La morte di un genitore cambia spesso la vita. L’assassinio di un genitore cambia sempre la vita. Specialmente se l’assassino è l’altro genitore. Sintetizzato in poche battute, questo è l’assunto da cui prende il via Una giornata di nebbia a Milano (HarperCollins, 2021, euro 18) di Enrico Vanzina. Strutturato come un giallo, il nuovo romanzo dello sceneggiatore e regista immerge i suoi personaggi in una Milano che non ha niente di oleografico, neppure la densa nebbia in cui si consuma il brutale omicidio del sessantaseienne professore di pianoforte Giovanni Restelli. Un testimone oculare, una sfiorita infermiera ultracinquantenne, identifica nella moglie del musicista, una sessantenne insegnante di Lettere all’Università Statale, la donna che l’ha ucciso esplodendogli, a distanza ravvicinata, tre colpi di pistola in faccia. L’indagine del figlio (unico) dei coniugi Restelli inizia, tra incredulità, dubbi, madeleine (letterarie e cinematografiche più che proustiane) e false piste, laddove si conclude, in maniera sommaria, quella della polizia.
Trentasei anni, giornalista culturale di un quotidiano milanese, fidanzato con una bellissima aspirante insegnante di cinema che si divide tra Milano e New York, Luca Restelli s’improvvisa investigatore con l’aiuto dello squinternato (e malato terminale) scrittore di gialli Giorgio Finnekens. Dietro le fattezze di quest’ultimo, «milanese in giacca scozzese, il sigaro appeso alle labbra», tombeur de femmes e proclive all’alcol, non è difficile riconoscere il compianto Andrea G. Pinketts (una delle sue rare apparizioni cinematografiche è in Via Montenapoleone dei fratelli Vanzina). E sarà proprio grazie alle affabulazioni letterarie di Finnekens, all’apparenza astruse e fini a sé stesse, se il protagonista, quando tutto sembra finalmente risolto, scoprirà cosa si cela in realtà dietro la morte del padre.
Non nuovo al genere giallo (ricordiamo, tra i vari pubblicati, il recente La sera a Roma, Mondadori, 2018), Enrico Vanzina è uno scrittore abile e mai corrivo che, oltre a costellare le pagine del romanzo di citazioni letterarie e cinematografiche mai gratuite (da Ennio Flaiano fino a Michelangelo Antonioni, passando per l’indispensabile, e non solo ai fini della soluzione dell’enigma, Edgar Allan Poe), porta il lettore su strade prima di lui battute dal menzionato Scerbanenco e dall’evocato Pinketts. Dal primo prende una dimensione del crimine che è anche sentimentale e familiare (pensiamo, soprattutto, ai due capolavori scerbanenchiani I milanesi ammazzano il sabato e Traditori di tutti) e dal secondo i risvolti grotteschi, sessuali e «pulp» che innervano la gagliarda saga di Lazzaro Santandrea.
Quello che abbiamo più apprezzato di Una giornata di nebbia a Milano, scritto con uno stile vivido e coinvolgente, è la radiografia spietata della inesorabile decadenza di una città e, più in generale, di una nazione e di una società che oramai si ritrovano persino a rimpiangere le «buone cose di pessimo gusto» di gozzaniana memoria. Non a caso, il libro si apre con la morte di un borghese di altri tempi e si chiude con la morte di uno scrittore ribelle. Due morti che simboleggiano la fine di un passato, lontano ma non lontanissimo, che è stato anche il nostro.