I giornali di mezzo mondo riportano la notizia della scomparsa di Shinsuke Kikuchi: è stato un compositore giapponese e aveva prestato la sua arte per riempire di musica i cartoni animati. Ha scritto la colonna sonora di autentiche pietre miliari del pop della seconda parte del ‘900. Da Doraemon fino a Dragon Ball, passando per l’Uomo Tigre e Goldrake, Kikuchi ha dato ritmo, armonia e melodia a decine di titoli, dal Tulipano Nero (la Stella della Senna) a numerosi titoli del genere mecha.
Alcune delle sue musiche, composte mescolando suggestioni contemporanee (su tutte una neppure troppo vaga allusione al mondo del Far West) alla grande tradizione pentatonica dell’antichissima scala cinese, sono diventate iconiche. E a queste ha attinto, inevitabilmente, anche Quentin Tarantino, un genio ossessionato dal pop. Vale, anche per Kikuchi (seppur con tutti i doverosi distinguo del caso) quanto vale per Ennio Morricone: senza le loro musiche forse non staremmo ancora parlando né di Sergio Leone né di Akira Toriyama.
Questo perché la musica è un’arte che, per quanto banalizzata e brutalizzata, trascende la materia e costruisce un ponte in cui quello che sarebbe il fantastico diventa reale, etereo eppure tangibile al punto da fissarsi nell’immaginario, diventando carne e sangue della vita quotidiana di ognuno. Un miracolo, appunto.
La tradizione, questo miracolo, lo conosce fin troppo bene. Si potrebbe scomodare la potenza del canto di Vainamoinen, l’eroe dell’epica finnica del Kalevala. Ma basterebbe considerare l’origine di una parola italiana che tutti usano e conoscono: “incantesimo”. Il significato è noto, palese il rapporto con il canto e dunque la musica che, per l’influenza invincibile che esercita sull’ascoltatore, può diventare un’autentica arma con la quale avvincere esaltando o annichilire estasiando. Lo sapevano le Sirene e lo sapeva Ulisse.
Ma lo sapevano anche (tutti) i condottieri e tutti gli eserciti della storia che ai suonatori di corni e cornamuse, ai tamburini di ieri e alle grandi bande musicali di oggi hanno sempre dedicato un’attenzione importante.
E ancora: l’incantesimo è legato alla recitazione di una formula magica. L’incontro tra musica e testo, per dirla in maniera banale, che dalle ere più risalenti si è sviluppato nella poesia e quindi nel racconto: Bragi è nume tutelare norreno presiede e ispira gli scaldi (che si chiamano bragr) e non è proprio per caso se è appellativo che viene esteso anche a Odino; le Muse che ispirarono Omero e Virgilio cantano.
Nell’era contemporanea, la musica accompagna e moltiplica la potenza delle immagini, completa il racconto. Svolge la stessa funzione che le compete, evidentemente, da millenni. Da Demodoco a Tarantino e Dragon Ball, appunto. Nel cinema, negli anime, nelle serie tv. È, ancora oggi, elemento essenziale per l’efficacia di opere che altrimenti sarebbero monche, prive di forza e senz’anima: riuscite a immaginare, passando a tutt’altro genere, Profondo Rosso di Dario Argento senza la colonna sonora dei Goblin?