Momento difficile per la Magistratura, non solo per gli scandali che da un angolo all’altro della penisola emergono ma soprattutto per la trama oscura di accordi e logiche che avvolgono le decisioni a vari livelli, denunciate da Luca Palamara nel libro scritto insieme con il giornalista Alessandro Sallusti Il sistema.
Ma una denuncia sulla strana piega che la Magistratura stava assumendo l’aveva già lanciata un magistrato al di sopra di ogni sospetto, Romano Ricciotti (1930-2014) per quaranta anni con la toga. Fu procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Bologna, e commissario agli usi civici. Giurista, storico, promotore culturale, esperto di storia risorgimentale, autore di vari libri giuridici e di storia. Alla politicizzazione della Magistratura e alla nascita delle correnti interne ha dedicato studi e volumi di spessore. Fra questi, uno uscito nel 1969 per l’editore romano Giovanni Volpe, che analizzava la crisi della Giustizia e paventava i rischi della progressiva politicizzazione: si intitolava La giustizia in castigo. Teoria e fenomenologia della Giustizia politicizzata.
Il testo, ora ristampato dalle edizioni Il Cerchio di Rimini, dirette da Adolfo Morganti, è un documento di grande interesse perché fotografa le dinamiche che portarono alla nascita delle correnti interne a un organo così importante come la Magistratura e come quel procedimento minò il sistema giudiziario e il suo funzionamento. Il testo, nella varie edizioni, è stato aggiornato. In quest’ultima, pubblicata qualche mese fa, ci sono anche i contributi dei magistrati Giovanni Mammone (ex presidente della Corte di Cassazione) e Francesco M. Agnoli (presidente onorario di Corte di Cassazione) che attualizzano l’opera sulle ultime vicende.
Il libro di Ricciotti è un classico sempre ristampato – con successo – proprio perché tocca il nervo scoperto di uno dei temi ricorrenti sulla Magistratura dal varo della Costituzione fino ai giorni nostri. E’ ancora attuale in quanto non riporta una serie di notizie sul dibattito interno all’Associazione nazionale magistrati (ANM) ma analizza la posizione del giudice nell’ambito dell’ordinamento giudiziario e della funzione che svolge. Un giudice, sostiene Ricciotti mostrando una logica ferrea, non può che esercitare una funzione di terzietà e quindi essere terzo. Concetti ribaditi dal Mammone nell’introduzione, che sottolinea come Ricciotti rapportava i concetti giuridici a un ordinamento liberal-democratico che prevede che un cittadino sia parte dello Stato e quindi portatore di diritti. Ma già allora Ricciotti intravvedeva la pervasività dei politici e delle lobby intellettuali collegate ai partiti. Già allora, anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, la nascita di correnti ideologiche era vista come un rischio. Non che questo significasse un’adesione teorica di Ricciotti alla corrente di studi che si richiama alla “dottrina pura” del diritto, fondata da Hans Kelsen, ma sicuramente significava mantenere una equidistanza fra fatti, prove e opinioni politiche. Timori che si rivelarono reali e anticipatori di un clima che poi divenne la prassi in seno alla Magistratura come sia i prefatori sia lo stesso Ricciotti hanno sottolineato. Infatti, fu proprio alla fine degli anni Sessanta che i più giovani magistrati scegliendo la politicizzazione decisero di prendere le distanze dall’ANM fondando l’UMI (Unione magistrati italiani): erano nate così le correnti.
Nell’analisi della crisi della Magistratura, fatta da Ricciotti, emergono i problemi che c’erano già allora: la vetustà e inadeguatezza dei codici (che oggi sono ancora gli stessi, tranne quello di procedura penale), la lentezza dei processi, l’indipendenza del pubblico ministero, la carenza delle risorse economiche e l’inadeguatezza delle strutture giudiziarie. Un testo storico e di diritto nello stesso tempo, che chiarisce molti punti dell’attuale crisi della Magistratura .
Romano Ricciotti, La giustizia in castigo. Teoria e fenomenologia della Giustizia politicizzata, Il Cerchio ed., pagg. 251, euro 18,00 (introduzione di Giovanni Mammone e Fracesco M. Agnoli)
Tutto vero. Credo che in un momento la magistratura abbia accettato di essere usata da un settore come ‘arma impropria’ della politica. Ma, subito dopo, nella magistratura è maturata la coscienza di essere un super potere e che la politica fino ad allora conosciuta dovesse essere a lei sottomessa. La ‘funzione surrogatoria’, che diventa dominante. Dalla massoneria alla Chiesa, alla Magistratura. Fino ad un certo punto una politica screditata ha fatto il gioco della magistratura ed anche un Di Pietro sembrava Cesare. Poi…