Pierre Drieu La Rochelle, uno dei grandi scrittori della letteratura francese del secolo XX, solo nel 2012 è uscito dal ghetto «collaborazionista», nel quale era stato rinchiuso dalla critica «intellettualmente corretta». Fino ad allora, l’intelligencija à la page non aveva tenuto in alcun conto la qualità letteraria dei suoi testi né, tantomeno, la ricerca di autenticità esistenziale che connotò le scelte dell’uomo, fianco quelle politiche. In quell’anno, una raccolta di opere di Drieu è entrata a far parte della «Bibliothèque de la Pléiade». Il «reietto» era stato finalmente accettato nell’empireo delle patrie lettere . Al fine di comprendere la grandezza dell’uomo e dello scrittore, le sue scelte, i gusti e i disgusti di un raffinato esteta, consigliamo vivamente la lettura della biografia, scritta da uno studioso belga, Pol Vandromme, Pierre Drieu La Rochelle, comparsa nel catalogo di OAKS Editrice (per ordini: info@oakseditrice.it, pp. 160, euro 15,00). Il libro fu tradotto dal compianto Alfredo Cattabiani ed è impreziosito dall’ introduzione di Armando Torno.
Per entrare nelle vive cose della narrativa di La Rochelle, rileva Vandromme, è necessario soffermarsi su alcuni momenti della sua vita. La produzione letteraria del collaborazionista, come del resto l’opzione politica per il fascismo, devono essere considerate risposte forti alla precoce scoperta che egli fece della decadenza, legge che egli esperì come dominante l’intera esistenza. Nato in una famiglia della borghesia rêveuse, sognatrice, transalpina, alla quale dedicò un libro straordinario, fin dall’infanzia, trascorsa al fianco degli amatissimi nonni, scoprì la legge entropica della vita: «I bambini […] quanto più amano i loro nonni, tanto più soffrono nel vederli a poco a poco decadere e perdere le forze» (p. 15). Questa constatazione produsse in Drieu la tendenza ad isolarsi dai suoi simili e alla malinconia. La paura dell’altro accompagnò anche i suoi anni nel collegio di Sainte-Marie de Monceau, dove entrò quando aveva appena otto anni. Con l’adolescenza, le cose iniziarono a cambiare. Si rese conto di poter esercitare un fascino irresistibile, soprattutto nei confronti dell’universo femminile e maturò gradualmente la psicologia del ribelle. Frequentò prostitute e giovani amici senza dignità.
Alla Scuola di Scienze politiche, dopo essere stato bocciato all’esame finale, per la prima volta, si affacciò in lui, subdolamente, l’idea di suicidio. Fu distratto, dal mettere in atto l’insano gesto, dalla chiamata alle armi. La guerra rappresentò per lo scrittore la possibilità: «di una rivincita su se stesso, di una vittoria dei sogni eroici dell’infanzia sull’adolescenza tentata dalla corruzione» (p. 19). Non fu mandato subito al fronte e, allora, la routine da caserma lo prostrò. Pensò nuovamente di togliersi la vita. Infine, conobbe l’entusiasmo della battaglia nel 1914 a Charleroi e, nel 1916, nell’inferno delle artiglierie di Verdun. La raccolta di poesie, legate all’esperienza bellica, Interrogation, gli concesse una precoce notorietà. Con l’armistizio, il primo matrimonio e l’eredità materna, il suo iter esistenziale sembrò stabilizzarsi. Fu affascinato da Maurras e dal nazionalismo, ma l’amore per l’Action française non sbocciò mai in modo pieno. Ogni cosa lo deludeva, da qui l’iniziale adesione al Dada. Il furore iconoclasta di Tzara e dei suoi sodali fu fuoco fatuo, Drieu: «voleva saggiare la sua energia spirituale, mentre gli altri membri del gruppo volevano solo rompere tutti i limiti» (p. 26). Lo stesso dicasi per il coinvolgimento nel surrealismo. Nel 1925 si allontanò anche da Breton: «Drieu […] celebrava la decadenza per nutrire il suo disgusto […] Breton si era imborghesito anche lui nel modo peggiore» (pp. 26-27).
L’ossessione per la decadenza fece maturare in lui la scelta fascista, in quanto, attraverso la politica, egli misurava il mondo. Se nel 1922, quando scrisse Mesure de la France, era un nazionalista deluso, nel 1936 divenne un convinto ed impavido seguace del «Partito popolare» di Doriot. In tale contesto, si propose quale teorico di riferimento del nazionalismo socialista europeo. L’incontro con il fascismo, avvenne il 6 febbraio 1934, quando a Parigi uomini dell’estrema destra, assieme ad elementi della sinistra, assaltarono il Parlamento: «Drieu La Rochelle si sentiva intellettualmente e sentimentalmente fascista. Aveva toccato la sua terraferma» (p. 33). Quello stesso anno pubblicò, Socialisme fasciste, volume in cui teorizza un fascismo immenso e rosso, simile a quello anelato da Brasillach. Al termine di Gilles, sintetizzò con queste parole il suo ideale di vita: « Bisogna morire incessantemente per rinascere incessantemente. Il Cristo delle cattedrali, il grande dio bianco e virile. Un re, figlio di re» (p. 36). Con la guerra, nel dicembre del 1940, assunse la direzione della Nouvelle Revue Française, dalle cui colonne si batté per il socialismo europeo. Presto comprese il tradimento dei tedeschi, mossi elusivamente da gretto particolarismo. L’ultimo periodo della vita dello scrittore è segnato dai nomi di Marx e di Guénon. Egli provò: «un richiamo sempre più pressante verso la ricerca teologica», e l’autentico socialismo. La sua vera vocazione èfu di natura metafisica e, in tali termini, pensò il suicidio, vale a dire quale via alla liberazione.
Tentò di uccidersi il 12 agosto 1944 ma non vi riuscì, provò una seconda volta, qualche giorno dopo. Un nuovo fallimento. Il 15 marzo del 1945 concluse l’opera: «bevve il veleno e aprì i rubinetti del gas per essere sicuro di non fallire» (p. 42). I luoghi più significativi dei suoi libri testimoniano una lotta intransigente alla decadenza, in nome della giovinezza spirituale. Egli adattò lo stile alla materia trattata. In alcuni casi, si servì di una lingua scarna ed essenziale, in altri di un periodare secco ma involuto. L’abilità scrittoria gli permise di fondere nel narrato materiali assai diversi tra loro, dando luogo al genere del «romanzo-saggio». Drieu descrisse al meglio atmosfere, personaggi e contesti, senza giungere mai ad una loro definizione realista, sottraendosi, in tal modo, alla vocazione più tipica della letteratura naturalista e positivista. I suoi personaggi sono «energie» messe in scena: «attraverso lo schermo dei loro riflessi emotivi» (p. 9). La consapevolezza della decadenza non è, per lui come per i suoi personaggi, alibi per l’inazione, per l’attendismo. Al contrario, essa innesca la rivolta, è il fuoco dell’incipit vita nova!
La biografia di Vandromme mostra l’attualità della visione del mondo di Pierre Drieu La Rochelle. Per sintetizzare le sue idealità, può valere quanto egli scrisse di Céline: «Questi ha il senso della salute. Non è colpa sua se il senso della salute lo obbliga a vedere e a mettere in luce tutta la purulenza dell’uomo del nostro tempo» (p. V).