Viviamo l’epoca in cui i miliardari (in euro e in dollari) diventano sempre più ricchi mentre il mondo, affamato e impaurito dal Covid, si fa sempre più povero e miserabile. L’unica voce che si alza è quella di papa Francesco che, vangelo alla mano, lancia moniti affinché ci sia più condivisione della ricchezza.
Il discorso del pontefice è chiaro e netto e difficilmente ci si può trovare in disaccordo, a patto – chiaramente – di condividere quello che il magistero della Chiesa ha espresso per lunghissimi secoli, ovvero la funzione sociale della proprietà.
A chi si rivolge il Papa?
La settimana che si è conclusa ci ha consegnato una notizia che non avremmo voluto mai sentire: i lavoratori Amazon in Alabama hanno votato per non avere una rappresentanza sindale. E meno male che, solo qualche tempo prima dell’elezione, anche i vertici della multinazionale avevano ammesso che i ritmi di lavoro imposti dall’algoritmo erano a dir poco esosi (il caso della pipì in bottiglia). Il voto, la libera decisione degli impiegati ha scelto di tornare all’800. Non è “colpa” loro ma è la deriva contemporanea: ci voleva la rutilante novità del web per tornare ai tempi di Oliver Twist.
Nel discorso ai fedeli di domenica, il Santo Padre è stato nettissimo e lo ha affermato chiaramente, conquistando così i titoli di agenzie e giornali: “Condivisione non è comunismo ma cristianesimo puro”. Non ha alcuna intenzione, il Papa, di sottrarre agli ultimi kulaki del mondo occidentale quel pochissimo (e sempre meno) che possono vantare di aver conquistato. Non è un mettere in discussione i patrimoni delle famiglie medie bensì rimettere in discussione le ricchezze sterminate che pochi, pochissimi, accumulano su scala planetaria.
Quindi il senso del monito è chiarissimo: a che serve accumulare miliardi se poi quei soldi non hanno alcuna ricaduta sociale o, per dirla con termini più liberali, se la redistribuzione della ricchezza diventa sempre più asfittica? Tutta l’etica cristiana si basa sul lavoro che è opera in cambio di mercede. Una sublimazione del sacrificio sinallagmatico: senza la seconda, che senso ha continuare a pretendere i primi?
Il grande equivoco
Decenni di retorica liberista non sono passati invano. E non è un caso se Thatcher e Reagan rimangono miti assoluti per certi ambienti di una “destra” che a parole si ritiene – forse per slogan, sicuramente meno per analisi e fatti – “sociale”. A differenza degli anni d’oro (di volta in volta, gli ’80 o il “boom economico”), le vie dell’ascensore sociale sono bloccate. Il precariato, vissuto come grande conquista modernizzatrice, ha profondamente inciso sulla vita di una società che, per non contemplare il fallimento di un modello percepito come l’unico e il solo (il “famigerato” there is no alternative), che resta in piedi per non passare da vecchio arnese fuori da ogni narrazione (cosa diversa dalla realtà). I giovani non hanno il coraggio di far figli: non perché dovrebbero poi rinunciare allo zenzero o al sushi del venerdì sera ma perché chi vive un presente infame non saprebbe dove prendere il denaro per garantire loro un futuro decente.
Le parole del pontefice, dunque, vanno interpretate per quello che sono non per quello che suggeriscono i titoli o l’orgoglio che è rimasta l’ultima barriera che impedisce a chi ancora s’ostina a ritenersi borghese – per quanto piccolo – di guardare in faccia la realtà del suo impoverimento materiale e di prospettive.
Papa Francesco non vuole il comunismo (e lo stigmatizza con forza nell’immagine che evoca) ma chiede a chi ha le leve del mondo economico di non indulgere più all’egoismo. Non vuole requisire gli appartamenti sfitti per darli a chissà chi ma chiede a chi è “misericordiato” di passarsi una mano per la coscienza e diventare “misericordioso”: hai avuto in sorte di essere ricco, ricchissimo, sii uomo e non permettere più che chi lavora per te sia costretto a far pipì in una bottiglia.
Uno schiaffo all’ipocrisia buonista
Un pontefice parla ai cuori degli uomini di fede. E li deve esortare a vivere coerenti con i valori di cui si dicono essere portatori. Da Papa Francesco è arrivato un lisciabusso all’ipocrisia che domina nel mondo degli ottimati, finissimo al punto da non essere percepito da nessuno altro al di fuori di quelli che l’hanno incassato. “Non rimaniamo indifferenti, non viviamo una fede a metà, che riceve ma non dà, che accoglie il dono ma non si fa dono”. E dunque: “Siamo stati misericordiati, diventiamo misericordiosi. Perché se l’amore finisce con noi stessi, la fede si prosciuga in un intimismo sterile. Senza gli altri diventa disincarnata. Senza le opere di misericordia muore”.
Il Santo Padre invoca gli altri. Impone di intervenire nel reale. Se la carità si predica e non si fa, se – peggio ancora! – si “usa” a scopi commerciali (come fanno praticamente tutte le multinazionali), tutto quello che si predica altro non è (nella migliore delle ipotesi) che intimismo sterile. Cioé un’ipocrisia da beghine, chiacchiere al vento, imposizione e non disposizione verso gli altri. Che senso ha predicare o magari anche “fare” ma senza rischiare nulla del proprio? Non si può certo farsi “perdonare” la propria ricchezza (la molla “radical chic” per eccellenza) a spese della collettività, aizzando nuovi conflitti sociali anziché lenirli. Non ha senso investire centinaia di migliaia di dollari in Africa per poi speculare delocalizzando al minimo “problema”.
Papa Francesco, insomma, parla direttamente alla suocera del proverbio ma la nuora, a cui favore andrebbe un’eventuale presa di coscienza, capisce male e non perde l’occasione dell’ennesimo qui pro quo per sostenere la “sua” aguzzina. Una vecchia storia, in fondo, di equivoci e generosi slanci male indirizzati.
Probabilmente anche i contadini russi erano convinti nel 1917 che i bolscevichi avrebbero dato loro la terra, e invece si videro poco dopo espropriati di quel poco che avevano e in certi casi condannati a morire d’inedia. Quando si parla di “condivisione” tutti pensano ai grandi patrimoni, ma poi l’asticella si abbassa e si rischia di vedere la seconda casa sequestrata per ospitare i clandestini, o costretti a cederla perché sono divenute troppo pesanti le tasse, destinate a pagare magari il reddito di cittadinanza a mafiosi o fannulloni. Oltre tutto questo pontefice nemico delle frontiere e della sovranità nazionale è amato dalle élite mondialiste, che speculano sui flussi migratori e praticano di fatto la sostituzione etnica, da cui traggono i maggiori guadagni. Da sempre la Chiesa cattolica, persino prima della Rerum Novarum, invita i ricchi alla misericordia nei confronti dei più sfortunati; al tempo stesso invitava poveri alla rassegnazione perché il Paradiso non è in questa terra, la vita è ingiusta di per sé e un ricco inchiodato a una sedia a rotelle sta peggio di un povero che lavora dieci ore al giorno ma gode di buona salute. Cristo non era un riformatore sociale né un agitatore politico: fino all’ultimo affermò che “il mio regno non è di questa terra”. Non scese in terra per affrancaregli schiavi, ma per liberare gli uomini dalla schiavitù del peccato. Essersi dimenticata di questo, secolarizzando il messaggio cristiano, è il grande torto della cosiddetta teologia della Liberazione, contro cui si batté generosamente Giovanni Paolo II.
Quanto a Reagan e alla Thatcher, anch’io sono scettico su certi aspetti della loro politica economica e rivendico da europeo le garanzie dello Stato sociale, in materia di sanità e previdenza; bisogna ricordare però che erano figli di un’etica protestante che vede nel successo una manifestazione del sostegno di Dio. Stati Uniti e Gran Bretagna alla fine degli anni Settanta erano due nazioni al tramonto, mentre l’impero sovietico era al culmine della sua espansione, dall’Afghanistan al Corno d’Africa. La vittoria nella guerra fredda si deve a loro, oltre che a Giovanni Paolo II. Commisero forse degli errori, ma nonostante le loro asprezze (e forse anche per esse) rispetto ai loro successori sono stati dei giganti.
Aha, aha, aha. Mi ricordo di quando nell’800 vennero espropriate molte proprietà ecclesiastiche, che non avevano alcuna finalità sociale, gli strilli, le scomuniche del Vaticano, cardinali, vescovi, preti ed arcipreti, priori e badesse… e pure dopo…
È falso ed ipocrita.