puntuale come un assist in area a chi, nel centrodestra, cercava la dimostrazione del teorema giustizialista. O, per lo meno, materiale buono per fare pressione al capo dello Stato.
Il punto della questione, però, non è solo politico ma investe anche un aspetto sempre più dirompente (in negativo) fra le classi dirigenti. Non bastavano, insomma, i vari Ingroia, Di Pietro, De Magistris, adesso anche la Suprema Corte ha il suo magistrato che non ha resistito al richiamo mediatico, al “quarto d’ora”. Un’intervista choc, questa di Esposito, non tanto per le frasi – di per sé gravi nel momento in cui si stanno ancora scrivendo le motivazioni della sentenza – ma proprio in quanto nessuno si aspettava un “atteggiamento” del genere in un momento così delicato per il Paese.
L’incertezza politico-istituzionale, allora, è figlia di un deficit ben più ampio di quello della rappresentanza perché comprende ormai tutti i settori della società italiana, anche quello delle burocrazie (magistratura, diplomazia, pubblica amministrazione) che si scoprono – come abbiamo visto – sempre più autoreferenziali. Come se non bastasse, nell’Italia della crisi nessuno sembra più in grado di ragionare in termini impersonali, funzionali, “di Stato”. C’è un problema da scuola dell’obbligo, potremmo dire antropologico: nessuno sa stare più al suo posto
@barbadilloit